Campobasso, che fenomeno (urbano)!
di Francesco Manfredi-Selvaggi
Il capoluogo del Molise, della Regione Molise ora e della Provincia di Molise prima, non lo era del Contado di Molise, semplicemente perché esso non possedeva un capoluogo. Non era neanche a quel tempo il centro egemone diventandolo solo con la nascita delle ripartizioni provinciali il che lascia da riflettere sul suo ruolo amministrativo.
È necessario partire da Vincenzo Cuoco che lamentava il fatto che nel Molise non vi fosse una città vera e propria per parlare dell’effetto-città sulla crescita di un territorio. Senza una città non si può avere, secondo il pensatore civitacampomaranese, l’affermazione delle «arti di lusso», quindi lo sviluppo dei consumi che parte da quelli delle èlite che qui vivono le quali hanno maggiore capacità di spesa; sono le classi elevate quelle che dispongono di un surplus reddituale da reinvestirsi nell’acquisto di beni non di prima necessità capaci di muovere l’economia del posto con ricadute anche sulle aree periferiche.
È questo solo uno dei benefici prodotti da una città, ma ve ne sono anche altri che vanno dai servizi di tipo direzionale al garantire, tramite apposite sedi di istruzione, la formazione dei ceti dirigenti. Riconosciuta la necessità della città, riconosciuta da tutti, la domanda che noi molisani dovremmo porci è che cosa sarebbe successo se Campobasso non si fosse evoluta in città; la risposta è che ci saremmo rivolti per i bisogni avanzati che vengono soddisfatti da una città, altrove, cioè fuori dai confini della regione.
Detto tutto ciò, incluse le considerazioni ipotetiche espresse, passiamo a vedere il processo che ha portato Campobasso a diventare un’autentica città, senza, però, tralasciare di aggiungere quanto segue: chi biasima che il nostro capoluogo, in età contemporanea, sia aumentato di popolazione a scapito dei piccoli paesi per una sorta di migrazione “interna” con il trasferimento di persone da questa al centro maggiore, contribuendo, insieme alla migrazione “esterna” (in direzione nord Italia e dell’estero), al loro svuotamento demografico trascura di riflettere sul fatto che senza il costituirsi di un polo cittadino nel Molise vi sarebbe stata la gravitazione verso località urbane extraregionali, in quanto di una città non si può proprio fare a meno.
Campobasso ha l’obbligo morale per il sacrificio in termini di abitanti richiesto, è ovvio non esplicitamente, ai borghi minori di restituzione al “contado” di facilities nel campo educativo, predisponendo, ad esempio, agevolazioni logistiche per gli studenti fuori sede, sanitario, creando strutture di appoggio per i famigliari dei pazienti ricoverati nel nosocomio cittadino, tanto per dirne due, e di tale debito gli amministratori comunali non si devono dimenticare.
Lasciato da parte il discorso sul rapporto tra città di riferimento e insediamenti di dimensioni ridotte così come si era fatto prima con quello relativo all’essenza della città, i quali insieme si possono considerare un enorme preambolo, strabordante, sovradimensionato nell’economia del testo, addirittura eccessivo, ma è così, possiamo finalmente vedere il percorso che ha seguito Campobasso nella sua trasformazione in città, il tratto conclusivo, gli ultimi 200 anni.
Con l’investitura a Capoluogo di Provincia già nel Decennio Francese Campobasso diventa sede di uffici pubblici con le funzioni amministrative che si accrescono notevolmente sotto lo Stato unitario. Un ruolo primario nella vita cittadina lo hanno le scuole cui affluiscono, in particolare le superiori e in particolare dal Secondo Dopoguerra, ragazzi da un ampio raggio territoriale che con l’avvento dell’Università (in seguito decentrata anche ad Isernia e Termoli) viene a ricomprendere pure porzioni di Regioni confinanti.
