Monte Miletto, l’enigma del nome

di Francesco Manfredi-Selvaggi

Per farsi rispettare questa montagna, che andrebbe rispettata già solo per il fatto che è la più alta del Matese, ha adottato un nome evocativo di eventi bellici (il riferimento ai militi). Speriamo che ciò basti per evitare che la vetta venga violata dagli impianti sciistici.

Una montagna per affascinare veramente non è sufficiente che sia alta, il Miletto è la cima più alta del Matese, ma occorre che abbia un nome suggestivo e il nostro monte lo ha, Mons Militum in latino che significa monte dei militi. Tutto il Matese è stato un luogo di arroccamento di gente indominata, a partire dai sanniti che furono dei militi coraggiosi in lotta con la superpotenza romana; ebbero quale ultimo baluardo proprio questo monte, forse perché il più elevato e quindi il più faticoso da raggiungere.

Per i briganti esso costituiva il posto, di nuovo per la sua altezza, maggiormente distante dai centri abitati presidiati dall’esercito piemontese, dove, quindi, sentirsi al sicuro. Per quanto riguarda i rifugi le persone dedite al brigantaggio potevano sfruttare le grotte delle Ciaole, immediatamente sotto la cima, e del Fumo un po’ più in là (oltre, ancora nel blocco del Miletto, ci sono i resti della capanna di Sabatino il Maligno, di nome e di fatto).

Queste sono le uniche bucature con sviluppo orizzontale, pertanto idonee ad essere utilizzate quali ripari, perché il resto delle cavità presenti sul massiccio matesino che sono tantissime essendo una zona carsica, si sviluppano in verticale, gli inghiottitoi al centro delle doline. Probabilmente monte Miletto è stato denominato in tale maniera perché vi si svolse una battaglia e ciò, cioè che un toponimo sia stato determinato da un episodio eccezionale o meno, non è infrequente; si è detto probabilmente in quanto non vi è sicurezza sull’etimologia ed a rendere più complicata l’interpretazione è la circostanza che vi è pure un comune, appunto Montemiletto, lontano da qui che si chiama allo stesso modo.

Si è iniziato dicendo che a rendere fascinoso un rilievo montano concorre pure la sua denominazione e, di certo, l’etimo legato a geste guerresche ha un qualche appeal, ma, a dire la verità, la località diventa più intrigante se il nome che la identifica è enigmatico. È un enigma autentico il fatto che ci sia altrove un nucleo abitato che si chiami Montemiletto, non tanto per l’impiego del vocabolo monte nel caso di un insediamento residenziale poiché vi sono altre entità comunali che lo contengono, prendi i 2 Montenero molisani: Montefalcone, Montemitro, quanto piuttosto perché se in realtà urbane monte e Miletto sono inscindibili fra loro invece in un certo monte, la vetta matesina, è consentito omettere il termine monte e chiamarlo solo Miletto come avviene nell’uso comune.

Anzi sembra addirittura superfluo premettere il nome monte quando ci si riferisce al Miletto, il che, peraltro, non è una sua prerogativa assoluta, quasi un’esclusiva, in quanto è usuale pure per il Mutria; La Gallinola è un caso limite, nessuno si sognerebbe di chiamarla monte La Gallinola. In altitudine, per facilitare, è da ritenersi, l’orientamento la gran parte dei siti ha il nome preceduto dal suo riferimento geografico: il piano (Pianelle, Pianellone) ovvero il Campo, sia esso Campo delle Ortiche sia Campo dell’Orso sia Campo dell’Arco e, stranamente, Campitello, un diminutivo nonostante sia il più ampio, il valico che è Passo, Crocella, Guado, della Borea e delle Giumente, Sella, del Perrone, il colle, ad esempio Colle Tamburo o Colle del Monaco, ambedue confinanti con il Miletto.

Quest’ultimo, cioè colle, è equivalente di fatto a monte, raggiungendo quote analoghe e, comunque, si distingue dal secondo, il monte, per una questione tutto sommato secondaria che sconfina tra cose curiose che, però, è interessante perché al contrario delle emergenze montuose che presentano il suffisso monte per altre non sono ammesse riduzioni nella terminologia, tipo il Tamburo o il Monaco.

