Matese, geoparco e parco nazionale: chi sarà il primo?
di Francesco Manfredi-Selvaggi
Non c’è una gara in corso, sono tutti e due in dirittura d’arrivo, l’uno, il parco nazionale attende solo l’atto finale governativo, l’altro, il geoparco il riconoscimento ufficiale dell’Unesco.
Il Parco del Matese è destinato prima o poi, ad essere riconosciuto quale Geoparco, uno speciale riconoscimento attribuito dall’Unesco a quelle aree, protette o meno secondo le normative nazionali sulle “aree protette”, che presentano notevoli valenze geologiche. Il Matese può aspirare a diventare Geoparco perché al suo interno vi sono numerosi Geositi: questi ultimi censiti dalla Regione (stiamo parlando del Molise) sono elementi, per lo più “puntuali”, di particolare valore, morfologico, stratigrafico, ecc. in riguardo alle scienze della terra.
Un’operazione preliminare nella descrizione dei geositi è quella di riunirli in gruppi i quali, per quanto concerne il comprensorio matesino dove l’assetto del suolo non registra influenze vulcaniche né marine, sono tre: quello dei siti dovuti al glacialismo, quello delle emergenze geologiche legate all’azione fluviale, queste sì di tipo “lineare”, e quello delle manifestazioni del carsismo, il quale è il fenomeno caratterizzante del nostro massiccio montuoso e, pertanto, di natura “areale”. Vi sono anche altre possibili distinzioni fra i geositi che si elencano per completezza di discorso e alle quali, però si rinunzierà di far ricorso, per sinteticità di, nuovamente, discorso.
Esse sono tre: la prima è fra i geositi in cui il processo di formazione è ancora in corso, prendi le doline, conche circolari, in cui progressivamente si arriva allo sprofondamento del terreno il quale assume la forma di un cono con al centro l’inghiottitoio, e quelli dove la morfogenesi si è arrestata (l’arco di Campo dell’Arco, ad esempio), rispettivamente forme attive e inattive; la seconda è conseguenza della prima, quindi fra geositi di origine più recente, ancora gli inghiottitoi, almeno alcuni e quelli di fasi geologiche remote come i circhi glaciali che risalgono all’era, appunto, glaciale; la terza è relativa ai fattori che hanno determinato la costituzione del geosito, se endogeni (ancora la dolina che è una piegatura cuneiforme, se così si può dire, della crosta terrestre a causa di una attività interna alla stessa che è il dissolvimento del carbonato di calcio nel Matese il suo essenziale componente, a contatto con l’acqua di cui è imbibita) o se esogeni (mettiamo l’azione sismica che ha provocato il rotolamento delle Pietre Cadute a Boiano, alle pendici del Matese tra le quali rientra Donna Mira, una sorta di grosso masso erratico, palestra di arrampicata).
Terminata questa rassegna delle categorie in cui iscrivere i geositi, procediamo con l’analisi dei medesimi sulla base di quei parametri, i 3 gruppi, indicati quali prioritari. Per quanto riguarda il glacialismo abbiamo il circo glaciale, una depressione semicircolare (che da il nome alla seggiovia Anfiteatro che qui smonta) appena sotto la cima di monte Miletto delimitata, vedendola dal basso (da Campitello) da ripide pareti rocciose le quali, viste dall’alto, cioè dalla linea di cresta appaiono quali strapiombi verticali, cosa che conferisce alla sommità di tale rilievo, il maggiore dell’Appennino centro-meridionale, i caratteri di una vetta alpina, più che appenninica, Parlando, ora, dei geositi fluviali il pensiero va al corso del Quirino, quel corpo idrico che separa il Mutria dal blocco centrale del Matese, la cui vallata prende avvio dalla Sella del Perrone; esso è l’unico valico della catena montuosa il quale, va notato, unisce e non divide, non solo le due porzioni del complesso, davvero complesso, montano matesino, ma pure i due versanti contrapposti il molisano e il campano anche per i quali costituisce un punto di incontro piuttosto che di separazione con le correnti d’aria provenienti dai due mari opposti che si mescolano fra loro.
