Sugli spalti a fare il tifo per l’Adriatico

di Francesco Manfredi-Selvaggi

Passeggiando sul camminamento di ronda che cinge, parzialmente, il Borgo Antico di Termoli è possibile godere di una splendida veduta del mare. Non è stato pensato, è ovvio, a questo scopo, bensì per avvistare le navi dei saraceni che minacciavano la costa molisana (ph F. Morgillo)

Passeggiare al di sopra del coronamento della cinta muraria procura una sensazione davvero piacevole ai turisti data la posizione delle mura giusto a ridosso della battigia. È una situazione geografica unica che non trova riscontro nei paraggi, Ortona è anch’essa prospiciente la distesa acquosa, ma sta assai più in alto di Termoli per cui non avverti l’Adriatico così vicino. Il confronto con altre località costiere vede in vantaggio la cittadina molisana anche per il seguente aspetto: il costone su cui essa sorge è proteso nell’acqua, non semplicemente accostato alla linea di costa (costone, accostata, costa…) per cui si prova l’emozione di sentirsi immersi, un’esperienza immersiva senza ombra di dubbio, nel Mediterraneo, dunque un insediamento, il nostro, in senso proprio marino.

Il godimento che si prova percorrendo tale camminamento, sveliamo subito, di ronda è capace di non farci percepire la sua natura di componente essenziale del sistema difensivo creato per il respingimento dei nemici provenienti dal mare. Attualmente la vista che si apre da lì è considerata meravigliosa, in origine lo sguardo mirava a scovare possibili minacce all’orizzonte e, pertanto, era preoccupato. Se si tiene conto che le murazioni sono di epoca aragonese e, quindi, coeve all’invenzione della polvere da sparo ci si rende, sempre, conto che la quota topografica, la quota, è il caso di dirlo, sul livello del mare, degli spalti è idonea per l’impiego dei cannoni.

Infatti il loro tiro è di tipo radente e ciò permette di colpire d’infilata se sono a portata di tiro cioè se la gittata è sufficiente le imbarcazioni degli assalitori (le palle scagliate con un alzo prestabilito seguono una traiettoria appena parabolica). Il tiro sarebbe stato piombante se l’altezza fosse stata maggiore, ma ciò non è appropriato per i cannoni. Le mura sono, in effetti, un rivestimento del fronte roccioso che rende la parete liscia, priva di appigli, per non consentire agli assaltanti di arrampicarsi.

Il muretto in cima alle mura è una specie di parapetto e tale contenuta dimensione verticale permette oggigiorno un comodo affaccio per ammirare lo scenario acquatico. È da evidenziare, poi, che il masso su cui si è insediata Termoli ha una morfologia sostanzialmente tabulare e seppure non lo fosse nella sua fascia più esterna l’eventuale declivio sarebbe stato appianato, colmati i dislivelli in quanto è indispensabile che le truppe si spostino velocemente da un punto all’altro, alla bisogna, del bastione, magari con l’artiglieria al seguito; l’essere pianeggiante, cadute ai nostri giorni le motivazioni militari, è positivo incrementando la piacevolezza della passeggiata.

L’orizzontalità delle mura in sommità, in altri termini, era utile in quel tempo per l’efficienza della difesa del «borgo antico», come è denominato quello termolese e adesso in prospettiva turistica. Bisogna, inoltre, rimarcare una particolare caratteristica di questo percorso che la distingue dalle vie urbane tradizionali, la quale la si espone di seguito: il tracciato stradale che si sviluppa lungo il perimetro murario ha una notevole larghezza e la ragione è che esso insiste sulla striscia intramuraria chiamata nell’antichità pomerio, una fetta di terreno lasciata libera dall’edificazione tanto per consentire i movimenti della guarnigione quanto per evitare l’esposizione dei fabbricati al fuoco ostile (sulle navi non sono montate catapulte).

