Montagne double face
di Francesco Manfredi-Selvaggi
Sono quelle appenniniche, quindi anche il Matese, poiché hanno gli opposti versanti direzionati verso 2 mari diversi. Le distese marine, se ampie, il Tirreno, se strette, l’Adriatico, determinano situazioni climatiche differenti e quindi caratteristiche ambientali dissimili. I crinali sono sempre battuti da venti provenienti ora dal bacino tirrenico ora da quello adriatico rendendo impraticabile l’idea di sciare sulla cima di M. Miletto.
Dobbiamo parlare di Appennino, sempre avendo in mente il Matese, ma iniziamo parlando di Alpi in quanto necessario complemento per l’inquadramento del primo nel sistema montuoso continentale intendendo per continente quello euroasiatico. Come vedremo dopo non ci limiteremo nella descrizione del quadro delle formazioni montane in cui si inserisce la catena appenninica a tale area, cioè quella che abbraccia l’Europa e l’Asia, poiché allargheremo lo sguardo anche ai rilievi del nord Africa i quali sono prospicienti il Mediterraneo.
Il focus del nostro discorso sarà quello delle montagne che affacciano sul bacino del mediterraneo. La prendiamo alla lontana, di certo, è però inevitabile accennare alla corona alpina la quale costituisce una specie di testata che conclude, posta com’è in testa alla Penisola, la serie dei monti dell’Appennino che ne sono la spina dorsale, in qualche modo, quasi l’Italia avesse un aspetto antropomorfo. È scontato che serva, poi, fare entrare anche le Alpi nella discussione in quanto utile pietra di paragone qualora si voglia mettere in risalto una peculiarità dell’Appennino condivisa con le altre emergenze montuose specchiantesi, per così dire, nelle acque del Mare Nostrum che è quella della prossimità con la distesa marina.
Non è cosa da poco una simile condizione geografica in quanto da essa discendono le caratteristiche vegetazionali, climatiche, ecc. in una parola l’ecosistema, cose che non approfondiremo. Procediamo con ordine: il noto meteorologo Guido Caroselli dice in un suo libro che esiste la cintura alpina-himalayana avente un’unica età ed origine, cintura continua seppure con alcune interruzioni (tra le Alpi e i Carpazi, tra i Carpazi e i Monti del Ponte in Turchia e tra i Carpazi e il Caucaso per via del Mar Nero).
Per l’altra cinta, quella intorno al Mediterraneo, utilizziamo Il Grande Libro delle Montagne (Vallardi editore). Essa è composta, muovendo in senso orario, così: dai monti della Dalmazia, Alpi Dinariche, sull’Adriatico (per quanto vedremo dopo specificazione opportuna) ci si sposta verso occidente sulle coste tunisine e marocchine dove c’è l’Atlante e da qui, superato lo Stretto di Gibilterra, si passa all’ultimo anello di questo grande arco che circonda il mare Mediterraneo costituito dalla cordigliera betica nella Spagna.
In mezzo, in mezzo alla vasta superficie acquatica vi è la nostra nazione con gli Appennini, si noti il plurale, e in mezzo ad essi ovvero nel centro vi è l’Appennino, singolare, appunto centrale. Se includiamo e, del resto è doveroso, pure le formazioni montagnose della Sicilia nella teoria degli Appennini, dai Nebrodi alle Madonie, il baricentro della catena si sposta un po’ più in giù e, guarda caso, viene a coincidere pressappoco con il Matese. Sciovinismo, il nostro a parte, il richiamo ai monti siciliani è interessante se limitiamo lo sguardo al Mediterraneo Occidentale: il cerchio di montagne intorno ad esso è completamente chiuso, non presenta alcuna lacuna, a differenza di quanto si verifica per il Mediterraneo preso nella sua interezza, cioè comprensivo della parte orientale, in cui, invece, si colgono discontinuità nello sviluppo ai suoi margini di sistemi montuosi.
