La teoria della grazia e dell’eleganza
di Giovanni Petta
Mario Venuti in concerto al Morrutto Street Fest
Il “Tropitalia Tour” è arrivato a San Giovanni in Galdo, nel cuore del Molise, per portare un suono e una poesia, un’arte, capaci di procurare godimento in chi attende da sempre il divertimento che stimola la riflessione, il canto che scende in profondità, la danza che fa muovere l’anima insieme al corpo.
Per questo motivo, per godere di questa bellezza, c’era, tra il pubblico, chi aveva percorso quattrocento chilometri. Tanta strada solo per ascoltare la proposta culturale di Mario Venuti e della sua band. Di sicuro non sarà rimasto deluso. Perché le due ore di musica del cantautore siciliano sono state dense di accortezze nei confronti dei testi cantati e di delicatezza offerta alle musiche che si andavano a proporre.
Ecco l’eleganza. La minuziosità nella cura del particolare: i finali delle canzoni – così spesso trascurati dal pop -, le voci da sovrapporre alle voci, la frase musicale da tenere sotto alla melodia principale, l’architettura ritmica che meglio può vestire quella canzone. Ecco l’eleganza: nell’attenzione data a ogni elemento della costruzione artistica che si propone dal palco.
Il lavoro di Tony Canto, responsabile degli arrangiamenti e sul palco in veste di chitarrista – un lavoro artisticamente alto perché mai barocco e fine a se stesso, un lavoro di meravigliosa essenzialità – ha attraversato gli strumenti degli altri musicisti per arrivare, vincente e coinvolgente, al pubblico. Vincenzo Virgillito al basso, preciso, essenziale e mai debordante (ecco di nuovo l’eleganza); Franco Barresi alle percussioni, attento al suono oltre che al tempo, e Manola Micalizzi, sostanziale nel dare ancora più luce, con la sua voce, alla voce di Venuti, e sostanza effervescente al lavoro di Barresi, alle percussioni e cori. Infine il chitarrista Venuti: bravissimo nel sostenersi, anche da solo, nella sua interpretazione canora che ha convinto ancora una volta.
Ha convinto ancora una volta perché la sua cifra stilistica è sempre piaciuta: riconoscibilissima e originale. Con la maturità, tuttavia, il suo cantare è diventato ancora più efficace. Sentirlo impegnato nelle proprie o altrui canzoni dà la sensazione di ascoltare il pop europeo migliore e una radice fortemente mediterranea suonare insieme. Ecco la grazia.
Nel porgere le sue canzoni, Venuti ha evidenziato, ancora una volta, la capacità di rendere pop sentimenti e pensieri profondi, di vestire con abito di musica contemporanea internazionale i concetti filosofici che danno sofferenza all’uomo del nuovo millennio. E se Battiato – il capostipite di questo tentativo culturale – tornava spesso al classico, nonostante le sperimentazioni, perché il suo percorso di avvicinamento della Verità era di altro tipo, Venuti si allontana senza tornare indietro, s’incammina senza timore verso orizzonti sconosciuti e utilizza i suoi punti di riferimento per rischiare e rischiare ancora.
Nel cantare le altre, le canzoni di altri da lui reinterpretate nell’ultimo lavoro discografico, Venuti mette in luce in modo ancora più evidente, perché in una dimensione più complessa e difficile, la capacità di rendere feconde la profondità e la leggerezza contenute in canzoni scritte da altri. Così il testo di “Figli delle stelle”, “Xdono” e persino di “Volare” prendono il largo e si dirigono in direzioni sconosciute e per questo ancora più affascinanti. Sembra di osservare, in questo progetto, l’andare e il tornare di quei popoli – Fenici, Greci, Arabi… – che hanno costruito e costituiscono il Dna della Sicilia da cui Venuti proviene. Il punto da cui Mario Venuti osserva i capolavori della musica italiana è un luogo mai esplorato che, proprio per questo, emoziona. Ecco, di nuovo, la grazia.
A San Giovanni in Galdo, grazie agli Amici del Morrutto, si è celebrato un rito antico di venerazione della vita e dell’universo con una liturgia di grande contemporaneità, che niente aveva a che fare con il passato, nel senso di passato… andato. Mario Venuti ha proposto la dimensione del sempre, dell’eterno, con l’eleganza e la grazia che diventano sempre di più, di anno in anno, elementi della sua poetica, della sua visione del mondo, del suo essere un artista consapevole del proprio valore e della propria qualità.
Giovanni Petta76 Posts
È nato nel 1965 in Molise. Ha pubblicato le raccolte poetiche «Sguardi» (1987), «Millennio a venire» (1998) e «A» (2016); i romanzi «Acqua» (2017), «Cinque» (2017) e «Terra» (2021) ; il saggio giornalistico «L'Italia delle regioni, il Molise dei ricorsi» (2001) e, con lo pseudonimo di Rossano Turzo, «TurzoTen« (2011) e «TurzoTime» (2016). Allievo di Mogol, ha inciso «Non crescere mai» (1993), «Trema terra trema cuore» (single, 2003), «Il bivio di Sessano» (2012). Ha diretto le testate «Piazzaregione» e «L'interruttore». Ha coordinato l'inserto molisano de «Il Tempo».
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