Il declino servile della TV generalista
di William Mussini
La trasmissione Rai “Non è mai troppo tardi. Corso di istruzione popolare per il recupero dell’adulto analfabeta” curata da Oreste Gasperini, Alberto Manzi e Carlo Piantoni, ebbe inizio il 15 novembre 1960 e andò in onda sul primo canale, a cadenza giornaliera nella fascia preserale. Il programma proponeva ai telespettatori italiani delle autentiche lezioni scolastiche tenute dal maestro Alberto Manzi, rivolte a classi formate da adulti perlopiù analfabeti, nelle quali venivano utilizzate tecniche di insegnamento innovative grazie all’ausilio di filmati o dimostrazioni pratiche, nonchè degli esplicativi schizzi in carboncino su lavagna dello stesso maestro Manzi. Il l’inguaggio utilizzato era comprensibile, semplice e piacevole, per nulla cattedratico.
Potrei affermare senza timore di smentita che quella TV degli esordi e, nello specifico, la trasmissione
televisiva di Manzi votata al servizio a beneficio dei cittadini, appare oggi come un gioioso e tenero ricordo
fanciullesco, tuttavia avanti anni luce, in senso qualitativo, da tutto ciò che, nella stragrande maggioranza dei casi, viene trasmesso oggi dalle nostre reti generaliste, sia pubbliche che private. A fare la
differenza tra le proposte televisive degli esordi catodici e quelle odierne sono una serie di ingredienti
facilmente individuabili.
Pur ribadendo che gli attori inalterati del mondo televisivo sono, i comunicatori e i telespettatori, i cambiamenti più evidenti avvengono in riferimento a diversi punti: la dialettica utilizzata nei telegiornali e nei programmi di intrattenimento, l’impostazione semantica dei messaggi veicolati, la crescente e pervasiva ingerenza della pubblicità nei palinsesti (sotto forma di sponsorizzazioni e stacchi pubblicitari) e, non da ultimo, la lottizzazione politica dei canali RAI nonchè delle reti private, anch’esse megafono di schieramenti politici in apparente contrapposizione.
Verosimilmente, la nostra comunicazione radiotelevisiva ha registrato una involuzione qualitativa inarrestabile che ha raggiunto la sua acme proprio negli ultimi anni, ed ancor più oggi, in piena emergenza psico pandemica. Siamo passati, nell’arco di cinquant’anni, da programmi pubblicitari innocui ed artistici, come l’indimenticato Carosello, alle televendite di Vanna Marchi degli ’80 berlusconiani, sino alle pause pubblicitarie nei talk show chiamate a comando per zittire interlocutori scomodi. Ed ancora, dagli sceneggiati in prima serata come L’Odissea, Pinocchio, Il conte di Montecristo, I fratelli Karamazov, siamo passati nel corso dei decenni a programmi popolari come Domenica in, poi a varietà più spinti come Fantastico e Non è la RAI. Con Berlusconi e le sue reti siamo approdati a Drive in ed a tutta una serie di format che hanno permesso il definitivo sdoganamento del banale e degli inutili idioti, affratellati in diretta sotto gli occhi del popolo di pettegoli casalinghi.
Abbiamo dunque abbandonato definitivamente l’idea di una televisione educativa e funzionale alla crescita sociale/culturale? Come mai siamo giunti ad un così elevato livello di mistificazione?
A darci una parziale risposta intervenne, già nel 2017 lo scrittore Andrea Camilleri che, durante una intervista sullo stato dell’alfabetizzazione in Italia, per avvalorare la sua tesi che attribuiva al potere politico la qualità di accentratore e di manipolatore univoco dell’informazione, citò uno studio del 2015 pubblicato da Tullio De Mauro: linguista, lessicografo, ex ministro della pubblica istruzione del governo Amato. Il rapporto citato da Camilleri parlava della presenza in Italia di 2 milioni di analfabeti totali, di 13 milioni di semianalfabeti (sanno leggere ma non capiscono ciò che leggono) ed altri 13 milioni di analfabeti di riporto che hanno cioè perso l’uso della scrittura e della lettura. Questi 28 milioni di italiani, analfabeti o semi analfabeti, si chiese Camilleri, nel momento nel quale si recano a votare, su che cosa basano le loro convinzioni? La risposta che si diede fu: “sulle televisioni! Ecco perché da parte del potere assolutamente indispensabile che l’informazione sia univoca, […] sia indirizzata in un unico senso, dopo di che la poca e scarsa e miseranda informazione libera, può essere sottoposta ad una serie di eventi tecnici che ne diminuiscono la diffusione nel territorio, in maniera che sempre di più prevalga l’informazione condizionata”.
Come si spiega la deriva paternalistica filogovernativa dell’informazione mediatica e il comportamento deontologicamente scorretto di numerosi giornalisti, conduttori e opinionisti del mainstream?