Ritornando al Bel Paese e rimanendo sulla questione dell’appartenenza o meno delle strutture montane della sua principale isola alla catena appenninica vediamo che qualora le si considerino la sua propaggine conclusiva allora l’Appennino, in pianta, assume una forma lievemente arcuata (ben poca cosa rispetto alla curvatura dell’arco, perlappunto, alpino). Non hanno, però, le montagne isolane una caratteristica precipua dei monti appenninici, che non hanno neanche tutto il resto delle formazioni montane con i piedi bagnati; se così si può dire, dal Mediterraneo, la quale, è di essere double face, con i versanti opposti che volgono in direzione di mari diversi e non solo diversi, ma pure vicini fra loro in quanto l’Italia peninsulare è sottile, specie all’altezza del Molise.
Troppo spessa è la Sicilia affinché ciò avvenga; prosecuzione dell’Appennino o meno, le sue montagne sono, ad ogni modo, essenziali per garantire il collegamento tra le formazioni montuose nord-africane e quelle appenniniche, separate dalle prime dal Canale di Sicilia, un istmo grande, e dalle seconde dallo Stretto di Messina, un istmo stretto. Si completa, per quanto detto, quella corona che sta in testa, o meglio in cima trattandosi di cime, alla regione euromediterranea, i luoghi più elevati del territorio per cui va bene parlare di corona.
L’insieme monti siciliani e peninsulari sono il ponte tra le emergenze montagnose dell’Africa Settentrionale e le Alpine che, come detto all’inizio, sono connesse con l’Himalaya. Se si considera che le zone in altitudine sono le aree dotate di maggiore naturalità per la scarsa frequentazione antropica si comprende facilmente la necessità che non si spezzi l’incatenamento che le lega l’una all’altra venendo a formare la loro sequenza serrata in unico corridoio ecologico e di qui la necessità a ciò connessa del Parco del Matese, su cui non ci si sofferma poiché scontata.
Ci si concede, invece, di soffermarci sul massiccio matesino per una sua anomalia rispetto al resto dell’Appennino, in termini differenti un’eccezione che in quanto tale conferma la regola, la quale è che esso non è equidistante dai 2 mari che delimitano ad est e a ovest il nostro Stato, bensì è più vicino al Tirreno. Il fatto che quest’ultimo abbia superficie più ampia e perciò in grado di immagazzinare maggiore calore dell’Adriatico giustifica che il fianco tirrenico registri temperature medie superiori. A spiegare il perché l’unica importante stazione sciistica sia ubicata nella faccia molisana del gruppo montuoso non basta, va evidenziato, l’argomento, invero due, che l’Adriatico è distante per cui il Matese è meno esposto alle influenze marine e che tale mare per la sua ristrettezza non riesce a fungere da calmieratore del clima, ma occorre aggiungere che le vette principali ricadono nell’ambito territoriale molisano. Niente da aggiungere.
Francesco Manfredi Selvaggi637 Posts
Nato a Boiano (CB) nel 1956. Ha conseguito la Maturità Classica a Campobasso e poi la laurea in Architettura a Napoli nel 1980. Presso la medesima Università ha conseguito il Diploma di Perfezionamento in Storia dell’Arte Medievale e Moderna e il Diploma di Perfezionamento in Restauro dei Monumenti. È abilitato all’esercizio della professione di Architetto e all’insegnamento di Storia dell’Arte nei licei e Educazione Tecnica nelle scuole medie. Dal 1997 è Dirigente, con l’attribuzione di responsabilità nei servizi Beni Ambientali (19 anni), Protezione Civile, Urbanistica, Sismica, Ambiente. Ha avuto un ruolo attivo in associazioni ambientaliste quali Legambiente Molise, Italia Nostra sezione di Campobasso e Club Alpino Italiano Delegazione del Molise. Ha insegnato all’Università della Terza Età del Molise ed è stato membro del Consiglio di Amministrazione della Fondazione dell’Ordine degli Architetti di Campobasso, occupandosi all’interno dello stesso del progetto di Archivio dell’Architettura Contemporanea. È Giornalista Pubblicista e autore di articoli, saggi e del volume La Formazione Urbanistica di Campobasso. Le ultime pubblicazioni sono: «Le Politiche Ambientali nel Molise» (2011) e «Problemi di tutela ambientale in Molise» del 2014.
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