La valle del Quirino che chiamiamo così per la orografia svasata, ma che è difficile definire tale data l’assenza di rivi affluenti, è una sorta di imbuto dove si convoglia gran parte dell’acqua proveniente dai fianchi dei monti per poi confluire nella rettilinea Gola del Quirino, il tubo finale dell’imbuto, il geosito in questione. Se questo è il geosito fluviale più grande, un canalone, all’estremo opposto vi sono i canali, canalini diminutivo di canali che localmente si denominano rave, per cui ravarelle, Lavarelle a Campitello a causa di una traslitterazione di epoca moderna.
Essi sono delle incisioni diritte sui pendii montani o collinari nei quali scorre l’acqua solo stagionalmente e non hanno un nome proprio salvo che nei casi della Rava di Pozzilli e della Rava di Miranda. È tempo di passare, per completare il quadro ai geositi carsici sui quali ci soffermeremo brevemente avendo già accennato agli inghiottitoi, la principale emergenza della carsicità. Se questi si sviluppano in verticale vi sono le grotte che, al contrario, penetrano nel sottosuolo in senso orizzontale; di entrambi è visibile, è ovvio, dall’esterno solamente l’entrata, spettacolare quella del Pozzo della Neve la quale ricorda la bocca di un vulcano, mentre l’ingresso della Grotta del Fumo è offuscato, per l’appunto, dal fumo, l’umidità fuoriuscente dall’antro.
Si ha fretta, lo si sarà notato, di concludere questa parte della dissertazione per lasciare spazio nell’economia del discorso, sempre lui, ad ulteriori letture. I geositi, oltre alle suddivisioni proposte in precedenza, è possibile classificarli a seconda dell’interesse, se scientifico, se culturale, se naturalistico, se paesaggistico.
Per gli scienziati, i paleontologi, hanno un eccezionale valore i fossili diffusi un po’ ovunque, di qui il geoparco, i calcari a rudiste che si ritrovano a quote elevate per i moti di sollevamento che hanno portato terreni marini (barriera corallina?) a 2000 m.s.l.m.; per i naturalisti è significativa la Grotta delle Ciaole, cornacchie, in quanto habitat di questa particolare specie di uccelli che amano quale rifugio, come i pipistrelli, le cavità; per gli antropologi segni davvero significativi, aggettivo che rafforza il sostantivo, sono le pietre dalle forme bizzarre tipo l’Arca di Pane nel Fondacone, un masso a “culla” in cui l’acqua si accumula d’inverno e d’estate vi si abbeverano le greggi; per i cultori del paesaggio sono attraenti, da ammirare, le guglie “dolomitiche” dei Campanarielli e, viceversa, i luoghi, Pietra Palomba, da cui ammirare i panorami. Per concludere, non lo si è detto all’inizio e lo si dice adesso, alla fine, il Matese è geoparco, qualcosa di territoriale, anche perché i geositi sono disseminati in tutta la sua superficie e non concentrati in pochi luoghi.
Francesco Manfredi Selvaggi645 Posts
Nato a Boiano (CB) nel 1956. Ha conseguito la Maturità Classica a Campobasso e poi la laurea in Architettura a Napoli nel 1980. Presso la medesima Università ha conseguito il Diploma di Perfezionamento in Storia dell’Arte Medievale e Moderna e il Diploma di Perfezionamento in Restauro dei Monumenti. È abilitato all’esercizio della professione di Architetto e all’insegnamento di Storia dell’Arte nei licei e Educazione Tecnica nelle scuole medie. Dal 1997 è Dirigente, con l’attribuzione di responsabilità nei servizi Beni Ambientali (19 anni), Protezione Civile, Urbanistica, Sismica, Ambiente. Ha avuto un ruolo attivo in associazioni ambientaliste quali Legambiente Molise, Italia Nostra sezione di Campobasso e Club Alpino Italiano Delegazione del Molise. Ha insegnato all’Università della Terza Età del Molise ed è stato membro del Consiglio di Amministrazione della Fondazione dell’Ordine degli Architetti di Campobasso, occupandosi all’interno dello stesso del progetto di Archivio dell’Architettura Contemporanea. È Giornalista Pubblicista e autore di articoli, saggi e del volume La Formazione Urbanistica di Campobasso. Le ultime pubblicazioni sono: «Le Politiche Ambientali nel Molise» (2011) e «Problemi di tutela ambientale in Molise» del 2014.
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