Il campanile maxigruccia delle campane
di Francesco Manfredi-Selvaggi
Questo è lo scopo delle torri campanarie, un compito ancellare, apparentemente solo di tipo funzionale e, però, senza rinunziare alla ricerca della qualità estetica. Una varietà di soluzioni architettoniche.
I campanili fanno la loro comparsa con l’avvento dell’Era Cristiana. Se nell’antichità vi erano strutture verticali esse, le torri e i fari, non erano così diffuse (pur numerose se si considera che ad Altilia le mura erano dotate di ben 19 torri difensive) come lo saranno i campanili i quali sono presenti in tutti i 136 Comuni molisani, almeno 1 per paese. I campanili hanno un compito specifico, legato al nuovo Credo religioso che aveva sostituito il paganesimo dei Romani, quello di sostenere le campane il cui scampanellio avverte dell’inizio delle funzioni cultuali.
Per favorire il diffondersi in un largo raggio territoriale del suono delle campane è necessario che il campanile sia alto. Appena detto subito lo smentiamo o quantomeno lo precisiamo: piuttosto che l’altezza della torre campanaria conta l’altezza che raggiunge la cella campanaria per cui se il campanile è posizionato in altura, mettiamo sul colmo del colle sul quale si “arrampica” il borgo, esso può essere più basso di quello posto in pianura. A Casalpiano di Morrone del Sannio esso è assai elevato trattandosi di zona pianeggiante.
Il caso limite è quello degli insediamenti rupestri, da Bagnoli (Bagnoli di Sopra) del Trigno a Pietracupa a S. Angerlo in Grotte, dove il campanile risulta mozzo mancando della porzione, più o meno consistente, inferiore poiché poggia su un punto emergente della “morgia”, morgia “urbana” per esattezza. I campanili oltre che elevati devono essere spessi e ciò sempre per permettere che i rintocchi delle campane si sentano a distanza. Per l’elevazione la ragione la si è spiegata sopra, per lo spessore la si dice adesso: le campane mentre suonano provocano forti sollecitazioni sul manufatto che le supporta, la torre campanaria, per cui quest’ultimo deve essere solido.
Per smorzare i carichi dinamici provenienti dalle campane nel campanile della chiesa di S: Bartolomeo a Campobasso l’ing. M. Moffa ha previsto un gabbia su cui si scaricano le vibrazioni causate dalle oscillazioni delle campane, una incastellatura autonoma rispetto all’ossatura muraria inserita nella cella campanaria. Al di là delle campane è ovvio che lo spessore deve essere tanto maggiore quanto più elevato è il campanile, ma è sempre meglio esplicitarne la ratio: aumentando l’altezza aumenta il peso della costruzione il quale va ridistribuito su un muro di sezione adeguata.
Per la medesima motivazione della robustezza dell’opera edilizia la torre campanaria è necessario che abbia poche bucature. Solitamente nei campanili le aperture si incrementano nel salire dalla base alla cima (salvo nel campanile dell’Annunziata a Venafro in cui la monofora succede alla bifora). In sommità il campanile tende a svuotarsi fino al caso limite della cella campanaria di S. Giorgio, ancora nel capoluogo regionale, che assomiglia ad una sorta di tempietto delimitata com’è non da pareti bensì da 4 pilastrini angolari; un aspetto analogo lo ha la parrocchiale di Ripalimosani, ma con un maggior numero di colonne che qui sono bicrome.
Da una parte la cella campanaria ha bisogno che sia quanto più possibile libera dal contenimento murario per far si che il suono delle campane fuoriesca da tale vano nella sua pienezza (c’è però S. Maria, ex S. Rocco, a Petacciato dove la cella campanaria non è aperta su tutti i lati), dall’altra parte c’è il problema, vista la mancanza al perimetro di muri, della penetrazione all’interno di quest’ambiente delle acque meteoriche. C’è sempre un pro e un contro. Il campanile cresce di un piano, innalzandosi al di sopra della cella campanaria per ospitare l’orologio che è più visibile, è scontato, se è situato a quota maggiore; a Pettoranello è conservata integra la camera dell’orologio, uno spazio davvero affascinante.
