L’eterogenesi dei fini e l’esperimento di Solomon Asch
Ospitiamo di seguito l’ennesimo contributo di William Mussini pur ribadendo la nostra distanza dai contenuti espressi, puntando piuttosto sull’opportunità di suscitare un dibattito quanto più allargato e plurale sia possibile.
di William Mussini
Il filosofo e giurista Giambattista Vico nel suo «Scienza Nuova» del 1744 scrive: «Pur gli uomini hanno essi fatto questo mondo di nazioni […] ma egli è questo mondo, senza dubbio, uscito da una mente spesso diversa ed alle volte tutta contraria e sempre superiore ad essi fini particolari ch’essi uomini si avevan proposti.» Con ciò volle intendere che, la storia umana, perseguendo potenzialmente delle finalità, nel percorso verso un obiettivo, si mostra per nulla lineare e coerente: può accadere, infatti, che nonostante l’obiettivo sia ben chiaro a tutti, durante il tragitto per il suo raggiungimento, si arrivi esattamente all’attuazione del suo opposto.
L’idea chiamata eterogenesi dei fini è stata poi ripresa dall’economista e sociologo Vilfredo Pareto che, nel suo «Trattato di sociologia generale» (1916) definisce l’eterogenesi dei fini come la finalità di un particolare tipo di azione non-logica dell’essere umano e della comunità, nell’ambito dell’analisi della logicità e non-logicità dei tipi di azione sociale.
Anche lo psicologo e filosofo tedesco Wilhelm Maximilian Wundt formulò con la pubblicazione «Ethik», nel 1886, il principio chiamato appunto «Heterogonie der Zwecke» (eterogenesi dei fini) secondo il quale le azioni umane possono, spesso, portare a finalità differenti da quelle in precedenza prefisse dal soggetto che compie l’azione stessa. Col principio si fa riferimento a un insieme di fenomeni psico-sociali che possiamo raggruppare più esplicitamente nell’espressione «conseguenze non intenzionali di azioni intenzionali».
Più semplicemente: “Le azioni umane possono riuscire a fini diversi da quelli che sono perseguiti dal soggetto che compie l’azione: ciò avverrebbe per il sommarsi delle conseguenze e degli effetti secondari dell’agire, che modificherebbero gli scopi originari, o farebbero nascere nuove motivazioni, di carattere non intenzionale”.
Secondo il principio dell’eterogenesi dei fini, quindi, spesso il cittadino, l’individuo agisce nel sociale, credendo di ottenere un fine stabilito, ma invece l’esito oggettivo delle proprie azioni sarà diverso o contrario a quel fine. La psicologia sociale ci spiega che non sempre la coscienza di chi agisce è in grado di disegnare, con la stessa logicità, la relazione mezzi/fini insieme a tutti i dati necessari per ricreare la relazione che essi hanno nella realtà oggettiva.
Facciamo un riferimento più esplicito agli accadimenti contemporanei in piena emergenza pandemica: il genere umano oggi, presumibilmente nella sua quasi totalità, crede e agisce di conseguenza, da quasi due anni, in ossequio alla narrazione scientocratica, strumentale ed enfatizzante, di organismi sovrannazionali come l’OMS. La minaccia virale globale, presentata dai padroni del discorso politico-scientifico, ingabbia l’individuo globalizzato in una patologizzazione dell’esistenza, riuscendo nell’impresa di fare accettare anche aberrazioni giuridiche come la trappola liberticida “costi-benefici”, avallando così l’idea di una legittimità etica del sacrificio dell’individuo per il bene della collettività. Il successivo confinamento del cittadino nella cosiddetta nuova normalità, lo rende inesorabilmente sempre più controllato (a dispetto di privacy e costituzioni) nel suo pensare e nel suo agire, nel sociale e nel privato.
Chiediamoci adesso perché la maggioranza delle persone crede e agisce secondo il principio dell’eterogenesi dei fini, perseguendo l’obiettiva salvezza dalla malattia terrifica, rinunciando al proprio arbitrio, delegando, affidando alle autorità politiche e sanitarie il potere decisionale, seguendo i percorsi della maggioranza (il gregge ossequioso) senza adoperare la logica per analizzare gli accadimenti contraddittori e incoerenti che caratterizzano la scena socio-sanitaria mondiale, sin dall’inizio di questa psicopandemia.
Può esserci d’aiuto, per una maggiore comprensione di quanto accade nella psiche di chi agisce in stato acritico e conformista, l’esempio di un noto esperimento dello psicologo polacco Solomon Asch condotto nel 1951, i cui risultati darebbero credito a teorie sui comportamenti sociali come l’effetto carrozzone, l’effetto band wagon o l’effetto del falso consenso. Quando si parla di conformismo, il riferimento è a quella sorta di uguaglianza realizzata quando l’individuo cede alle pressioni sociali che lo costringono, a essere conforme agli altri.
“Non le lotte o le discussioni devono impaurire, ma la concordia ignava e l’unanimità dei consensi!” (Luigi Einaudi).
