Bisogna insegnare alla Scuola come spendere i soldi
La settimana scorsa, il ministro Bianchi ha annunciato che, nei prossimi cinque anni, verranno spesi circa diciotto miliardi di euro per l’Istruzione. Tredici miliardi circa saranno utilizzati per le infrastrutture, cinque per l’inclusione e la dispersione scolastica.
È un fatto positivo, naturalmente, che le istituzioni si siano rese conto dell’importanza di dare maggiori possibilità ai giovani e di prepararli, così, ahimè, alla competizione sempre più disumana del mondo del lavoro e alla ricerca della loro felicità. Ma, ciò che succederà nei prossimi cinque anni preoccupa molto perché le scuole non sembrano pronte a gestire con efficienza e oculatezza la grande quantità di denaro che arriverà sui loro conti correnti.
Quando si fa un piano così corposo, in termini di finanziamenti, bisognerebbe avere una visione, un obiettivo da perseguire. La scuola italiana, invece, sembra essere costituita da una miriade di piccole isole, gestite, molto spesso, dal buon senso di dirigenti e docenti. E non è detto che ciò sia male. Tuttavia, alla vigilia di un impegno finanziario così importante – sarà forse l’ultima occasione per dare dignità all’Insegnamento in Italia – è da irresponsabili procedere senza idee e lasciare alle singole scuole decidere cosa fare dei fondi messi a loro disposizione.
Chi deciderà la forma e le dimensioni dei nuovi spazi che saranno costruiti per gli studenti? Un team di architetti scelti dal ministero? Una squadra di esperti che conoscono le novità della ricerca in termini di fruizione degli ambienti scolastici? L’ingegnere che vince il bando indetto dalla Provincia o dal Comune del territorio interessato? Il dirigente scolastico che si relaziona con l’architetto incaricato e propone testardamente i suoi desiderata prima di andare in pensione? Chi deciderà, insomma, come spendere i tredici miliardi per le infrastrutture?
Ancora: chi deciderà come spendere i finanziamenti per la digitalizzazione delle scuole? I dirigenti scolastici? I dirigenti scolastici regionali? Gli animatori digitali delle singole scuole? I tecnici di laboratorio? Il docente di Informatica o Matematica? Il docente di Italiano che smanetta sul computer e dà una sbirciata al catalogo di Euronics? Un team di informatici che hanno fatto ricerca sulle necessità della didattica del futuro e, soprattutto, sull’efficacia degli strumenti digitali per motivare e interessare i giovani?
Tali preoccupazioni risultano legittime se si considera che molte scuole hanno già numerosi strumenti (pc, lavagne interattive multimediali, schermi interattivi di ultima generazione, persino droni) che non utilizzano o utilizzano male per la lentezza o addirittura la mancanza della rete internet, per l’impossibilità di oscurare l’aula, per la qualità scadente dell’audio degli stessi strumenti, per la mancanza di formazione adeguata dei docenti.
Le preoccupazioni sono ancora più legittime se si osserva il dibattito culturale in atto: dobbiamo ancora decidere se il tema è uno strumento adatto alla didattica e alla valutazione e se chiacchierare con un giovane, per una quarantina di minuti, possa bastare per dare una valutazione su quanto da lui appreso nel percorso della scuola secondaria di secondo grado (v. Chiara Frezzotti, “La scuola interrotta, un anno, tre mesi e dodici giorni”, Ets, 2021).
Dobbiamo ancora decidere se andare verso la scuola dei progetti o verso quella delle conoscenze (v. Paola Mastrocola e Luca Ricolfi, “Il danno scolastico”, La nave di Teseo, 2021), mentre i docenti sono andati per anni e stanno ancora andando nelle due direzioni contemporaneamente – perché non armonizzati dal lavoro dei dipartimenti e dei collegi – e che tale “bipolarità” ( con un docente che invita gli studenti a partecipare alle attività del pomeriggio e un altro che pretende di interrogare il giorno dopo, su un argomento completamente diverso da quello trattato nell’attività del giorno precedente) ha prodotto un aumento del malessere degli studenti e persino attacchi di panico (v. Studenti in piazza per una scuola diversa).
Su una scuola in queste condizioni – con i sindacati che provano a far aumentare di una trentina di euro la retribuzione dei docenti invece di chiedere una formazione di qualità e un dibattito serio su cosa deve fare la scuola del nuovo millennio – pioveranno venti miliardi di euro. Poi, magari, tra un anno, vedremo pc e lavagne multimediali fotografate, o persino elementi architettonici e d’arredo, mentre vengono trasportati verso una discarica, come i banchi a rotelle fotografati a Venezia. Che dio ce la mandi buona!
Giovanni Petta76 Posts
È nato nel 1965 in Molise. Ha pubblicato le raccolte poetiche «Sguardi» (1987), «Millennio a venire» (1998) e «A» (2016); i romanzi «Acqua» (2017), «Cinque» (2017) e «Terra» (2021) ; il saggio giornalistico «L'Italia delle regioni, il Molise dei ricorsi» (2001) e, con lo pseudonimo di Rossano Turzo, «TurzoTen« (2011) e «TurzoTime» (2016). Allievo di Mogol, ha inciso «Non crescere mai» (1993), «Trema terra trema cuore» (single, 2003), «Il bivio di Sessano» (2012). Ha diretto le testate «Piazzaregione» e «L'interruttore». Ha coordinato l'inserto molisano de «Il Tempo».
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