Il cibo, materiale e il patrimonio culturale immateriale

di Francesco Manfredi-Selvaggi

La transumanza lo è già e con essa, di conseguenza, l’alimentazione dei pastori. Vediamo in che consiste l’iscrizione nella lista Unesco, i requisiti, le modalità di valorizzazione e i pericoli da evitare. Lo spostamento delle greggi dall’Abruzzo alla Puglia è un fenomeno capace di incidere sulla vita dei transumanti, ma anche delle comunità attraversate.

Conta, è vero, cosa si mangia, per le ovvie implicazioni sulla salute della persona, ma conta pure come si mangia, anche, per adesso, per ragioni sanitarie contribuendo la masticazione lenta ad una buona digestione. Non si intende, però, parlare qui di questioni di corretta alimentazione perché il tema che si vuole affrontare è piuttosto di tipo culturale, non igienistico e coinvolge il “come” piuttosto che la “cosa”; il mangiare, dunque, verrà visto in un’ottica antropologica. Non si discuterà, però, delle modalità del consumo del cibo in termini generali, volendo riferirsi in particolare a quanto succede in transumanza.

Se in ogni tipo di lavoro ci si ferma per un certo lasso di tempo per pranzare (notate, ci si riferisce al pranzo) con tranquillità, durante il viaggio che porta le greggi dall’Abruzzo alla Puglia non c’è possibilità di giorno per il pastore di sostare dovendo egli tenere d’occhio costantemente le pecore; egli mangia in piedi come al bancone di un bar, oltre che da solo, ancora come al bancone di un bar. Esclusivamente a fine giornata, radunati i capi di bestiame in un recinto, acceso il focolare per la cottura della cena (le pentole durante il trasporto sono appese all’ “arcicrocco”, un bastone di legno con più appigli, alla stregua di un appendiabiti) ci si può sedere e condividere il desinare con gli altri transumanti con cui ci si accompagna.

È un momento, quello della mensa comune anche di convivialità nella nostra tradizione. La colazione, comunque, è il pasto più abbondante e ciò è usuale nel mondo contadino. Avete visto che al cosa e al come abbiamo aggiunto, en passant, pure il quando, mattina, mezzogiorno e sera, ci si nutre per affrontare, per tappe, la lunga traversata dalle montagne abruzzesi alle pianure pugliesi.

Il quando entra in campo non solo per le ore del giorno destinate al nutrimento, ma anche in relazione alla suddivisione delle giornate in feriali e festive, cioè la domenica: nelle settimane, almeno 6, destinate alla transumanza i giorni sono tutti lavorativi, magari la domenica ci si potrà concedere qualche pietanza più gustosa ai medesimi orari del tempo ordinario.

Al regime dietetico del transumante si aggiungono inoltre i frutti selvatici colti durante il percorso o meglio raccolti, un verbo che fa da pendant con il vocabolo raccoglitore, termine che identifica il comportamento dell’uomo in epoca primitiva, prima che diventasse cacciatore (a seguito della scoperta dell’accensione del fuoco, senza cui la carne non è commestibile) e, infine, agricoltore; con ciò ovviamente non si vuole affermare che il transumante è un preistorico! Si sono poste finora una serie di questioni connesse all’alimentazione, la quale, a sua volta, è una delle questioni dell’ampio universo dell’antropologia.

Quest’ultima è, per così dire, la disciplina regina negli studi finalizzati alla candidatura di specifiche manifestazioni delle diverse civiltà all’inserimento nel Patrimonio Culturale Immateriale dell’Unesco. Queste forme della società umana sono comprensive di cose materiali (insieme al cibo vi sono, tra gli altri, i vestiti, gli oggetti, le costruzioni), di una componente verbale (i racconti, le leggende, tra cui i miti, i proverbi), di abilità (visuali, musicali, tecniche), di atteggiamenti (i gesti, la postura, la pettinatura).