Solomon Asch per provare la sua teoria secondo la quale “il conformismo stravolge il concetto di verità!” radunò degli studenti universitari, uno per volta, in una stanza con otto suoi collaboratori fatti passare come altri partecipanti all’esperimento. Lo psicologo fece esaminare ai soggetti una scheda con tre linee di diversa lunghezza, in ordine decrescente, e una linea con la lunghezza identica a una delle prime tre, (vedi in esempio):
Poi chiese ai soggetti, iniziando dai suoi otto complici, quali fossero nel disegno le linee con la stessa lunghezza. Dopo qualche risposta esatta, alla terza serie di domande i complici iniziarono a rispondere, come da accordi, in maniera evidentemente inesatta. L’esito fu che, in molti casi, circa il 75% degli studenti soggetti all’esperimento rispose in maniera errata pur sapendo soggettivamente quale fosse la “vera” risposta giusta, adeguandosi alle scelte date in precedenza dalla maggioranza dei presenti. “solo una piccola percentuale si sottraeva alla pressione del gruppo, dichiarando ciò che vedeva realmente e non ciò che sentiva di “dover” dire”.
Solomon Asch poté così teorizzare che, i fattori che più di altri determinano la tendenza all’uniformità sociale, più precisamente, sono: le norme sociali, i modelli, il confronto sociale e l’autoconsapevolezza.
Sappiamo che le relazioni sociali tra gli individui sono favorite da norme o regole informali apprese già in età infantile attraverso la formazione scolastica, l’educazione in famiglia e nella società, tanto da risultare come norme “naturali” ed imprescindibili, anche se relative al contesto culturale di appartenenza. Un modo per risparmiare tempo ed energia è, infatti, quello che adottano gli individui quando prendono a modello, imitandolo, il comportamento del prossimo. Il fenomeno di adeguamento è definito contagio quando lo stesso comportamento è seguito da un gran numero di persone. Attraverso il confronto sociale, in base al consenso conseguito e all’osservazione degli altri, l’individuo valuta efficace o meno il proprio comportamento. Il risultato di queste dinamiche comportamentali è l’appagamento emotivo dovuto al senso di appartenenza a un gruppo di maggioranza e all’annullamento di ogni dubbio o perplessità latente.
Ancor prima di Solomon, a immaginare e approfondire i processi d’influenza sociale è stato lo psicologo turco Muzafer Sherif, che risulta essere tra i principali studiosi della psicologia sociale. Egli si è occupato in particolare dell’emergenza delle norme in gruppi posti in situazioni ambigue (esperimento stimolo sensoriale ambiguo). Sheriff sosteneva già nel 1936 che: quando gli stimoli sensoriali esterni sono ambigui le persone tendono a pensare che il gruppo di maggioranza deve avere ragione e che, quindi, il contatto con gli altri influenza la percezione del singolo, creando una sorta di norma percettiva.
Questi meccanismi che inducono l’individuo ad accettare qualsiasi narrazione dominante approvata come la più verosimile e buona da parte di una maggioranza della popolazione, sono scatenati o indotti da quelle entità riservate che da sempre rappresentano la guida autorevole e/o autoritaria dei popoli terrestri.
La peculiarità che accomuna tutti i manipolatori, che siano essi monarchi, capi di Stato, premier nominalmente democratici, sultani, capi religiosi, o presidenti a capo di grandi banche, di apparati finanziari e di organizzazioni scientifiche o mediche, la si riscontra nelle modalità propagandistiche con cui informano, educano ed addomesticano il gregge umano, nonché nella formula condivisa e ben collaudata di condizionamento contagioso del pensiero e dell’agire umano. Potremmo quindi riconoscere questa entità elitaria in tutti quei soggetti, salvo eccezioni, che esercitano da sempre, dall’alto della loro posizione di potere, l’azione impositiva di norme, regole, leggi e convenzioni.
Costoro, i manipolatori, esponenti principali di quel leviatano tecno-burocratico che guida l’odierna megamacchina profetizzata da Serge Latouche, immagino siano afflitti dalla così chiamata Triade oscura della personalità: Narcisismo, machiavellismo e psicopatia.
Rimando ai prossimi articoli l’approfondimento sul tema inerente la Triade oscura. A differenza della maggioranza delle persone che: quando deve esprimere un giudizio, prende in considerazione sia la correttezza della propria opinione, sia il giudizio degli altri, cercando prevalentemente di dare una “buona impressione”, (come sostenevano Jennifer D. Campbell e Patricia J. Fairey sul Psychology; Journal of Personality and Social Psychology nel Settembre del 1989), offro come sempre il fianco ai detrattori citando l’ennesimo aforisma esemplare e, nello specifico, sperando che non sia anche realisticamente profetico.
“Chi considera gli uomini come un gregge e fugge da loro il più velocemente possibile, ne sarà certamente raggiunto e preso a cornate”; (Friedrich Nietzsche).
William Mussini76 Posts
Creativo, autore, regista cinematografico e teatrale. Libertario responsabile e attivista del pensiero critico. Ha all'attivo un lungometraggio, numerosi cortometraggi premiati in festival Internazionali, diversi documentari inerenti problematiche storiche, sociali e di promozione culturale. Da sempre appassionato di filosofia, cinema e letteratura. Attualmente impegnato come regista nella società cinematografica e teatrale INCAS produzioni di Campobasso.
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