L’apologia della bellezza di Rosanna Carnevale

Per Portaparole France esce la raccolta di racconti “Ora pro nobis”

Il “vivere inimitabile” di Rosanna Carnevale è solo un pretesto nostalgico per parlare d’altro. Non solo la bellezza del primo Novecento, dunque, quella bellezza sottolineata e a volte ridondante. Ma la bellezza in assoluto.

Il punto di arrivo della Carnevale diventa nitido, si fa più chiaro, nella raccolta di racconti dal titolo “Ora pro nobis”, appena uscita per la casa editrice Portaparole France: difendere la bellezza o tuttavia – nella consapevolezza del cammino in senso inverso della contemporaneità – rilevarne le testimonianze ancora numerose e goderne anche solo, purtroppo, individualmente.

Già nei due romanzi precedenti – “Andante affettuoso” e “In solitudine” – la scrittrice aveva acuito gradualmente, in un crescendo sempre più accurato, la sua sensibilità nella rilevazione di profumi e oggetti, specie vegetali, presenti nell’esistenza dell’uomo e spesso trascurati. Quelle cose che rimangono nella coda dell’occhio della maggior parte degli esseri viventi, a cui nessuno fa caso ma che, di sicuro, anche in quel modo così implicito e nascosto, migliorano la specie, contribuiscono all’evoluzione dell’uomo. In Rosanna Carnevale, tali particolari non rimangono mai dietro: vengono inquadrati in primo piano, hanno finalmente l’attenzione che meritano.

In “Ora pro nobis”, tale peculiarità diventa ancora più preminente e assurge definitivamente a elemento necessario per la definizione della poetica della scrittrice-musicista. Il lessico si fa ancora più alto, preciso nel restituire ogni movimento di foglie e di rami, di percezioni e sentimenti; proprio perché la natura, già importante e preminente nelle opere precedenti, pretende spazio maggiore e definizione più accurata e puntuale.

Ogni particolare è importante, anche l’oggetto più desueto suggerisce riflessioni, richiama alla consapevolezza di sé: “Dettagli amabili nel quadro squallido di una finestra dai profili scrostati, vuota di una tapparella sporca e bloccata asimmetricamente in alto a tre quarti del vetro. Contrasti stridenti, dolorosi e insensati, come la staffetta tra la vita e la morte”.

Così come nell’esempio riportato, in tutti i racconti di “Ora pro nobis” sono presenti insieme, contemporaneamente o una subito dopo l’altra, le due necessità impellenti della poetica di Rosanna Carnevale: quella del godere con il lettore dell’ordine che il lavoro umano impone ai fiori e alle piante (per una empatia favorevole a entrambi e mai per violenza e gusto del predominio) e quella di sondare, proprio con lo strumento dell’osservazione della Natura, l’anima degli uomini, allo scopo di comprendere il mondo e di dare il proprio contributo al disvelamento di qualcuno di quegli enigmi che filosofi e poeti, medici e chimici, preti e viaggiatori, cercano di risolvere da millenni.

Così, l’osservazione della malattia degenerativa, della condizione sempre subalterna della donna, la bellezza di una emancipazione riuscita, la soddisfazione altrettanto importante per la realizzazione di un progetto di giardinaggio, lo squallore dei comportamenti umani che invade la bellezza di una spiaggia, l’incapacità degli uomini a ritagliarsi momenti di solitudine importanti e fondamentali per raggiungere quella felicità relativa che sembra essere l’unico traguardo possibile, l’unico obiettivo raggiungibile; tutto ciò è la vita, la vita che vive insieme alle erbacce e alle piante più belle.

