Grossa iniziativa lodevole, in sigla GIL
di Francesco Manfredi-Selvaggi
In città finalmente, apparve una attrezzatura adeguata per dimensioni allo svolgimento dell’attività fisica e di manifestazioni culturali. Ci si riferisce, se non lo si è capito, al “contenitore” e non al suo “contenuto” ideologico.
Fin quando non è arrivato il Fascismo risultava poco sviluppato il tema dell’aggregazione sociale la quale per un regime repressivo è finalizzata al controllo delle persone, più facile se in gruppo che una per una. In verità ad esclusione di quanto faceva la Chiesa con le sue parrocchie più che con i conventi i cui relativi ordini erano stati soppressi all’indomani dell’Unità d’Italia e ripristinati solo con il Concordato (intanto i beni erano stati incamerati); essa era un terribile competitor al quale occorreva togliere l’esclusività nella realizzazione di occasioni aggregative della società.
Una sfida tra visioni contrapposte, la seconda confessionale e la prima laica di cui è tradizionalmente portatrice l’entità statuale la quale durante il Ventennio è rappresentata dal Partito Nazionale Fascista che fa tutt’uno con lo Stato. Uno Stato centralizzatore come si conviene ad una dittatura che vuole, da un lato, limitare le libertà individuali e, dall’altro lato, una “collettivizzazione”, rendere collettivi i momenti della vita quotidiana, in particolare il tempo libero, e le due cose, ovvero i due lati, vanno a braccetto.
Le istituzioni propriamente statali permangono durante la cosiddetta Era Fascista, tipo la Prefettura e la Questura e ad esse si affiancano, in maniera paritetica, a gestire l’inquadramento delle masse le strutture del partito, diciamo, monopolista. È sorprendente che gli edifici pubblici non siano più solamente (escludendo scuole e ospedale) le sedi del governo, se così si può dire, civile, ma pure quelle partitiche, ovviamente del partito unico, dalla Casa del Fascio a quella del Balilla. Non si è citata apposta l’ennesima casa, la quale a Campobasso è però la sola, quella della Gioventù Italiana del Littorio perché essa ci serve per evidenziare la novità assoluta che tra le attrezzature istituzionali ora compaiono anche quelle per attività extraordinarie, che per i giovani sono extrascolastiche, in genere dopolavoristiche.
Non vanno identificate affatto quale il superfluo, in quanto, al contrario, sono sostanziali nel disegno di creazione dell’ “uomo nuovo” vagheggiata dal Duce. Occorre formare gli esemplari di questa specie umana, non si è alluso a razza, superiore che è tanto nuova quanto antica perché discendente dai fieri Romani. Non si tratta, comunque, di superomismo perché la forza sta nel popolo, che non è una semplice sommatoria di singoli, nella sua unità e allora per sostenere la formazione dello spirito di corpo, pardon di popolo, sono necessari aggregatori sociali quali la GIL.
C’è un grande progetto politico, in definitiva, dietro la nascita di tale organismo e lo rivela la stessa sua architettura la quale non a caso è Razionale, della corrente Razionalista, razionalità che informa la progettazione architettonica e nel contempo la strategia governativa che oggi potremmo definire populista nel senso che si fonda sul mito del popolo, che tende a formarlo (altra cosa, è chiaro, da popolare). Non si era mai visto nella sua capitale e, dunque, nell’intero Molise nulla di simile, un’opera di grandi dimensioni totalmente destinata a funzioni socio-culturali (c’è anche il cinema, nel dopoguerra denominato Odeon, il quale, tenendo conto che i cinematografi cominciano ad apparire nella nostra nazione nella seconda metà degli anni 30, è tra i primissimi in Italia).
Dovette suscitare stupore oltre alla stazza del contenitore la sua polifunzionalità, cioè la compresenza all’interno di una pluralità di destinazioni d’uso in quanto si era abituati ad una collocazione delle stesse distinta e separata, la palestra, quella del Mario Pagano annessa al liceo-convitto, la sala per rappresentazioni teatrali e conferenze (e che sala!), il teatro Savoia. Un’ulteriore osservazione, di differente genere, è che la costruzione della GIL è frutto di un’operazione eterodiretta, non di decisioni prese localmente.