Solamente nel fronte del porto vi sono caseggiati che hanno le facciate a filo del fronte lapideo, non è un gioco di parole. Dal punto di vista turistico una sezione trasversale così ampia e continua invoglia acché la strada di, per così dire, circonvallazione venga attrezzata quale terrazza panoramica “lineare”. Ci vuole coraggio a vivere così vicino al mare soggetti come si è agli attacchi dei predatori che giungono dal largo, prendi i saraceni che si annidavano nelle calette delle non lontane isole Tremiti, ma d’altrocanto qualche presidio doveva pur esserci per impedire ai pirati di attraccare nelle due piccole insenature poste ai due lati opposti della “penisoletta” in cui si è attestato il nostro centro, non ci sono ulteriori “baie” in tutta la costiera molisana.

Tale decisione coraggiosa è ripagata dalla facoltà di ormeggiare le barche da pesca nella darsena naturale che sta a meridione, all’epoca porticciolo peschereccio che nel tempo è evoluto in porto latamente marittimo; i pescatori, una volta sbarcati possono raggiungere in breve tempo (non c’era, certo, la scala a chiocciola che da un paio di decenni conduce dal molo al nucleo medioevale) le proprie residenze. L’audacia del passato ha ricevuto un premio nel presente, davvero considerevole, consistente nella potenzialità di fare i bagni a ridosso, per una parte, della cintura muraria, vedi la spiaggia urbana di S. Antonio che è ai piedi del castello.

Tale ubicazione rischiosa era doverosa per prevenire le incursioni moresche, mettendo al sicuro i paesi dell’intorno, rimanendo insidiosa per la città la quale non è un centro qualsiasi ospitando la cattedra vescovile, una preda appetibile in sé. L’armata navale turca che bombardò Termoli nel 1560 non era interessata all’invasione dell’entroterra, bensì all’occupazione di questo caposaldo, in riguardo al ruolo strategico che giocava, di un territorio di frontiera, di primario interesse poiché estremo lembo orientale del vicereame di Napoli, “confine di Stato”.

L’elevazione del blocco roccioso che è alle fondamenta dell’agglomerato, per concludere, non era garanzia sufficiente, altrove bastavano le asperità orografiche, non ogni “terra” è murata, non è bastevole che il rilievo fosse rilevato per la salvaguardia dell’abitato; per decisione delle autorità centrali, ovvero il re aragonese, il borgo fu fortificato, una decisione decisiva sul futuro di questo antico aggregato urbanistico che cinto di imponenti mura costituisce una delle principali emergenze paesaggistiche della regione.

Francesco Manfredi Selvaggi645 Posts

Nato a Boiano (CB) nel 1956. Ha conseguito la Maturità Classica a Campobasso e poi la laurea in Architettura a Napoli nel 1980. Presso la medesima Università ha conseguito il Diploma di Perfezionamento in Storia dell’Arte Medievale e Moderna e il Diploma di Perfezionamento in Restauro dei Monumenti. È abilitato all’esercizio della professione di Architetto e all’insegnamento di Storia dell’Arte nei licei e Educazione Tecnica nelle scuole medie. Dal 1997 è Dirigente, con l’attribuzione di responsabilità nei servizi Beni Ambientali (19 anni), Protezione Civile, Urbanistica, Sismica, Ambiente. Ha avuto un ruolo attivo in associazioni ambientaliste quali Legambiente Molise, Italia Nostra sezione di Campobasso e Club Alpino Italiano Delegazione del Molise. Ha insegnato all’Università della Terza Età del Molise ed è stato membro del Consiglio di Amministrazione della Fondazione dell’Ordine degli Architetti di Campobasso, occupandosi all’interno dello stesso del progetto di Archivio dell’Architettura Contemporanea. È Giornalista Pubblicista e autore di articoli, saggi e del volume La Formazione Urbanistica di Campobasso. Le ultime pubblicazioni sono: «Le Politiche Ambientali nel Molise» (2011) e «Problemi di tutela ambientale in Molise» del 2014.

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