La pace non è uno stato naturale
di William Mussini
Era il 23 ottobre del 2019 quando, insieme agli amici d’avventura, presentammo il film “La pace non è uno stato naturale” presso la sala 1 del cinema Maestoso di Campobasso.
Pochi giorni fa è stato ricordato anche il primo decennale della Società INCAS Produzioni di Campobasso nell’articolo di Francesco Vitale.
Mi piace, oggi, riproporre la visione, anche e soprattutto a chi non ha ancora avuto l’occasione di vederlo, di quello che è stato il mio primo lungometraggio (il secondo prodotto dalla INCAS, dopo l’opera “Il viaggio”) girato e realizzato nel 2018.
I protagonisti principali sono i molisani Michele Di Cillo e Mariateresa Spina, con la partecipazione in voce di Aldo Gioia; le musiche sono state composte ed eseguite dal musicista Stefano Barbaresco. Il film ha ricevuto il sostegno dall’IRESMO ed il patrocinio dall’ANVCG, Associazione Nazionale Vittime Civili di Guerra Onlus; è stato in concorso nel 2020 ai David di Donatello, ha ricevuto la selezione ufficiale al Festival Internazionale Jagran Film Festival ed è risultato finalista presso l’Eurasia International Monthly Film Festival 2020.
Il film “La pace non è uno stato naturale” è di genere “storico/drammatico”, è ambientato in Italia ed in Unione Sovietica. La storia si svolge durante gli ultimi anni del secondo conflitto mondiale e le ambientazioni si riferiscono al territorio italiano, a quello russo, polacco e africano.
Complessivamente sono stati interessati località e territori nei comuni di Montagano, Campochiaro, San Massimo, San Polo Matese, Rocchetta a Volturno; sono state coinvolte nel progetto cinematografico le associazioni Cassino 44 Gustav Line ed il museo della guerra Winterline di Venafro.
Il film, potrei sinteticamente definirlo come un elogio alla diserzione, ed il suo protagonista è di fatto un anti-Rambo in quanto soldato-crisalide che compie una libera metamorfosi. Esso mostra i sentimenti umani più puri, in un percorso circolare che va dall’autenticità dell’innocenza alla retorica dell’obbedienza di dannunziana memoria, attraversando i sentieri psichici minati dalle convinzioni ideologiche e dagli archetipi di eroismo primordiale.
Il film vede la rivalsa dell’individuo sulle dottrine e liturgie del potere, vede contrapporre la resilienza e l’istinto di sopravvivenza allo stereotipo del sacrificio patriottico che affonda le radici nel nichilismo futurista del primo dopoguerra. La violenza, la pace e la guerra, sono i temi oggetto della narrazione che veicola lo spettatore su due binari paralleli, interconnessi. Un binario segue il percorso dell’uomo comune, di chi subisce cioè l’azione di governi autoritari, di ideologie e politiche coercitive; l’altro conduce, attraverso la riflessione ed il ragionamento, al raggiungimento d’una comprensione e di una consapevolezza illuminanti. I due protagonisti, una coppia italiana che vive la separazione forzata a causa della campagna fascista in Unione Sovietica, sono entrambi l’espressione involontaria della cultura di regime che soccomberà, col tempo, alla sopraggiunta consapevolezza della propria condizione di pedine sacrificabili.
La grande sfida è stata quella di imbastire un tessuto narrativo, attingendo, a piene mani, dagli insegnamenti di autori come Arthur C. Clarke, registi come Stanley Kubrick, studiosi come Carlo Rovelli ed Edoardo Boncinelli, filosofi come Immanuel Kant e Sigmund Freud, con l’intento di comprendere le ragioni per cui l’umanità abbia da sempre adoperato la violenza come strumento di evoluzione naturale e, altresì, di immaginare cosa potrà riservarci il futuro se l’uomo continuerà ad alimentarsi di violenza.
Hanno generosamente commentato e recensito il film: Carlo Rovelli, Fisico Teorico e scrittore, Carlo Modesti Pauer, antropologo, saggista, autore e regista televisivo, Fabio Luigi Mastropietro, scrittore, saggista poeta, Domenico Farina, operatore culturale, presidente del Kimera Cineclub, Valentino Campo, poeta e direttore artistico di Poietika, Leopoldo Santovincenzo, critico cinematografico, responsabile della programmazione di RAI4.