Una prova di ciò è che il progettista è un architetto romano, Filippone, fiduciario dell’ente nazionale voluto da Mussolini per i giovani, senza che venga concesso alle autorità locali di poter segnalare nominativi di tecnici (un po’ quanto è successo con l’edificio delle Poste, del Genio Civile, ecc.). A testimoniare tale dirigismo nelle scelte derivante dall’organizzazione gerarchica, i gerarchi, degli apparati del Fascio, che sia un manufatto calato dall’alto nella realtà cittadina, vi è l’impiego in origine del rosso scuro nelle facciate, il “rosso pompeiano”, il colore simbolo della romanità.
È tale colorazione insieme ad altri aspetti dell’aspetto (non è una ripetizione) fisico come l’ordine gigante, non conta che non c’è il capitello, del pilastro all’ingresso, di per sé espressione di ricerca di monumentalità, a rivelarci la natura di strumento di propaganda anche attraverso i caratteri figurativi delle iniziative costruttive di cui parliamo. Se vuole essere una sorta di manifesto pubblicitario la sua collocazione ai margini del Borgo Murattiano, quindi del centro della città, non è proprio quella adeguata; del resto il quartiere sorto fuori le mura durante la dominazione francese, pur ampio, in poco più di un secolo si era armai saturato tanto che lo stesso tribunale, un’istituzione primaria, coevo della GIL si era dovuto accontentare di un lotto residuale che ne sacrifica, attaccato com’è ad abitazioni private, l’integrità dell’immagine architettonica il cui requisito fondamentale, tanto più che vuole assomigliare a un tempio, è l’isolamento.
Comunque, il Palazzo di Giustizia è riuscito trovare posto, un posticino, in seno alla scacchiera urbana ottocentesca, mentre la GIL rimane, si usa dire così, all’esterno. C’è il vantaggio, però, di un maggiore spazio disponibile che le consente di aver assegnata una particella fondiaria autonoma. Di frequente abbiamo sottolineato che si tratta di una attrezzatura innovativa per la quale e della quale non ci sono precedenti. In altri termini, non si erano ancora consolidati schemi tipologici da seguire, si era in una fase di sperimentalismo.
Le GIL, al plurale, sono ognuna un’opera prima, il progettista non ha l’obbligo di misurarsi con alcun modello previssato. Neanche sono prestabilite, non vi è manualistica, le caratteristiche che deve possedere il sito il quale qui è in discreta pendenza e a sviluppo lineare; niente di cui lamentarsi, non sono, limitazioni, anzi stimolo per una originalità della visione, cosa che informa il manufatto campobassano il quale è un prodotto ben riuscito.
Francesco Manfredi Selvaggi637 Posts
Nato a Boiano (CB) nel 1956. Ha conseguito la Maturità Classica a Campobasso e poi la laurea in Architettura a Napoli nel 1980. Presso la medesima Università ha conseguito il Diploma di Perfezionamento in Storia dell’Arte Medievale e Moderna e il Diploma di Perfezionamento in Restauro dei Monumenti. È abilitato all’esercizio della professione di Architetto e all’insegnamento di Storia dell’Arte nei licei e Educazione Tecnica nelle scuole medie. Dal 1997 è Dirigente, con l’attribuzione di responsabilità nei servizi Beni Ambientali (19 anni), Protezione Civile, Urbanistica, Sismica, Ambiente. Ha avuto un ruolo attivo in associazioni ambientaliste quali Legambiente Molise, Italia Nostra sezione di Campobasso e Club Alpino Italiano Delegazione del Molise. Ha insegnato all’Università della Terza Età del Molise ed è stato membro del Consiglio di Amministrazione della Fondazione dell’Ordine degli Architetti di Campobasso, occupandosi all’interno dello stesso del progetto di Archivio dell’Architettura Contemporanea. È Giornalista Pubblicista e autore di articoli, saggi e del volume La Formazione Urbanistica di Campobasso. Le ultime pubblicazioni sono: «Le Politiche Ambientali nel Molise» (2011) e «Problemi di tutela ambientale in Molise» del 2014.
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