Non è obbligatorio, comunque, che per installare l’orologio si debba aggiungere un altro livello alla torre campanaria e lo dimostrano gli, addirittura, 4 orologi, uno per ciascuna direzione, che spuntano dal cupolino del campanile, già citato, di S. Angelo in Grotte (che viene “incendiato” l’8 maggio, festa di S. Michele). Se non si è stati chiari lo si rimarca ora: si tratta di innalzamenti della torre campanaria, un esempio è quello di S. Massimo, avvenuti in epoca recente in quanto recente è la comparsa dell’orologio il quale sostituisce la meridiana che per essere leggibile non può stare troppo distante da terra (vedi quella della chiesa di S. Pietro a Frosolone).
I campanili sono in genere aderenti alle chiese, ma non è una regola assoluta. Nella chiesa di S. Nicola a Vastogirardi penetra addirittura all’interno della navata, mentre a S. Maria della Strada e a Campodipietra è staccato dall’architettura religiosa, segnalando, en passant, che quest’ultimo ha base circolare, una rarità. Verrebbe da pensare che dal punto di vista statico è meglio che il campanile si appoggi alla chiesa venendo a formare un unico corpo di fabbrica che in quanto tale avrebbe una maggiore resistenza alle scosse sismiche: è una tesi plausibile, anche se è credibile in pari misura l’ipotesi opposta secondo cui la differenza di comportamento tra un volume in verticale e uno in orizzontale di fronte ad un terremoto determinerebbe il crearsi di una “corda”, la linea di attacco delle due entità strutturali diverse, intorno alla quale si innesca un rotazione della prima, il campanile, sulla seconda, la chiesa.
È da evidenziare, infine, a proposito della sicurezza strutturale che è preferibile che vi sia omogeneità tra i vari piani che sommati tra loro in fase realizzativa portano alla configurazione del campanile, una uniformità che, il risvolto negativo, ne riduce la bellezza: sono molto attraenti torri campanarie che, vedi Colletorto, da quadrate si trasformano in esagonali oppure ottagonali, es. Vinchiaturo. La varietà estrema la si ha in copertura, la ciliegina sulla torta, che a volte è piramidale, a volte a bulbo, a volte non c’è perché è un terrazzino.
Francesco Manfredi Selvaggi645 Posts
Nato a Boiano (CB) nel 1956. Ha conseguito la Maturità Classica a Campobasso e poi la laurea in Architettura a Napoli nel 1980. Presso la medesima Università ha conseguito il Diploma di Perfezionamento in Storia dell’Arte Medievale e Moderna e il Diploma di Perfezionamento in Restauro dei Monumenti. È abilitato all’esercizio della professione di Architetto e all’insegnamento di Storia dell’Arte nei licei e Educazione Tecnica nelle scuole medie. Dal 1997 è Dirigente, con l’attribuzione di responsabilità nei servizi Beni Ambientali (19 anni), Protezione Civile, Urbanistica, Sismica, Ambiente. Ha avuto un ruolo attivo in associazioni ambientaliste quali Legambiente Molise, Italia Nostra sezione di Campobasso e Club Alpino Italiano Delegazione del Molise. Ha insegnato all’Università della Terza Età del Molise ed è stato membro del Consiglio di Amministrazione della Fondazione dell’Ordine degli Architetti di Campobasso, occupandosi all’interno dello stesso del progetto di Archivio dell’Architettura Contemporanea. È Giornalista Pubblicista e autore di articoli, saggi e del volume La Formazione Urbanistica di Campobasso. Le ultime pubblicazioni sono: «Le Politiche Ambientali nel Molise» (2011) e «Problemi di tutela ambientale in Molise» del 2014.
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