Dove il viaggio in treno o in metro è la stessa cosa
di Francesco Manfredi-Selvaggi
Da Matrice a Boiano sarà possibile prendere la Metropolitana Leggera la quale corre sugli stessi binari del treno ordinario. Assomiglia, per numero di soste, al vecchio Accelerato, ma i tempi sono molto più brevi. Le sue fermate sono simili a quelle degli autobus.
L’aspetto che qui si vuole prendere in considerazione a proposito della mobilità è quello di come i sistemi di comunicazione, sia essi su ferro sia su gomma, possono interferire con un altro sistema, quello insediativo, in particolare con la gerarchia tra i vari centri urbani. Ci soffermiamo sul singolare caso della Metropolitana Leggera la quale è immaginabile, una volta attivata, avrà influenze significative sul sub-sistema insediativo che comprende il capoluogo di regione, dunque su un’area regionale nevralgica.
È bene vedere le sue caratteristiche fisiche le quali, anticipando la conclusione del ragionamento, sono proprie di una metropolitana nonostante che il suo tracciato coincida con quello dei treni “normali”. Ciò che la distingue dal trasporto ferroviario ordinario è innanzitutto la brevità della tratta, da Matrice a Boiano, e, poi, la frequenza delle corse, ben 8 in un giorno; in comune con i treni, non quelli di oggi che sono tutte corse “dirette”, bensì di un tempo quando esistevano gli “accelerati” vi è il numero di fermate le quali avvengono in ciascuno dei comuni attraversati, pure, cioè, in quelli piccoli.
Sono tutte cose, ciò che si è appena detto, che riguardano l’orario ferroviario e non propriamente l’infrastruttura della Metropolitana, i suoi connotati “materiali” che si è premesso intendiamo guardare. Tra questi vi è l’automazione dei passaggi a livello sincronizzati con il transito dei convogli ferroviari, utilissima peraltro anche per quelli a, per così dire, lunga percorrenza, una infrastrutturazione digitale, ma pur sempre infrastrutturazione. È il coordinamento, mediante avanzate tecnologie informatiche, tra chiusura dei passaggi a livello e passaggio dei treni a permettere alla Metropolitana di mantenere velocità elevate nonostante le soste in ogni stazione, quelle soste che rendevano gli accelerati lenti.
A proposito delle innovazioni introdotte nei passaggi a livello è da aggiungere, al margine, che i caselli ferroviari, ornai inutilizzati, diventano figurativamente manufatti che ricordano un lontano passato acquistando nel contempo valenze di archeologia industriale. Si potrebbe pensare che l’entrata in funzione della Metropolitana porterà alla riapertura delle stazioncine dislocate lungo il suo percorso, tipo Campochiaro, interessanti in quanto testimonianze di una architettura specialistica risalente a oltre un secolo fa, quindi per ragioni storiche, ma non è così. In altri termini si vuole dire che la stazione di S. Polo danneggiata da un incendio più di un decennio orsono non potrà aspettarsi un restauro con i fondi della Metropolitana Leggera.
Le fermate della Metropolitana consistono non in un edificio, bensì in una semplice pensilina servita da un sottopasso il quale è corto perché siamo di fronte ad una strada ferrata a binario unico, altro problema della nostra rete ferroviaria; a Bojano, che abbiamo nominato quale uno dei due capolinea della Metropolitana, i binari aumentano e allora si è dovuto far ricorso, al posto del sottopassaggio ad un passaggio aereo, un camminamento sopraelevato in metallo che scavalca il fascio dei binari.
Visto che ci siamo, cioè che siamo a Boiano, ne approfittiamo per mettere in campo un’ulteriore opera infrastrutturale di cui si è discusso nella predisposizione del progetto della Metropolitana Leggera, quella di modifica della quota della ferrovia all’interno dell’ambito urbano per consentire che l’altezza del varco che si voleva creare al di sotto delle rotaie fosse sufficiente per il transito di qualsiasi tipo di veicolo, idea subito abortita.