Le donne, come i fiori, vengono descritte quando riescono a sbocciare, nel momento alto della consapevolezza. Maria Laura, Annina, Chiara e la stessa Emily Dickinson, quando viene citata, sono figure nette, definite, colte nei momenti in cui sanno bene cos’è ciò che stanno vivendo. “Il guaio delle ragazze ben educate e colte è che nessuno si prende mai la briga di istruirle anche sul fatto che al mondo prevalgono insensibilità e pressapochismo e nessuno le avverte che la loro vita sarà soddisfacente solo se matureranno un sano spirito pragmatico e utilitaristico. Le si continua a ingannare con la favola di principi azzurri, amori eterni e indissolubilità di legami sacri, in una crudele mistificazione della realtà e nel disprezzo della loro intelligenza”.

I racconti di Rosanna Carnevale sono capaci di “chiudere il mondo al di fuori”, di fare in modo che le ore trascorrano “sempre lievi e rapide, piene del dialogo fitto e impegnativo con una natura generosa di sfumature e forme”. In tale dimensione, a volte misteriosa, che sembra richiamare luoghi già conosciuti dalla narrativa contemporanea – si pensi alla radura nel bosco del “Kafka sulla spiaggia” di Murakami o “Le vie dell’Eden” di Eskol Nevo – “una piccola sinfonia di visioni e significati, di contenuti ideali e reali, spesso irresistibile al tramonto quando, riposti guanti, cesoie, vanga e innaffiatoio, magari nella luce struggente o allegra di un tramonto autunnale o primaverile, il riposo solitario è addolcito sempre dall’aleggiare di indimenticabili presenze”. Ma non è solo letteratura, idillio, visione arcadica: è una natura – quella di Rosanna Carnevale – “che ammonisce e insegna che tutto è fatica, pazienza, disponibilità, spirito di servizio. Al contrario si prepara solo un destino del nulla”.

E ha voglia, la scrittrice, persino di andare oltre, di prendersi cura di ciò che non è attinente alla sua vita, alla sua felicità, al suo giardino. “Spesso ne approfitto per aprirmi un varco tra il lauroceraso nella recinzione a sud e sbirciare oltre, accarezzando sogni di cura di quel terreno abbandonato che prosegue il mio, dolcemente digradante verso i monti e la piccola gola della collina. Non ne vorrei far nulla, se non liberare dalla sterpaglia i vecchi ulivi e fichi che lo abitano, tristi come anziani genitori che figli stupidamente affaccendati pensano insopportabile intralcio anziché imperdibile risorsa”. E tale desiderio di dare un ordine morbido alle cose, di riavvicinare gli oggetti e l’umanità alla bellezza, nasce dall’osservazione di quanto abbandono ci sia in circolazione, di quanta colpevole trascuratezza. “Tra tutti i popoli favorito dalla sorte con smisurati talenti, l’italiano ne è allo stesso tempo mortificato nell’indole per incuria e indifferenza verso il frutto di quei medesimi talenti”.

Insomma, il mondo non si può cambiare, sembra voler dire Rosanna Carnevale, ma possiamo imparare a vivere la bellezza curando noi stessi, la nostra anima, la nostra casa e il nostro giardino. Possiamo almeno imparare la responsabilità di ciò che è nostro, di ciò che ci è stato affidato. “Questo è il mio giardino, e se è stato ristoro dell’anima e dello sguardo, ispirazione di serenità e bellezza, tregua, dolcezza, non esitate a ritornare”.

Giovanni Petta76 Posts

È nato nel 1965 in Molise. Ha pubblicato le raccolte poetiche «Sguardi» (1987), «Millennio a venire» (1998) e «A» (2016); i romanzi «Acqua» (2017), «Cinque» (2017) e «Terra» (2021) ; il saggio giornalistico «L'Italia delle regioni, il Molise dei ricorsi» (2001) e, con lo pseudonimo di Rossano Turzo, «TurzoTen« (2011) e «TurzoTime» (2016). Allievo di Mogol, ha inciso «Non crescere mai» (1993), «Trema terra trema cuore» (single, 2003), «Il bivio di Sessano» (2012). Ha diretto le testate «Piazzaregione» e «L'interruttore». Ha coordinato l'inserto molisano de «Il Tempo».

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