Calderari alias Biferno, tutto ciò che c’è da sapere

di Francesco Manfredi-Selvaggi

Il dipinto dell’architetto Geppino Gentile sulla facciata di una palazzina in fondo a Corso Amatuzio a Boiano raffigura questo fiume alla stregua di una divinità mitologica. Per la cittadina matesina alias bifernina questo corso d’acqua ha un enorme valore simbolico rimandando al suo mito di fondazione. (ph F. Morgillo)­

Per illustrare il rapporto che il Biferno istituisce con Boiano conviene utilizzare sette aggettivi capaci di descriverlo i quali sono placido, umile, nobile, costante, chiaro, silenzioso, copioso. Il primo, placido, è riferito al fatto che, essendo la nostra cittadina pressoché piatta, il fiume vi scorre lento, non ha dislivelli; In negativo si intende, da superare; la lentezza è uno dei suoi caratteri principali. Vale la pena di ricordare il detto che la calma, la placidità, è la virtù dei forti perché mette in collegamento questo punto, l’aggettivo appena trattato, con il successivo, il secondo, cioè umile.

L’umiltà va riconosciuta quale connotato peculiare di questo corso d’acqua che si associa bene con il suo essere placido. Il Biferno, nello specifico il Calderari, è umile, non vuole sembrare invadente, così come non è irruento ovvero è placido, tanto da ritrarsi alla vista occultandosi nella trama del tessuto urbanistico con il suo passare sul retro delle schiere edificate che fiancheggia. Emerge alla visione solamente di tanto in tanto e ciò avviene in coincidenza con i ponti che lo scavalcano.

Questi ultimi, peraltro, non paiono tali in quanto il loro estradosso segue la medesima livelletta del piano carrabile delle arterie lungo cui sono disposti; vedi, o meglio non lo vedi perché lo assimili alla strada, quello di corso Amatuzio. Eppure il Biferno ne avrebbe ben d’onde per atteggiarsi, per nutrire superbia in quanto il centro in questione, cominciando dalla sua stessa collocazione, ad esso deve tanto, tanto da essere identificato in alternativa a matesino bifernino.

L’unico comune a potersi fregiare legittimamente di tale appellativo in quanto l’unico, in tutto il suo sviluppo, attraversato da questa asta fluviale. Di collegamento in collegamento in quanto il secondo aggettivo, lo si ricorda “umile”, è connesso oltre che con quello che lo precede, il primo, lo si ripete “placido”, pure con quello che lo segue, il terzo aggettivo, che presentiamo adesso, il quale è “nobile”.

Colui che è nobile d’animo si distingue per la sua cortesia la quale lo porta a non voler umiliare, verbo che deriva da umile, alcuno e tale considerazione la si può trasferire pure al Biferno. Esso deriva la sua nobiltà dal fatto che i Sanniti, il popolo che ha tenuto testa per secoli a Roma, fondarono la loro “capitale” proprio sulle sue sponde. Che il corpo idrico in esame sia, il quarto aggettivo, costante è presto dimostrato: la portata idraulica non ha variazioni fin quando nell’alveo non incomincerà a prevalere l’apporto, per così dire, acquoso da parte degli affluenti, ma esso li inizia a incontrare solo al Ponte della Fiumara, quindi fuori dall’abitato di Boiano quando nel Biferno si innesta il Rio il quale, a sua volta, un attimo prima aveva inglobato il Callora.

I tributari del Biferno sono tutti di carattere torrentizio per cui soggetti a piene e a periodi di secca il che influisce sulla consistenza della corrente fluviale. In definitiva il livello del pelo dell’acqua già all’esterno di Boiano è soggetto ad oscillazioni, non è, perciò, costante mentre in città lo è. Sul tema dei rami secondari ci soffermiamo anche per parlare dell’epiteto successivo del fiume, quello di chiaro, siamo al quinto aggettivo.

