Campobasso mezza piena e mezza vuota
di Francesco Manfredi-Selvaggi
È un’espressione che dice poco perché il vuoto può essere di diversi tipi, come dimostra il nostro centro. Una città non è fatta solo di pieni, cioè di costruzioni, ma anche di vuoti, specie se spazi pubblici. Questi ultimi sono quindi componenti essenziali, non è vero che una cosa vuota non ha consistenza, del sistema urbano e pertanto vanno ben curati, a cominciare dagli spazi a verde. Ci sono poi luoghi mezzi pieni e mezzi vuoti nel senso che sono riempiti solo in alcune ore del giorno. Il vuoto è parte integrata pure scendendo di scala di alcune architetture richiedendo anch’esso cure. Ci sono poi angoli residuali ai quali attribuire un appropriato ruolo.
Il vuoto poiché la parola si avvicina a quella di niente non può avere alcuna identità. Invece non è così e cercheremo di dimostrarlo attraverso alcuni esempi tratti dalla realtà campobassana precisando che quelli di cui si discuterà sono dei vuoti urbanistici. Il vuoto in urbanistica non è solo la Zona Bianca in cui il PRG, magari perché in quello specifico ambito per il “decadimento”, a causa di ricorsi amministrativi, della sua Zonizzazione non valgono i vincoli che in esso erano contenuti, non si applica, ma pure tutte quelle particelle, catastali, nelle quali non si è costruito per le più svariate ragioni anche se si sarebbe potuto farlo in base al piano regolatore.
Se il nulla non esiste (si obietterà, ma è il nulla!) urbanisticamente parlando non c’è neanche architettonicamente parlando. Su ciò si può facilmente concordare essendo le architetture dei sottomultipli dell’ambiente di vita, non conta se inseriti all’interno di un agglomerato o se separato da questo perché, comunque, facenti parte del fenomeno insediativo seppure nei suoi minimi termini, sempre regolato, peraltro, dallo strumento urbanistico.
Il vuoto è una componente essenziale in alcuni casi dell’organismo edilizio, stiamo partendo, come si nota, dalla scala più piccola, quella architettonica, e si veda il cortile del Palazzo del Governo in cui funge da grande atrio scoperto, la corte presente nel Convitto Nazionale Mario Pagano dove oltre ad essere un pozzo di luce, anch’esso grande, è utilizzato per la ginnastica all’aperto e il chiostro del convento di S. Giovanni dei Gelsi su cui diremo qualche parola in più.
Nell’impianto claustrale il vuoto rappresenta il momento del silenzio, in cui stare appartati per concentrarsi senza disturbi esterni in preghiera e in meditazione a passi “tardi e lenti” lungo l’ambulacro porticato che lo circonda, un posto voluto per astrarsi dal mondo terreno e avvicinarsi a quello celeste, tanto se il monastero è in città quanto, come nel nostro caso, in campagna. È un luogo segreto, non percepibile dall’intorno, raccolto, per cui non conta, a differenza delle prime due tipologie elencate, quanto grande sia. In comune con il Convitto ha la caratteristica di essere chiuso, senza accesso diretto dall’esterno, non attraversato neppure dai flussi degli spostamenti tra un corpo e l’altro della costruzione e, pertanto, poiché non è “pedonalizzato” (che adesso, è evidente, non si contrappone a motorizzato) qui e nel Mario Pagano non è pavimentato.
In tutti e tre gli esempi riportati, la corte è planimetricamente una figura geometrica regolare, un fatto unitario, cioè privo di slabbrature poiché dai contorni definiti. Con questa annotazione passiamo, in contrapposizione, ad un altro argomento che è quello dei vuoti, non più invisibili, ma sotto i nostri occhi pressoché quotidianamente durante i movimenti che compiamo nel contesto urbano. Dei punti dell’insediamento ai quali, in verità, non prestiamo più attenzione da quando sono sparite le “pompe” di benzina che lì erano ubicate sfruttando la loro natura di angoli residuali ovvero informi, per ricollegarci ad una cosa evidenziata nella lettura delle corti, ai margini delle corsie stradali.
Sono destinati a ritornare ad essere dei siti di notevole interesse per la circolazione delle auto sembrando idonei alla localizzazione delle colonnine delle ricariche delle auto elettriche allorché aumenterà il numero di macchine di tale tipo circolanti. Da qualche parte si dovranno pure mettere e allora perché non posizionarle nelle postazioni delle vecchie stazioni di rifornimento dei carburanti le quali, tutto sommato, non erano d’intralcio al traffico.
Chissà se torneremo, lo si ammette è un’operazione nostalgia, perlomeno da un angolo di lettura visivo dell’epoca in cui il panorama cittadino era costellato di insegne su paline delle varie società erogatrici un tempo dei derivati del petrolio e in futuro dell’energia elettrica per l’alimentazione dei motori delle automobili, tante quante sono quelle in concorrenza per la fornitura di elettricità nelle abitazioni. Quando fecero la loro prima comparsa i “benzinai” dei quali, però, dovremo dimenticare il chiosco e l’omino addetto, fu anche la prima volta che comparve la pubblicità su strada con le loro tabelle pubblicitarie definite dalla casa-madre, sempre, va riconosciuto con design moderno e accattivante.