Gli interventi stabiliti nella programmazione della Metropolitana Leggera sono, appunto, leggeri, non la alta massicciata su cui si sarebbero dovuti poggiare i binari dentro la cittadina matesina, un’autentica muraglia. Dei sottopassi si è detto qualcosa e basterebbe se si escludono quelli inclusi nel perimetro urbanistico della “capitale” del Molise (esclusione versus inclusione).
Qui le soste sono tre delle quali una è l’attuale stazione che per la sua posizione centrale rispetto alle altre fermate si potrebbe denominare, come si fa in molte città, Stazione Centrale; ne discende che di sottopassi nuovi ve ne sono due, connessi con le due nuove fermate, e magari ve ne fossero in numero superiore, dislocati in più punti specie lungo la linea per Termoli (quella per Boscoredole entrando nella superficie urbanizzata cammina in galleria per cui non interferisce con gli spostamenti in, di nuovo, superficie) poiché servirebbero per superare in sotterraneo la strada ferrata attualmente barriera, pressoché continua, tra i quartieri cresciuti al margine della Sannitica seguendo la Zonizzazione del PRG e l’urbanizzazione diffusa sfuggita alle previsioni del piano regolatore nel lato verso il Tappino.
È da far notare che i binari non sono assolutamente valicabili a differenza delle strade, anche di grande comunicazione che penetrano nel contesto abitativo, si pensi a Venafro in direzione Roma, purché dotate di semafori o quantomeno di passaggi pedonali. Indubbiamente le stazioni, le quali presentano tanto il corpo edilizio per servizi quanto la pensilina per la protezione dei viaggiatori dalle intemperie sulle piattaforme, offrirebbero rispetto alle fermate della Metropolitana Leggera che sono dotate solamente di pensiline, comodità aggiuntive, dai bagni alle sale di attesa al bar, se non fosse che attualmente le stazioni hanno perso le funzioni elencate e con esse il personale addetto il quale presenziandole garantiva la sicurezza dei passeggeri in transito.
Ad ogni modo, dispiace un pò la scomparsa delle stazioni, sia per dismissione sia per riduzione, nel caso della Metropolitana Leggera, a un mero marciapiede coperto da pensilina, il sottopassaggio è ovvio non si vede, in quanto sono state un simbolo del progresso, non è retorica, il segno più forte della grandiosa epopea della costruzione delle strade ferrate nel XIX secolo, il più vistoso, specie, sicuramente, quando è collocata in seno agli insediamenti abitativi, un punto di riferimento per la comunità non fosse altro che per l’orologio in facciata e per la piazza che le si apre davanti. Le fermate della Metropolitana Leggera rimandano invece alle fermate-bus.
Francesco Manfredi Selvaggi637 Posts
Nato a Boiano (CB) nel 1956. Ha conseguito la Maturità Classica a Campobasso e poi la laurea in Architettura a Napoli nel 1980. Presso la medesima Università ha conseguito il Diploma di Perfezionamento in Storia dell’Arte Medievale e Moderna e il Diploma di Perfezionamento in Restauro dei Monumenti. È abilitato all’esercizio della professione di Architetto e all’insegnamento di Storia dell’Arte nei licei e Educazione Tecnica nelle scuole medie. Dal 1997 è Dirigente, con l’attribuzione di responsabilità nei servizi Beni Ambientali (19 anni), Protezione Civile, Urbanistica, Sismica, Ambiente. Ha avuto un ruolo attivo in associazioni ambientaliste quali Legambiente Molise, Italia Nostra sezione di Campobasso e Club Alpino Italiano Delegazione del Molise. Ha insegnato all’Università della Terza Età del Molise ed è stato membro del Consiglio di Amministrazione della Fondazione dell’Ordine degli Architetti di Campobasso, occupandosi all’interno dello stesso del progetto di Archivio dell’Architettura Contemporanea. È Giornalista Pubblicista e autore di articoli, saggi e del volume La Formazione Urbanistica di Campobasso. Le ultime pubblicazioni sono: «Le Politiche Ambientali nel Molise» (2011) e «Problemi di tutela ambientale in Molise» del 2014.
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