La civiltà rupestre molisana

di Francesco Manfredi-Selvaggi

In verità, qui non si tratterà di tutte le manifestazioni di tale civiltà, bensì solamente degli insediamenti urbani che sorgono sulle rupi. Si adotta quale metodo di lettura il confronto fra i vari centri rupestri per far emergere le loro peculiarità e i caratteri comuni.

C’è insediamento rupestre e insediamento rupestre. Nessuno è uguale all’altro semplicemente perché nessuna roccia è uguale all’altra, anche quando ha stessa composizione geologica. Noi qui ci interessiamo degli ammassi rocciosi calcarei, beninteso affioranti, con o senza grotte, anche perché sono le formazioni lapidee più frequentemente utilizzate quali siti insediativi. Esistono, comunque, va precisato, pure nuclei abitati che si posizionano su rilievi costituiti da sabbie compatte che presentano cavità sfruttate dall’uomo a scopo abitativo o per rimessa, se non al loro interno ai margini come succede con le grotte di Montenero di Bisaccia e di Macchiavalfortore.

Vi è una, fra quelle legittime, distinzione da fare fra i centri che definiamo rupestri ed è tra quelli, in verità uno solo, Campobasso, in cui le cavità si sviluppano in verticale e quelli, viceversa dove esse sono di tipo orizzontale. Una suddivisione utile per cercare di mettere ordine nella congenie degli abitati rupestri specificando, però, che la presenza di grotte o caverne che dir si voglia è una condizione “sufficiente”, ma non “necessaria” per includere un comune in tale tipologia di agglomerato abitativo; ciò che conta è che lo strato di roccia sia superficiale, visibile o meno, meno quando è occultato dai volumi edilizi che vi si sono sovrapposti come succede nel capoluogo regionale.

Passiamo ora, per far emergere le peculiarità, alla comparazione in relazione a differenti aspetti tra quanto succede a Campobasso e ciò che si verifica negli altri comuni “rupestri”. La prima differenza, che è la maggiore, è il fatto, lo si è detto, che nella principale città molisana gli antri stanno ben nascosti alla vista alla stregua dei normali vani sotterranei di normali palazzi, per cui il conglomerato urbano, per precisione la sua parte storica, non perde quel carattere di urbanità che tanto conviene ad una capitale di regione.

Mica come accade nei paeselli aggrappati alle “morge” le quali rubano la scena all’edificato nelle vedute d’insieme dell’aggregato che è composto di un tot di case e di un tot, se non superiore più appariscente, di spuntoni di calcare. Da Bagnoli a Pietracupa a Pietrabbondante l’immagine che deriva da tale prevalenza della componente, per così dire, minerale che è, per quanto riguarda il ragionamento in corso, una manifestazione naturale su quella architettonica che è, invece, antropica è quella di primitività, alla stregua di un villaggio preistorico.

Ad una età remota, alla preistoria, rimandano anche le cavità della rupe di Pietracupa le quali se in seguito vennero adibite a prigioni (la pena oltre alla perdita della libertà era la privazione della luce) originariamente dovettero servire da abitazioni. Tale segno, nell’immaginario collettivo, l’adattarsi a vivere in un luogo scomodo, in mezzo alle pietre, ha la potenzialità per trasformarsi in un’attrazione turistica trattandosi di episodi urbanistici inconsueti, cosa che non succede a Campobasso sia perché le grotte non sono a vista, neanche la loro entrata la quale è nell’androne, solitamente, della costruzione, sia perché sono, o si ritengono, di proprietà di privati i quali hanno facoltà di non permetterne la visita.

Limitando il confronto a quei centri dotati di cavità, tanto se penetranti nelle profondità del sottosuolo quanto se svolgentesi in piano, e quindi a Campobasso, in cui si trovano le prime, e a Pietracupa, dove vi sono le seconde, vediamo che in ambedue le realtà esse costituiscono il livello basale di una stratificazione di ambienti, dentro e fuori terra, ad uso umano. Nel capoluogo del Molise le cavità fungono da cantine, depositi se non suggestivi locali notturni con ai piani superiori, quelli al di sopra della quota di campagna, le residenze, ma non è escluso che al loro estradosso, almeno parzialmente, vi sia uno spazio a cielo aperto, come sembra accada a Piazza S. Leonardo la cui grotta sottostante fu utilizzata, tanto ampia è, quale ricovero della popolazione durante la II Guerra Mondiale.