Quanto si è detto sopra non vale per il Matese che è un caso a sè: si può pronunciare così o aggiungere l’indicazione morfologia che adesso non è monte, bensì monti.  La sua singolarità sta pure nel fatto che da esso discende un aggettivo, matesino. Non esiste, per intenderci, milettese e tanto meno montemilettese il quale è appropriato solamente per l’abitante dell’omonimo centro. Se il lessico muta, mutano pure i nomi delle montagne, niente di più facile. Anche il Miletto ha subito un’evoluzione terminologica a cominciare, siamo agli inizi del secolo scorso, dalla comparsa nella parlata volgare, beninteso non nel senso di maleducata, e, ad ogni modo, non nella nomenclatura ufficiale della cima Croce; è un punto del Miletto dove è stato eretto un crocifisso metallico.

Recentissimamente ha cominciato a diffondersi tra gli appassionati di alpinismo l’abitudine di chiamare Cerro Torre un punto della fascia sommitale del Miletto, a lato del circo glaciale, ribattezzandolo così in onore di un picco della catena andina. Matese è da tempo che è sceso a valle, prendi S. Polo, nucleo urbano che oltre al nome, per l’appunto Polo, ha pure un cognome che è Matese, a differenza di Miletto la cui calata in basso è iniziata all’incirca mezzo secolo fa.

Miletto è il brand di un’azienda di logistica a Guardiaregia, di, un tempo, un hotel a Roccamandolfi, di un caseificio a Boiano e, poi, c’è il cognome Miletto. Matese quale marchio è, ovviamente, molto più diffuso e, peraltro, è sfruttato come richiamo pubblicitario pure nel versante campano del massiccio, dove il riferimento per un prodotto commerciale, per un’attività ristorativa o alberghiera al Miletto, nonostante sia la maggiore cima del complesso montuoso non c’è mai. La ragione della sua mancanza di appeal in Campania va ricercata nel fatto che esso è nel Molise, come del resto il resto delle vette altitudinalmente superiori.

In territorio molisano, per completezza in provincia di Isernia e, scendendo di scala, nel perimetro comunale di Roccamandolfi (strano ma vero quello di S. Massimo finisce 50 metri più sotto della curva di livello terminale). Qui si è verificata un’ulteriore stranezza (si conferma che c’è aria di mistero intorno al Miletto) che l’albergo già citato storicamente intitolato Miletto ha cambiato intestazione, Casale Maginuflo, ritenendo più accattivante l’evocazione del condottiero longobardo al picco montano. Sic transit gloria mundi.          

Francesco Manfredi Selvaggi645 Posts

Nato a Boiano (CB) nel 1956. Ha conseguito la Maturità Classica a Campobasso e poi la laurea in Architettura a Napoli nel 1980. Presso la medesima Università ha conseguito il Diploma di Perfezionamento in Storia dell’Arte Medievale e Moderna e il Diploma di Perfezionamento in Restauro dei Monumenti. È abilitato all’esercizio della professione di Architetto e all’insegnamento di Storia dell’Arte nei licei e Educazione Tecnica nelle scuole medie. Dal 1997 è Dirigente, con l’attribuzione di responsabilità nei servizi Beni Ambientali (19 anni), Protezione Civile, Urbanistica, Sismica, Ambiente. Ha avuto un ruolo attivo in associazioni ambientaliste quali Legambiente Molise, Italia Nostra sezione di Campobasso e Club Alpino Italiano Delegazione del Molise. Ha insegnato all’Università della Terza Età del Molise ed è stato membro del Consiglio di Amministrazione della Fondazione dell’Ordine degli Architetti di Campobasso, occupandosi all’interno dello stesso del progetto di Archivio dell’Architettura Contemporanea. È Giornalista Pubblicista e autore di articoli, saggi e del volume La Formazione Urbanistica di Campobasso. Le ultime pubblicazioni sono: «Le Politiche Ambientali nel Molise» (2011) e «Problemi di tutela ambientale in Molise» del 2014.

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