In vana attesa che il trabucco salpi

di Francesco Manfredi-Selvaggi

Infatti può essere assimilato, svolgendo la medesima funzione, ad una barca da pesca, solamente che esso è saldamente ancorato alla riva, non può prendere il largo, si deve accontentare dei pesci che stanno sotto costa. A trattenerlo è quella sorta di cordone ombelicale, il pontile che lo tiene unito all’arenile (ph F. Morgillo)

I trabucchi sono un oggetto sorprendente e anche davvero emozionante che rende ancora più attraente il nostro litorale; stanno pure nel tratto contiguo della costiera abruzzese, non in tutta così come accade in quella molisana dove i trabucchi sono concentrati in un unico segmento della riviera, quello termolese. I trabucchi, infatti, funzionano bene quali strumenti da pesca se i fondali sono sufficientemente profondi, la grande rete appesa ai pennoni impiantati su questa piattaforma impiantata, a sua volta, nell’acqua necessita di un certo pescaggio altrimenti si affloscerebbe sul fondo del mare; la profondità utile va raggiunta non troppo distante dalla battigia perché se no la passerella per arrivare a questa specie di palafitta sarebbe troppo lunga.

Nella costa bassa è come se la spiaggia proseguisse, degradando lentamente, al di sotto della superficie marina; essa è, in fin dei conti, la parte emersa del suolo che troviamo sott’acqua. In altri termini la spiaggia rappresenta un affioramento, che avviene gradualmente, della distesa sabbiosa sottomarina. L’inclinazione del terreno, in questo caso invece della terra c’è la sabbia, letteralmente sotto il livello del mare nelle rive dell’Adriatico è modesta ragion per cui per trovare una batimetria idonea alla pratica della pesca bisogna allontanarsi di molto dall’arenile; ciò implica che i pontili a servizio dei trabucchi dovrebbero avere una lunghezza consistente.

Nella costa alta, la falesia sulla quale sorge Termoli e la ripa teatina, la colonna d’acqua in prossimità della terraferma è sufficientemente alta, quindi idonea per pescare; il sottofondo del mare è formato qui da un basamento roccioso il quale non è altro che l’inabissamento della roccia che spunta fuor d’acqua. Del resto, vi immaginate un trabucco impostato su una costa bassa, in cui peraltro sarebbe difficile ancorarlo, con la passerella non sorretta da sostegni verticali in quanto sarebbero troppo corti, bensì galleggiante; essa si troverebbe a correre per centinaia di metri a pelo d’acqua e, dunque, essendo aderente allo specchio d’acqua, sarebbe soggetta alle oscillazioni prodotte dal moto ondoso e ai «cavalloni» marini.

I trabucchi posti come sono nell’interfaccia terra-mare sono estremamente sensibili alle conseguenze prevedibili dei cambiamenti climatici tra le quali vi è quella dell’innalzamento dei mari a seguito dello scioglimento del ghiaccio ai poli; i trabucchi che vi sono attualmente rischiano di essere sommersi. Finora, in verità, abbiamo assistito al fenomeno contrario, non quello della ritrazione della linea litoranea, bensì del suo avanzamento; il Trabucco di Riovivo è rimasto in “secca” dopo i lavori al porto per cui tale località rivierasca che era, in gergo tecnico, sottoflutto è diventata sito di deposito dei detriti terrigeni trasportati dalle onde.

Ciò in tempi recenti, mentre in tempi remoti di quanto accadeva ne abbiamo testimonianza a sud di Campomarino dove incontriamo molto distanti dalla marina autentiche dune fossili. Va considerato, inoltre, che le coste basse adriatiche sono fronteggiate da una teoria pressoché continua di barriere frangiflutto a protezione e per favorire il ripascimento della spiaggia, fondamentale risorsa turistica; tale cordone di massi ciclopici costituisce un ostacolo, a meno di volerlo scavalcare, all’apposizione dei trabucchi, pure qualora vi fossero quelle condizioni idrometriche di cui si è detto.

Scogliere a parte, sulle coste basse occupate come sono da un nastro continuo di stabilimenti balneari disposti, con altra espressione, in formazione serrata dirimpetto all’Adriatico è inimmaginabile la sottrazione di un pur minimo pezzettino di bagnasciuga. La costa bassa è interrotta oltre che dal promontorio in cui è ubicato Termoli anche da alcuni punti rialzati, cioè è punteggiata da tratti, piccoli, di costa alta sfruttati, essendo luoghi di scolta, per erigervi torri di difesa contro i saraceni: per salvaguardare l’immagine di questi beni culturali non è ammissibile l’affiancamento ad essi di un trabucco.

C’è, poi, la questione della marea che nel Mediterraneo è un fenomeno di poco conto, non è significativo l’aumento della quota del mare, per cui essa non ha incidenza nel posizionamento dei trabucchi. I trabucchi stanno isolati, non sono disposti in serie, adesso cambiamo argomentazione, e da qui ne deriva che non hanno alcuna somiglianza, se non che hanno entrambe le cose i piedi a mollo, con le palafitte degli uomini primitivi le quali sono riunite insieme a formare villaggi, le “terramare” della civiltà villanoviana.

Non sono evocativi degli insediamenti terramaricoli della preistoria e invece a livello emotivo richiamano le capanne che i naufraghi costruiscono su isolotti deserti. Tra ‘700 e ‘800 in contemporanea con l’avvio dell’era industriale e in contrapposizione a questa si diffuse il mito del superstite di un naufragio che si trova a vivere in un’isola sperduta, a contatto con la natura; tale fascinazione risulta rinvigorita nel momento attuale dall’attenzione forte che si registra verso l’ecologia.

Il trabucco è in legno materiale riciclabile, non è servito da linea elettrica, non è raggiunto dalla conduttura idrica, appare come un ricovero improvvisato proprio uguale al capanno di Robinson Crusoe. Il trabucco è sentito la stregua di un rifugio ideale dove evadere dal trambusto della vita quotidiana. È una delle rare cose che è resistita alla modernizzazione, che è sfuggita all’ammodernamento tecnologico, il pescatore che utilizza il trabucco ripete gesti che si perdono nella notte dei tempi.

Francesco Manfredi Selvaggi645 Posts

Nato a Boiano (CB) nel 1956. Ha conseguito la Maturità Classica a Campobasso e poi la laurea in Architettura a Napoli nel 1980. Presso la medesima Università ha conseguito il Diploma di Perfezionamento in Storia dell’Arte Medievale e Moderna e il Diploma di Perfezionamento in Restauro dei Monumenti. È abilitato all’esercizio della professione di Architetto e all’insegnamento di Storia dell’Arte nei licei e Educazione Tecnica nelle scuole medie. Dal 1997 è Dirigente, con l’attribuzione di responsabilità nei servizi Beni Ambientali (19 anni), Protezione Civile, Urbanistica, Sismica, Ambiente. Ha avuto un ruolo attivo in associazioni ambientaliste quali Legambiente Molise, Italia Nostra sezione di Campobasso e Club Alpino Italiano Delegazione del Molise. Ha insegnato all’Università della Terza Età del Molise ed è stato membro del Consiglio di Amministrazione della Fondazione dell’Ordine degli Architetti di Campobasso, occupandosi all’interno dello stesso del progetto di Archivio dell’Architettura Contemporanea. È Giornalista Pubblicista e autore di articoli, saggi e del volume La Formazione Urbanistica di Campobasso. Le ultime pubblicazioni sono: «Le Politiche Ambientali nel Molise» (2011) e «Problemi di tutela ambientale in Molise» del 2014.

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