Le attività terziarie, tra cui il consistente comparto burocratico, e scolastiche attirano nuovi residenti alle residenze dei quali, congiuntamente alle opere di urbanizzazione, provvede una fiorente industria delle costruzioni; pure gli addetti di quest’ultima abbisognano di un alloggio e, quindi, come in una “catena di S. Antonio”, si espande il numero dei lavoratori nell’edilizia e, di conseguenza, dei cittadini campobassani. A cavallo dei due millenni comincino a comparire, aumentando l’attrattività del nostro centro, magari richiamando presenze saltuarie, non stabili, nell’immediata periferia urbana centri commerciali e luoghi di intrattenimento, prendi le discoteche e i locali ricreativi, come multisale cinematografiche.
Certo, la spinta è stata esogena, la designazione al ruolo di governo della ripartizione provinciale, ma ci deve pur essere stato qualcosa di endogeno nell’affermazione di Campobasso quale città. A prescindere che nella civiltà europea sono rari, salvo pochi esperimenti, i casi di città nate ex-novo, la “via italiana” alla formazione delle città moderne è stata quella dell’implementazione di mature entità urbanistiche preesistenti.
La Campobasso capoluogo, prima di Provincia e ora di Regione era stata il feudo privilegiato del Conte Cola di Monforte ed ospitava la Doganella, organo dipendente dalla Dogana di Foggia, chiamata a controllare la transumanza e perciò godeva da quel periodo di un certo prestigio, possedeva un certo status, nonostante non fosse il centro egemone che in Molise mancava, si stava sviluppando nel piano, condizione morfologica favorevole per l’urbanistica dell’Illuminismo.
C’era, inoltre, la centralità nel comprensorio provinciale, anche se l’ubicazione nel baricentro della provincia era sfavorevole per i collegamenti con le capitali del Regno, tanto delle Due Sicilie, Napoli, quanto d’Italia, Roma. In definitiva la posizione di Campobasso era felice per le comunicazioni con i paesi della provincia e infelice per quelli di scala nazionale.
Comunque, con l’avvento delle ferrovie nella seconda metà del XIX secolo essa venne dotata di una stazione ferrovie perché l’arrivo dei treni era garantito ad ogni capoluogo provinciale e ciò ruppe l’isolamento. Adesso si vuole riprendere, legandolo alla questione della localizzazione del capoluogo molisano, il tema della imprescindibilità della città per il funzionamento di un sistema insediativo osservando che Campobasso in quanto città potrebbe candidarsi a colmare un vuoto, per così dire, urbano di realtà con armatura urbana che si coglie esserci in una vastissima area che va da Foggia a Pescara, Campobasso sta in mezzo, una porzione significativa della fascia mediana della Penisola, tra l’Italia centrale e meridionale, che affaccia sull’Adriatico, guardando oltre il Molise.
Francesco Manfredi Selvaggi645 Posts
Nato a Boiano (CB) nel 1956. Ha conseguito la Maturità Classica a Campobasso e poi la laurea in Architettura a Napoli nel 1980. Presso la medesima Università ha conseguito il Diploma di Perfezionamento in Storia dell’Arte Medievale e Moderna e il Diploma di Perfezionamento in Restauro dei Monumenti. È abilitato all’esercizio della professione di Architetto e all’insegnamento di Storia dell’Arte nei licei e Educazione Tecnica nelle scuole medie. Dal 1997 è Dirigente, con l’attribuzione di responsabilità nei servizi Beni Ambientali (19 anni), Protezione Civile, Urbanistica, Sismica, Ambiente. Ha avuto un ruolo attivo in associazioni ambientaliste quali Legambiente Molise, Italia Nostra sezione di Campobasso e Club Alpino Italiano Delegazione del Molise. Ha insegnato all’Università della Terza Età del Molise ed è stato membro del Consiglio di Amministrazione della Fondazione dell’Ordine degli Architetti di Campobasso, occupandosi all’interno dello stesso del progetto di Archivio dell’Architettura Contemporanea. È Giornalista Pubblicista e autore di articoli, saggi e del volume La Formazione Urbanistica di Campobasso. Le ultime pubblicazioni sono: «Le Politiche Ambientali nel Molise» (2011) e «Problemi di tutela ambientale in Molise» del 2014.
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