A Pietracupa siamo di fronte a due autentici fraintendimenti della natura delle grotte: l’uno riguarda le citate carceri, funzione che la fantasia popolare ha attribuito alle cavità posizionate in corrispondenza del locus presunto del castello il cui costume è di collocare nell’interrato le celle di reclusione nonché, come pure si favoleggia qui, le camere di tortura; l’altro concerne la bellissima chiesetta ipogea che è in asse con la chiesa parrocchiale, ma che, peraltro manca un accesso diretto da quest’ultima, non può essere assolutamente scambiata per la sua cripta.

Essa piuttosto per la scabrità delle sue pareti, l’irregolarità in pianta che sono gli immediati rimandi alla Grotta di Betlemme assomiglia ad un eremo e, però, si è in ambiente urbano e non in montagna. Visto che abbiamo appena accennato alle sedi di romitaggio, visto che stiamo parlando di sovrapposizioni alle cavità, visto che siamo in vicinanza di Pietracupa, appena oltrepassato il confine con Salcito, vale la pena dare un’occhiata alla Morgia dei Briganti, seppure sia un’emergenza rurale, e non solo per curiosità perché la sua osservazione aggiunge qualcosa al tema: essa in quanto a grotte è multistrato, presentando grotte ad altitudini diverse, come in un condominio pluripiano nel quale hanno alloggiato eremiti, pastori e, come dice il nome, briganti.

La Morgia dei Briganti che si è servita per guardare da un’insolita angolazione il giustapporsi di cose di vario genere alle grotte, tra cui le stesse grotte, ci serve pure per affrontare un ulteriore argomento in questa rassegna su ciò che distingue gli insediamenti rupestri fra loro, ed è quello della sicurezza. Le grotte venivano sfruttate dai banditi quale nascondiglio, non proprio un presidio difensivo, mentre le morge rappresentavano un valido baluardo di protezione. Ciò non tanto perché punti alti, requisito, comunque, opportuno poiché garantiva la sorveglianza dell’intorno, quanto per la forte inclinazione dei loro fianchi che le rendeva inespugnabili.

A dimostrazione si offre il parallelo tra il Castello Monforte che è al vertice di Campobasso e quello dei duchi D’Alessandro ubicato non al livello sommitale di Pescolanciano avendo prediletto l’ubicazione su una morgia. Vale la pena aggiungere che se, quando le strutture castellane vennero costruite, tale posizione rappresentava un vantaggio poiché le rendeva inaccessibili, nei tempi moderni è risultata uno svantaggio per la medesima ragione e così molte sono state abbandonate (a Bagnoli, Pietracupa, ecc.).

Francesco Manfredi Selvaggi637 Posts

Nato a Boiano (CB) nel 1956. Ha conseguito la Maturità Classica a Campobasso e poi la laurea in Architettura a Napoli nel 1980. Presso la medesima Università ha conseguito il Diploma di Perfezionamento in Storia dell’Arte Medievale e Moderna e il Diploma di Perfezionamento in Restauro dei Monumenti. È abilitato all’esercizio della professione di Architetto e all’insegnamento di Storia dell’Arte nei licei e Educazione Tecnica nelle scuole medie. Dal 1997 è Dirigente, con l’attribuzione di responsabilità nei servizi Beni Ambientali (19 anni), Protezione Civile, Urbanistica, Sismica, Ambiente. Ha avuto un ruolo attivo in associazioni ambientaliste quali Legambiente Molise, Italia Nostra sezione di Campobasso e Club Alpino Italiano Delegazione del Molise. Ha insegnato all’Università della Terza Età del Molise ed è stato membro del Consiglio di Amministrazione della Fondazione dell’Ordine degli Architetti di Campobasso, occupandosi all’interno dello stesso del progetto di Archivio dell’Architettura Contemporanea. È Giornalista Pubblicista e autore di articoli, saggi e del volume La Formazione Urbanistica di Campobasso. Le ultime pubblicazioni sono: «Le Politiche Ambientali nel Molise» (2011) e «Problemi di tutela ambientale in Molise» del 2014.

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