Potere temporale e potere spirituale nella Bojano di 1000 anni fa

di Francesco Manfredi-Selvaggi

La cittadina molisana è stata per circa 1 millennio e mezzo sede vescovile. La convivenza con la residenza dei Conti di Molise posta a Civita Superiore. L’autorità civile e quella religiosa occupano in città palazzi collocati in punti diametralmente opposti dell’abitato quasi a volersi ignorare (ph F. Morgillo)

Il conte abitava in territorio rurale, il vescovo in territorio urbano, del resto la coabitazione in un medesimo posto sarebbe stata problematica in quanto si tratta di due figure “ingombranti” nel senso che occupa, ciascuna di esse, assai spazio in termini, s’intende, di potere; due autorità, quella militare e quella ecclesiastica, che a stare insieme si sarebbero fatte ombra reciprocamente. I castelli si localizzano in posizione strategica dal punto di vista del controllo territoriale e della difesa, in definitiva del respingimento dei nemici, una logica che non appartiene alle città le quali, al contrario, sono attrattive; esse essendo luoghi di commercio prediligono l’ubicazione in adiacenza di vie di transito, aperte all’afflusso di venditori e di acquirenti.

A Boiano succede esattamente questo, il maniero è in altura, Civita S., e l’agglomerato cittadino è a valle, attraversato da importanti canali di spostamento, il tratturo e la via Minucia; all’epoca di cui stiamo parlando l’altomedioevo, però, il traffico era limitato per via dell’instabilità politica la quale rendeva insicuri i viaggi. L’opera castellana boianese è molto ampia, la più ampia del Molise e tale ampiezza è stata consentita dal fatto che Civita Superiore superiormente è un altopiano, morfologia del suolo che consente l’edificazione di una struttura planimetricamente estesa.

Il fattore determinante della scelta dei Normanni di costruire qui su la residenza del conte di Molise è da ritenere sia stata l’orografia del sito, piuttosto che la volontà di raccogliere l’eredità ideale quale capoluogo di contea dell’antica Bovianum capitale del Sannio. Una delle residenze, ci correggiamo subito, non l’unica come dimostra l’episodio dell’ultimo titolare della contea nella rocca di Roccamandolfi assediata dalle truppe sveve. Il vescovo è, invece, radicato in quella data città, non muove la sua “cattedra” da un comune all’altro (nonostante le pressioni degli agnonesi il vescovado è rimasto a Trivento, per esempio).

Il feudatario può avere un feudo d’elezione, ma al contempo è dominus pure di ulteriori “terre” e l’esemplificazione adesso ci è fornita dal Conte Cola di Monforte il quale pose la sua base, per così dire, a Campobasso anche se gestiva contemporaneamente Campodipietra, Gambatesa fino a Fragneto Monforte; la cura dei possedimenti richiedeva la mobilità del plurifeudatario. In sintesi, il vescovo è stanziale e il conte è ubiquo. La sede comitale non è sempre, vedi perlappunto Civita, interna all’aggregato urbanistico, vi si trasferirà con la “rifeudalizzazione avvenuta nel periodo della dominazione spagnola quando vennero a cadere le ragioni dell’arroccamento dei baroni, non più quei riottosi signori autori delle “congiure dei baroni”.

Essi si insediano nei nuclei abitati erigendo ivi i propri palazzi di famiglia, Pandone a Boiano il quale è significativamente al punto opposto dell’insediamento rispetto all’Episcopio. Tale distanza rimarca il permanere della contrapposizione tra il governo civile e quello episcopale nell’età del Viceregno. Per quanto riguarda, invece, la domus vescovile è da notare che in una entità insediativa così remota la formazione del tessuto edilizio era già completata al momento dell’avvento del cristianesimo per cui essendo satura la superficie nella scacchiera viaria impostata dai Romani, non c’erano cioè lotti disponibili, fu posizionato il Vescovado all’esterno.