Si avverte, a buona ragione, la necessità di riesumare il buon maestro Alberto Manzi e di riproporre a reti
unificate la sua compianta trasmissione “Non è mai troppo tardi” che andò in onda soltanto per un
decennio, evidentemente un periodo non sufficientemente esauriente.
Il maestro e conduttore Manzi andrebbe ricordato anche per un’altra sua iniziativa: nel rifiutare di compilare le “schede di valutazione” che la riforma della scuola aveva introdotto al posto della pagella nel 1981, Manzi ebbe a dire: “non posso bollare un ragazzo con un giudizio, perché il ragazzo cambia, è in movimento; se il prossimo anno uno legge il giudizio che ho dato quest’anno, l’abbiamo bollato per i prossimi anni”. A seguito di questa sua presa di posizione, il maestro d’Italia fu sospeso dall’insegnamento e gli venne revocato lo stipendio; nel ricordarlo, appare inevitabile e lampante l’analogia con quanto sta accadendo oggi a tutti quei docenti che non si sottopongono al ricatto vaccinale voluto dal governissimo.
Ad oggi, purtroppo, continuiamo a fare i conti con una televisione generalista in continuo declino, farcita di facce sorridenti a 32 denti, di vipere e viperette faziose e volgari, di tuttologi prezzolati, di telegiornali che hanno trasformato l’informazione e la cronaca in una rappresentazione teatrale filtrata e conformata alle volontà del potere politico. Non a caso, il Ministero dello Sviluppo economico ha nuovamente erogato nel 2021, il contributo straordinario per la trasmissione di messaggi di comunicazione istituzionali (emergenza sanitaria).
È stato infatti rifinanziato, con 20 milioni di euro per l’anno 2021, il “Fondo emergenze per le
emittenti locali”, istituito nel 2020 per l’erogazione di un contributo straordinario in favore delle emittenti
radiotelevisive locali che si impegnavano a trasmettere messaggi di comunicazione istituzionale relativi all’emergenza sanitaria Covid-19, attraverso la trasmissione quotidiana di informazione locale, a beneficio dei cittadini. (art. 195 del DL 19 maggio 2020, n. 34).
Leggo dal sito del Ministero: “Possono accedere al contributo 2021 le emittenti locali che si impegnano a
trasmettere messaggi di comunicazione istituzionale relativi all’emergenza sanitaria all’interno dei propri spazi informativi”. Mi domando: sarà forse per questo che la stragrande maggioranza delle TV in Italia parlino la medesima lingua sulla vicenda “emergenza sanitaria” e che, contemporaneamente, sorgono organismi censori di controllo per limitare l’informazione non necessariamente allineata alla linea ufficiale alla stregua del famigerato MinCulPop? Sarà forse un caso che, parallelamente a questo, numerosi medici in contrasto con i protocolli sanitari governativi sono stati puntualmente sospesi dall’Ordine o ridicolizzati e messi a tacere dai sedicenti conduttori televisivi democratici? Possiamo ancora parlare di informazione libera? Oppure ci sarebbero i presupposti per immaginare una ipotetica compravendita di informazioni la cui diffusione interessata è stata determinante per l’ottenimento di consensi da parte del governo?
A questo punto, per un maggiore chiarimento, entra in gioco la teoria degli atti linguistici del filosofo e linguista inglese J.L. Austin che, opponendosi alla concezione dominante nell’ambito della filosofia del linguaggio, secondo la quale le parole non sarebbero altro che la rappresentazione delle cose, dimostra come, invece, la loro funzione primaria non sia tanto dire, quanto fare: le parole non dicono semplicemente qualcosa, eseguono azioni, dunque, l’informazione televisiva odierna, l’intrattenimento pomeridiano e l’approfondimento politico in TV hanno, ancora più oggi, l’infausta capacità di modificare lo stato delle cose attraverso l’uso delle parole, a vantaggio dei committenti ed a scapito dei cittadini sempre meno consapevoli.
Parafrasando, dico a te caro lettore, se ascoltando la Tv dai per scontato che tutto ciò che viene detto sia il
racconto del reale, stai accettando acriticamente una delle narrazioni prescelte da chi evidentemente ha
interesse nel divulgarla in spregio ad una rappresentazione più completa ed approfondita della realtà come la deontologia del giornalismo vorrebbe.
William Mussini76 Posts
Creativo, autore, regista cinematografico e teatrale. Libertario responsabile e attivista del pensiero critico. Ha all'attivo un lungometraggio, numerosi cortometraggi premiati in festival Internazionali, diversi documentari inerenti problematiche storiche, sociali e di promozione culturale. Da sempre appassionato di filosofia, cinema e letteratura. Attualmente impegnato come regista nella società cinematografica e teatrale INCAS produzioni di Campobasso.
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