Prima di vedere il film, consiglio di leggere proprio l’ultima recensione dell’amico Leopoldo Santovincenzo; nel ringraziarlo nuovamente, colgo l’occasione per esprimere la mia riconoscenza a tutti coloro i quali hanno messo a disposizione la loro professionalità, competenza e passione nel progetto filmico.
“Era da tempo che l’universo poetico ed estetico di William Mussini soffriva costretto nella misura del cortometraggio. La pace non è uno stato naturale evade finalmente dalla gabbia della forma breve e dispiega in maniera più compiuta una visione del cinema radicale, visionaria e che non teme confronti con i massimi sistemi. Il prologo astratto e l’immagine del Bambino delle Stelle che citano deliberatamente l’Odissea kubrickiana appaiono una sorta di dichiarazione programmatica, anzi, di guerra: qui si stipula con lo spettatore un patto esigente in cui si richiede una disponibilità a lasciarsi pervadere dall’ispido lirismo delle immagini e contemporaneamente si pretende l’attiva partecipazione a comporre un puzzle intellettuale che coniuga finzione e saggio filosofico, antropologia e fisica, Storia e storie. Nel tempo storico dichiarato – l’anno1942 – si situa una fabula in realtà archetipica e mitologica: un uomo e una donna che si amano concepiscono un figlio ma l’uomo deve partire per la guerra. Si apre così tra i due un dialogo a distanza, uno scambio forse epistolare, più immaginato che reale. Mentre si reiterano i gesti quotidiani nel villaggio natio, l’uomo si addentra in uno spazio sempre più rarefatto in cui l’incessante desiderio di tornare a casa è sconfessato dall’escalation di violenza dalla pratica bellica. In questa parvenza di narrazione si aprono inattesi squarci visionari di uno spazio-tempo primordiale affiorante da un buio ancestrale in cui si allude all’eterno ritorno di dinamiche belluine. I testi, debitamente citati in apertura come fonte di libera ispirazione,
appartengono a scrittori, artisti, filosofi, scienziati e costituiscono una sorta di apparato di note a margine di un ideale progetto “enciclopedico” illuminista. Mentre la parabola dei due protagonisti procede verso l’inevitabile esito, Mussini scardina ogni possibile mimesi naturalistica da romanzo ottocentesco, separa parola e suono dall’immagine, ricorre all’ellissi e alla sineddoche (vedi la splendida sequenza “epica” dell’arrivo della guerra nel paese con la camera che insegue un gruppo di donne che fugge nei vicoli), evoca modelli di un cinema che viene da lontano: lo spazio siderale del già citato Kubrick, le umide steppe e i maestosi silenzi di Andrej Tarkovskij, le assolate pianure texane in cui echeggiano flussi di coscienza di Terrence Malick. Non tutto è perfetto, forse l’esiguità dei mezzi a disposizione non ha consentito di realizzare integralmente le soluzioni immaginate, forse a volte la presenza della musica andava dosata, forse la materia richiedeva un respiro – ovvero un minutaggio – ancora maggiore ma sappiamo tutti che c’è un prezzo da pagare per l’indipendenza creativa: quel che conta davvero è la serena limpidezza della scelta di
campo operata. La pace non è uno stato naturale ribadisce la necessità di un’idea di cinema massimalista che non solo si sottrae ma esplicitamente si oppone al mercato. Mentre il cinema italiano contemporaneo si crogiola nella rimozione della sua grande storia d’autore eleggendo a feticcio il pubblico pagante, William Mussini propone di seguirlo lungo una strada impervia e con pochi, pochissimi compagni di viaggio. Ma è una strada che sale in alto e che – come avrebbe detto ai tempi qualcuno che non temeva l’impopolarità – procede sempre “in direzione ostinata e contraria”. L. Santovincenzo.
William Mussini76 Posts
Creativo, autore, regista cinematografico e teatrale. Libertario responsabile e attivista del pensiero critico. Ha all'attivo un lungometraggio, numerosi cortometraggi premiati in festival Internazionali, diversi documentari inerenti problematiche storiche, sociali e di promozione culturale. Da sempre appassionato di filosofia, cinema e letteratura. Attualmente impegnato come regista nella società cinematografica e teatrale INCAS produzioni di Campobasso.
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