Non è detto che, come per i distributori di benzina, le sedi in cui le automobili sosteranno per approvvigionarsi di energia non passeranno, prima o poi, di mano da una compagnia ad un’altra (sperando che ce ne siano continuamente di nuove per evitare i monopoli sul modello del cartello delle Sette Sorelle) con il conseguente cambiamento dei marchi aziendali in cima ai pali, con effetti, evidentemente, sulle visuali urbane che riprenderà a vivacizzarsi, seppure siano dei segni minimali. L’allestimento di una superficie destinata a ricaricare elettricamente i mezzi a motore, alla stessa maniera che per quelli a combustibile fossile, sarà ripetitivo per quelle di un determinato gruppo societario, differenziato, per ragioni di riconoscibilità, da quelle dell’avversario commerciale.
I tempi di caricamento di un motore elettrico sono lunghi per cui non si tratterà di una sosta breve per la quale i benzinai, se le ragioni di spazio lo consentono, e ciò succede a via IV Novembre, all’altezza della parallela via Longano, per dirne uno, si attrezzano aprendo un bar specializzato negli snack e nella tazzina di caffè; va aggiunto che tale tipologia di pompa di benzina la si incontra preferibilmente in periferia e che si denomina stazione di servizio. Proprio pensando che non ci saranno mai chioschi vicino alle colonnine di ricarica elettrica, che sono dei pieni, le si è considerate dei vuoti.
Ci avete seguito in uno spericolato salto, dai chiostri conventuali, simbolo della tradizione, alle paline di ricarica delle auto elettriche, uno dei simboli della modernità più avanzata, e a questo punto vi chiediamo di assistere ad un’altra acrobazia dialettica perché si sta per introdurre il tema dei vuoti temporanei. La temporaneità è sia di cadenza annuale come nella striscia di asfalto che è ai lati dell’ex Romagnoli, sufficientemente larga per ospitare durante le festività del Corpus Domini le bancarelle, sia settimanale, ma non riguarda Campobasso, bensì centri vicini come Bojano la cui piazza principale si riempie degli stalli degli ambulanti il sabato, il giorno del mercato, sia giornaliera, o meglio cadenzata secondo le ore della giornata.
Nei parcheggi, prendi quello di via Manzoni, lo spazio si riempie delle carrozzerie automobilistiche, e quindi non è più un vuoto, nell’orario lavorativo e si svuota, quindi non è più un pieno, la sera. In effetti è un’area di sosta un po’ fuori mano (non fuori porta, ad ogni modo, per cui non si capisce il perché sia sottoutilizzato), mentre nel cuore del capoluogo regionale, in un appendice del Bogo Murattiano presente nel disegno del Musenga, vi è corso Bucci dove si svolge tutto l’anno, tutti i giorni, intendendo tutte le mattine, il mercato. È una strada deputata al mercato su strada, quindi ospitante le postazioni degli ambulanti e anche dei proprietari dei negozi i quali espongono nella mattinata la loro merce al di fuori.
Sono categorie merceologiche, indumenti e oggettistica, che, a differenza dei prodotti alimentari i quali opportunamente si acquistano al Mercato Coperto, un “pieno” vero e proprio a differenza di piazzetta Palombo dove si vendevano in passato che, invece, è un vuoto, non lasciano scarti sulla strada e perciò compatibili con essa. Per chiudere con una battuta, corso Bucci è simile ad un bicchiere mezzo pieno e mezzo vuoto, dipende da come e soprattutto da quando lo vedi.
Francesco Manfredi Selvaggi637 Posts
Nato a Boiano (CB) nel 1956. Ha conseguito la Maturità Classica a Campobasso e poi la laurea in Architettura a Napoli nel 1980. Presso la medesima Università ha conseguito il Diploma di Perfezionamento in Storia dell’Arte Medievale e Moderna e il Diploma di Perfezionamento in Restauro dei Monumenti. È abilitato all’esercizio della professione di Architetto e all’insegnamento di Storia dell’Arte nei licei e Educazione Tecnica nelle scuole medie. Dal 1997 è Dirigente, con l’attribuzione di responsabilità nei servizi Beni Ambientali (19 anni), Protezione Civile, Urbanistica, Sismica, Ambiente. Ha avuto un ruolo attivo in associazioni ambientaliste quali Legambiente Molise, Italia Nostra sezione di Campobasso e Club Alpino Italiano Delegazione del Molise. Ha insegnato all’Università della Terza Età del Molise ed è stato membro del Consiglio di Amministrazione della Fondazione dell’Ordine degli Architetti di Campobasso, occupandosi all’interno dello stesso del progetto di Archivio dell’Architettura Contemporanea. È Giornalista Pubblicista e autore di articoli, saggi e del volume La Formazione Urbanistica di Campobasso. Le ultime pubblicazioni sono: «Le Politiche Ambientali nel Molise» (2011) e «Problemi di tutela ambientale in Molise» del 2014.
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