Gli edifici per il nuovo culto devono collocarsi fuori dal perimetro urbanizzato, da S. Biagio a S. Maria del Parco, al Purgatorio, a S, Nicola, a S. Maria dei Rivoli, a S. Erasmo chiesa che è attaccata al palazzo vescovile. La cattedrale, la quale probabilmente si sovrappone ad un tempio pagano, è sì dentro le mura, in adiacenza comunque ad una porta urbica oggi scomparsa, quindi anch’essa ai margini della scacchiera ippodamea del vecchio municipium. Una corona, tanto lunga è la serie di “attrezzature cultuali”, che viene a cingere il “centro storico”, per usare due espressioni del vocabolario dell’urbanistica.

A completare tale teoria di manufatti architettonici per la pratica del credo cattolico, altrimenti vi sarebbe stata una lacuna, c’è il convento di S. Francesco, adesso al suo posto c’è il municipio. I Francescani devono vivere nei paraggi di un paese popoloso, perché, in quanto ordine mendicante, vivono di elemosine e proprio per questo la loro presenza è un indicatore della sua ricchezza. Non c’è da meravigliarsi se non ci sono i Benedettini, l’altra grande organizzazione monastica, poiché questi monaci non “prestano servizio” in città, bensì in campagna; è nel loro DNA, essi all’indomani della caduta dell’Impero si preoccuparono della ripresa della vita nell’agro, agendo direttamente in base alla Regola Ora et Labora, e indirettamente tramite i coloni.

L’abate, prendi quello di S. Vincenzo al V., fonda addirittura, nella sua opera di colonizzazione, nuovi villaggi sui quali esercita una potestà simile a quella del vescovo nelle realtà cittadine. Se ci fosse stata l’abbazia si sarebbe avuto un problema di coesistenza tra abate e vescovo simile a quella di cui si è parlato tra quest’ultimo e il conte. Il quadro delineato è quello della compresenza nel nostro contesto comunale di due poli, a monte la fortezza feudale a valle l’urbe, i municipia sono in sedicesimo repliche dell’Urbe, guidata, non solo una guida morale, dal vescovo.

Entità distinte, una sopra e una sotto, ma non del tutto separate. È evidente, date le notevoli dimensioni della fortificazione di Civita, che nei momenti di pericolo essa era destinata quale ultima ridotta ad accogliere tanta gente, il carisma divino del Pastore della Diocesi non sempre basta ad arrestare gli aggressori. In tempo di pace Civita restava vuota, popolata unicamente dagli uomini al servizio del signorotto, una sottospecie di corte, oltre ai soldati.

Francesco Manfredi Selvaggi645 Posts

Nato a Boiano (CB) nel 1956. Ha conseguito la Maturità Classica a Campobasso e poi la laurea in Architettura a Napoli nel 1980. Presso la medesima Università ha conseguito il Diploma di Perfezionamento in Storia dell’Arte Medievale e Moderna e il Diploma di Perfezionamento in Restauro dei Monumenti. È abilitato all’esercizio della professione di Architetto e all’insegnamento di Storia dell’Arte nei licei e Educazione Tecnica nelle scuole medie. Dal 1997 è Dirigente, con l’attribuzione di responsabilità nei servizi Beni Ambientali (19 anni), Protezione Civile, Urbanistica, Sismica, Ambiente. Ha avuto un ruolo attivo in associazioni ambientaliste quali Legambiente Molise, Italia Nostra sezione di Campobasso e Club Alpino Italiano Delegazione del Molise. Ha insegnato all’Università della Terza Età del Molise ed è stato membro del Consiglio di Amministrazione della Fondazione dell’Ordine degli Architetti di Campobasso, occupandosi all’interno dello stesso del progetto di Archivio dell’Architettura Contemporanea. È Giornalista Pubblicista e autore di articoli, saggi e del volume La Formazione Urbanistica di Campobasso. Le ultime pubblicazioni sono: «Le Politiche Ambientali nel Molise» (2011) e «Problemi di tutela ambientale in Molise» del 2014.

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