La teoria del «danno scolastico». Ecco perché non regge la tesi di Ricolfi e Mastrocola

Truccato il concorso per docenti
Truccato il concorso per presidi
Truccato il concorso per docenti universitari
Truccato il concorso per magistrati
Truccato il concorso per notai

Non so davvero dove vivano Luca Ricolfi e Paola Mastrocola per aver potuto immaginare che una riforma scolastica abbia danneggiato e danneggi ancora la riuscita scolastica dei nostri giovani. Basta cliccare sui link messi in testa all’articolo – trovati in velocità, e senza alcuno sforzo, su internet – per confutare la loro tesi e proporgliene un’altra, questa ben argomentata.

Già da qualche settimana, le sentenze tratte dal loro libro montavano fastidiose su giornali e siti dedicati alla scuola. Ma a quest’ultima non si può non rispondere: secondo loro, il degrado della scuola dipende “dall’uscita di scena, negli anni Novanta, per pensionamento, di una generazione di insegnanti che, proprio perché si era formata in una scuola con standard elevati, era ancora in grado di trasmettere conoscenza in modo efficace”.

Tale affermazione è tipica, peculiare, proprio di quella scuola di cui Mastrocola e Ricolfi tessono l’elogio: si dà per vero un dato che vero non è e su quel dato si costruisce la tesi che si vuole affermare. I due autori fanno passare per vero un dato – gli standard elevati dei docenti prima del ’90 – che si basa solo sul loro benevolo ricordo perché, come diceva Leopardi, tutto ciò che è ammantato dalla nebbiolina del ricordo è poetico. Invece, la scuola che ricordano non aveva standard elevati: era violenta, mirava a ridurre all’obbedienza, era classista.

Prima del Novanta esisteva una scuola che ha visto in Giulio Andreotti la punta avanzata della classe dirigente del Paese. E se non ci fosse stato Mino Pecorelli, quella scuola avrebbe portato i bambini delle elementari a sventolare le bandierine tricolori ai funerali del Divo.

Prima del Novanta, in molti casi, l’insegnante di Inglese era un laureato di Economia e Commercio che aveva dato un solo esame di lingue. E l’insegnante di Matematica era spesso un farmacista o un laureato in materie scientifiche con un solo esame di matematica nel piano di studi.

Prima del Novanta, i documenti presentati in tribunale dagli avvocati formati da quei licei classici erano pieni di figure retoriche e barocchismi, da nauseare persino a Giovan Battista Marino, e senza alcuna attenzione alla punteggiatura. Meno male che è poi arrivato il correttore di Word – pensate un po’ da chi è stata abbattuta quella scuola dagli “standard elevati” – a eliminare tutti quei “meramente” e quei latinismi che pure venivano sbeffeggiati dal latinorum del Manzoni… ma era una scuola, quella di Ricolfi e Mastrocola, che preferiva Don Abbondio a Renzo. E non solo per il latinorum. Anche per i voti diversi che si davano al figlio del magistrato, del notaio, del medico… e al figlio del salumiere o ai pendolari.

Prima del Novanta non c’erano le prove Invalsi – ammesso che siano uno strumento valutativo valido -; avrei voluto vedere quei “meramente” a risolvere i test di comprensione o a dimostrare la loro capacità di argomentare in quattro ambiti: probabilità e statistica, aritmetica o algebra, geometria, relazioni e funzioni.

Il problema della scuola contemporanea è che contemporanea non è: dice di essere inclusiva ma non lo è, dice di lavorare sulle competenze ma lavora ancora solo sulle conoscenze. Il problema della scuola contemporanea è che non si è spostata di un centimetro dalle posizioni in cui era quarant’anni fa. Forse Ricolfi e Mastrocola si sono lasciati ingannare dal cambiamento del repertorio lessicale specifico: il preside si chiama ora “dirigente scolastico” ma fa le stesse cose che faceva il preside della Mastrocola, le griglie di valutazione si chiamano “rubriche valutative” ma servono comunque ad “arrostire” gli studenti e non a farli appassionare, gli incontri con gli autori si chiamano “compiti di realtà” ma la loro riuscita dipende sempre dalla capacità di comunicazione dell’autore e dal lavoro svolto precedentemente all’incontro dal docente e dalla classe. Insomma, la scuola non è cambiata affatto nonostante siano cambiate le parole.

Pensino, Ricolfi e Mastrocola, che in molte di queste scuole sedicenti inclusive gli studenti che arrivano in ritardo di dieci minuti vengono fatti attendere fuori dall’aula fino all’inizio dell’ora successiva, dimenticando che la Costituzione concede il diritto allo studio persino ai detenuti per reati gravissimi e che finanche il carcere ha, per Costituzione, finalità riabilitative e non punitive. Ma nella scuola dell’inclusione, e dell’educazione civica affidata ai docenti di diritto, la Costituzione si studia ma non si applica. Conoscenza e nessuna competenza, come nella scuola decantata dai due autori.

Nei prossimi cinque anni, la scuola riceverà venti miliardi di finanziamenti. Per evitare di protrarre il “danno scolastico”, dalla sua origine – la scuola di Ricolfi e Mastrocola ancora in auge, quella che ha prodotto i risultati riportati nei link di apertura –, dovremo essere capaci di utilizzare tali finanziamenti per cambiare la scuola – questa volta per davvero – e, soprattutto, dovremo fare in modo che tale enorme quantità di denaro non sia utilizzata in modo disonesto né da persone incapaci di comprendere le necessità reali della scuola del nuovo millennio e di immaginare, progettare e realizzare le soluzioni. In tutto ciò la formazione sarà fondamentale; il controllo e l’inibizione del pressapochismo e del narcisismo dei dirigenti lo sarà ancora di più.

Impareremmo in questo modo, noi adulti, a non lamentarci della facilità con cui vengono promossi i ragazzi facendo finta di non vedere la “facilità” con cui si diventa docenti e dirigenti testimoniata nei link di cui sopra. Impareremmo, noi adulti, a non modificare a nostro piacimento la realtà del passato (se fosse vero ciò che dicono Ricolfi e Mastrocola non avremmo la classe dirigente che abbiamo né i concorsi di cui si parla nei link, visto che le commissioni giudicatrici erano composte proprio dai docenti elogiati dagli autori del “danno scolastico”). Impareremmo, noi adulti, a non modificare i dati di partenza dei ragionamenti per nascondere il fallimento della nostra generazione ed eliminare, dalla nostra coscienza, la vergogna per lo squallore del mondo che abbiamo consegnato a chi è venuto dopo di noi.

Giovanni Petta76 Posts

È nato nel 1965 in Molise. Ha pubblicato le raccolte poetiche «Sguardi» (1987), «Millennio a venire» (1998) e «A» (2016); i romanzi «Acqua» (2017), «Cinque» (2017) e «Terra» (2021) ; il saggio giornalistico «L'Italia delle regioni, il Molise dei ricorsi» (2001) e, con lo pseudonimo di Rossano Turzo, «TurzoTen« (2011) e «TurzoTime» (2016). Allievo di Mogol, ha inciso «Non crescere mai» (1993), «Trema terra trema cuore» (single, 2003), «Il bivio di Sessano» (2012). Ha diretto le testate «Piazzaregione» e «L'interruttore». Ha coordinato l'inserto molisano de «Il Tempo».

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