Le espressioni delle civilizzazioni sono molteplici per cui la lista di quelle che vengono riconosciute meritevoli di esserne ricomprese nella lista dell’apposito organismo dell’ONU è destinata ad ampliarsi costantemente. Lo scopo dell’Unesco non è di semplice notaio che procede a verificare i requisiti per l’iscrizione delle domande pervenute quanto piuttosto quello di far venire fuori tutte le sfaccettature di ciò che noi consideriamo nel loro insieme, umanità. Nonostante che si chiami patrimonio l’interesse non è patrimoniale, nel senso che l’aspirazione ad appartenere a tale elenco non deve essere legata al desiderio di incrementare l’appeal turistico, ciò non ha ragione d’essere se non in via succedanea.

La finalità primaria dell’iniziativa Unesco è quella di rivificare modalità di vita comunitaria che vanno sparendo, i valori che esse si portano dietro, ad esempio l’accettazione della convivenza tra i componenti di un gruppo sociale, il rispetto di una comunità verso l’ambiente, l’orgoglio di appartenenza ad un luogo e, cambiando scala, passando a quella del singolo, di stimolare la partecipazione degli individui, un tempo scontata, agli obiettivi di sostenibilità ambientale. Si vuole fare in maniera che il sistema valoriale che viene spinto all’emersione passare essere di ispirazione alla presente e alle future generazioni.

Occorre che esso si cali nelle attività quotidiane, pur se si ammette che i suoi contenuti vengano reinterpretati dai giovani rimanendo, ad ogni modo, un punto di riferimento nella coscienza collettiva. Come potete ben vedere non c’è nulla in comune con il folclore il quale è uno strumento per fossilizzare un patrimonio che è, tutto sommato, ancora vivente. Con la folclorizzazione si ha la perdita di autenticità, si semplifica la complessità del trascorso, si banalizzano le usanze, si adattano le tradizioni ad uso dei turisti, si stereotipizza il vissuto, arrivando addirittura a “inventare” il passato, le “storiche” sagre molisane hanno avuto inizio, in verità, nel secolo scorso (salvo i Misteri).

Gli eventi folcloristici promossi dalle varie pro-loco si pongono in qualche modo, in competizione fra loro, atteggiamento scarsamente condivisibile; è impensabile una gerarchia nel settore della cultura: le testimonianze non vanno “spettacolarizzate”, esse sono tanto più valide quanto più sono rispettose delle “tracce”, di solito labili, che ci sono state tramandate, non vale la pena abbellirle. Non c’è un andamento gerarchico e, però, ha valenze più universali qualcosa che riguarda più contesti, più popoli come è la transumanza che si svolge in molte parti del Pianeta.

Francesco Manfredi Selvaggi637 Posts

Nato a Boiano (CB) nel 1956. Ha conseguito la Maturità Classica a Campobasso e poi la laurea in Architettura a Napoli nel 1980. Presso la medesima Università ha conseguito il Diploma di Perfezionamento in Storia dell’Arte Medievale e Moderna e il Diploma di Perfezionamento in Restauro dei Monumenti. È abilitato all’esercizio della professione di Architetto e all’insegnamento di Storia dell’Arte nei licei e Educazione Tecnica nelle scuole medie. Dal 1997 è Dirigente, con l’attribuzione di responsabilità nei servizi Beni Ambientali (19 anni), Protezione Civile, Urbanistica, Sismica, Ambiente. Ha avuto un ruolo attivo in associazioni ambientaliste quali Legambiente Molise, Italia Nostra sezione di Campobasso e Club Alpino Italiano Delegazione del Molise. Ha insegnato all’Università della Terza Età del Molise ed è stato membro del Consiglio di Amministrazione della Fondazione dell’Ordine degli Architetti di Campobasso, occupandosi all’interno dello stesso del progetto di Archivio dell’Architettura Contemporanea. È Giornalista Pubblicista e autore di articoli, saggi e del volume La Formazione Urbanistica di Campobasso. Le ultime pubblicazioni sono: «Le Politiche Ambientali nel Molise» (2011) e «Problemi di tutela ambientale in Molise» del 2014.

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