Chiaro è una definizione che spetta al Biferno unicamente nel suo tratto iniziale, allorché passa nell’ambito urbano boianese facendosi via via più torbido man mano che riceve l’acqua dai rivi minori che vi confluiscono; infatti questi trasportano nelle loro corse spesso impetu-ose particelle terr-ose er-ose dai fianchi delle colline argill-ose da cui si originano. La chiarezza, va precisato, non è da prendere quale valore assoluto bensì, in una scala della purezza, rispetto al grado di limpidità medio dell’insieme dei segmenti della rete idrografica.

Il Biferno è inoltre, proseguendo nella serie degli aggettivi, siamo al sesto, silenzioso. Tale qualità deriva ad esso dal non essere, pur trovandosi quando passa per Boiano nella sua fase giovanile, la giovinezza è usualmente contrassegnata dall’esuberanza, veemente, ha un andamento posato. Il flusso idrico è pacato, non viene a frangersi contro i muri spondali, dal che ne consegue che non vi è l’urto che è la causa del rumore.

Conferma anche in questo riguardo che è dotato di discrezione. Il Biferno, in ultimo, l’ultimo aggettivo ovverosia il settimo, è copioso e lo era molto di più innanzi alla captazione delle sorgenti avvenuta negli anni ’60 del secolo scorso. La finiamo qui con l’aggettivazione non perché si pensa di aver esaurito l’elenco degli attributi qualitativi del fiume, ma giusto per variare. Passiamo ad alcune immagini evocative che ci aiutano a comprenderlo.

Le scaturigini del Biferno le si associa con la fantasia alle viscere della montagna, il Matese, da cui l’acqua fuoriesce, a quel mondo misterioso delle cavità carsiche che incorporano imponenti bacini idrici. Mentalmente il fiume richiama l’epopea della transumanza: il tratturo Pescasseroli-Candela devia dalla sua traiettoria che per il resto è rettilinea al fine di raggiungere le fonti del Biferno e consentire così agli armenti di abbeverarsi.

Le due B, Biferno e Boiano, fanno venire in mente non solo la pastorizia transumante, ma anche quella legata all’alpeggio, l’una effettua spostamenti a lungo raggio, l’altro a corto, tra il fondovalle e gli altopiani montani con la lana delle pecore che dopo la tosatura veniva lavata nel Calderari, stiamo svelando il nome del tratto cittadino del Biferno. Inopinatamente il Biferno rimanda anche al mare, non si è mai vista un’asta fluviale che nella maniera più breve possibile collega l’Appennino con la costa, una linea retta ortogonale ad entrambi, tiene uniti mare e monte.

Francesco Manfredi Selvaggi645 Posts

Nato a Boiano (CB) nel 1956. Ha conseguito la Maturità Classica a Campobasso e poi la laurea in Architettura a Napoli nel 1980. Presso la medesima Università ha conseguito il Diploma di Perfezionamento in Storia dell’Arte Medievale e Moderna e il Diploma di Perfezionamento in Restauro dei Monumenti. È abilitato all’esercizio della professione di Architetto e all’insegnamento di Storia dell’Arte nei licei e Educazione Tecnica nelle scuole medie. Dal 1997 è Dirigente, con l’attribuzione di responsabilità nei servizi Beni Ambientali (19 anni), Protezione Civile, Urbanistica, Sismica, Ambiente. Ha avuto un ruolo attivo in associazioni ambientaliste quali Legambiente Molise, Italia Nostra sezione di Campobasso e Club Alpino Italiano Delegazione del Molise. Ha insegnato all’Università della Terza Età del Molise ed è stato membro del Consiglio di Amministrazione della Fondazione dell’Ordine degli Architetti di Campobasso, occupandosi all’interno dello stesso del progetto di Archivio dell’Architettura Contemporanea. È Giornalista Pubblicista e autore di articoli, saggi e del volume La Formazione Urbanistica di Campobasso. Le ultime pubblicazioni sono: «Le Politiche Ambientali nel Molise» (2011) e «Problemi di tutela ambientale in Molise» del 2014.

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