Orientarsi tra i parchi molisani
di Francesco Manfredi-Selvaggi
Dal Parco Letterario al Parco dell’Ulivo al Parco Archeologico di Altilia al Parco dei Tratturi al Parco Fluviale del Biferno al Parco delle Morge sono le aree della regione che si fregiano del titolo di parco. Nessuna di queste è, però, un parco vero e proprio secondo quanto stabilisce la normativa sulle Aree Protette. Ci sarebbe bisogno di un po’ di ordine, o meglio no, è affascinante tale profluvio di iniziative in atto.
La legge 394 sulle Aree Protette è una legge quadro varata per fornire una cornice all’istituzione di parchi e riserve, ma, per altri versi, può essere letta come una gabbia nella quale si costringe ad entrare qualsiasi iniziativa di protezione dell’ambiente. I margini di libertà consentiti sono già definiti al suo interno, come se fosse possibile prevedere in anticipo e, di conseguenza, riconoscere ogni nuova forma di tutela ambientale. La creatività in questo campo viene mortificata, il marchio di parco o riserva, quasi fosse un brand “proprietario”, può essere attribuito solo a quelle proposte di salvaguardia che rispettano pedissequamente il dettato di tale normativa.
Uscendo dall’arcano, cioè dalle considerazioni astratte, quelle che piacciono ai legulei, e passando al concreto non si sa quanta legittimità abbia il denominarsi parco il Parco dell’Ulivo il quale non fa che generico riferimento alla legislazione sulla difesa della natura, tanto che non è abilitato a disporre vincoli sul territorio in esso ricompreso. Finora è un caso unico di “parco agricolo” e, pure, di “parco storico”, dipende dall’angolatura da cui lo si vuol vedere, se quella di salvaguardia di colture di pregio, le rinomate olive di Venafro, oppure quella di conservazione di un pezzo di campagna rimasto immutato dall’antichità, l’uliveto celebrato da illustri autori latini; non è detto che altri ambiti rurali, quelli riportati nella ricerca ministeriale sui paesaggi agrari tradizionali (l’area prossima delle Sorgenti di S. Nazzaro a Monteroduni, la bonifica agraria del basso Molise, ecc.), non vogliano in futuro candidarsi a divenire zone protette.
Alla medesima maniera lo stesso Parco dei Tratturi impropriamente si chiama così non esistendo nella normativa sui parchi la categoria di «parco lineare» che, invece, in America c’è e l’America è la patria dei parchi, la prima nazione in cui ne venne istituito uno. È vero che, vedi quelli che seguono gli itinerari della Corsa all’Oro e del viaggio dei Pionieri, l’interesse per un simile tipo di parco è culturale, ma, sai com’è, si preserverebbe una striscia territoriale da manomissioni. Per il Pescasseroli Candela c’è anche la valenza ecologica, una sorta di corridoio faunistico tra due parchi veri e propri, quello d’Abruzzo e quello del Matese.
Per meritarsi il titolo di parco un tratturo dovrebbe, da un lato o meglio dai due lati, essere delimitato, com’era una volta, da siepi che sono l’habitat privilegiato per la microfauna e, dall’altro lato, permettere, nei tratti dati in concessione, esclusivamente coltivazioni biocompatibili. Ciò vale pure per i parchi agrari: è insito nella stessa mission di parco dedicato all’agricoltura storica l’adozione di tecniche colturali attente al mantenimento della biodiversità quali sono quelle del passato. Posizionato sul fronte della cultura, in specifico quella letteraria, è il Parco Letterario, ve n’è nella nostra regione uno dedicato a Francesco Iovine, dove la natura fa semplicemente lo sfondo delle vicende narrate nel romanzo Le Terre del Sacramento.
Vi sono, poi, i parchi fluviali i quali potenzialmente potrebbero essere a pieno titolo dei parchi, ma le ipotesi che sono state avanzate, prendi quella del Parco Fluviale del Biferno della Comunità Montana del Molise Centrale sono rimaste sulla carta (sì, sulla carta che è quella degli elaborati tecnici prodotti). Un’ulteriore idea di parco che è stata ventilata qui da noi è quella del parco archeologico, definizione spuria nel caso del “parco archeologico di Altilia” (e dintorni) perché avente ad oggetto solamente l’archeologia e, invece, in possesso dei crismi di parco nel caso del “parco archeologico-naturalistico di Montevairano”, una zona interessante non solo per i resti sanniti, ma pure per il complesso boschivo in cui sono inseriti.
Ritorneremo su quest’ultimo progetto di parco in seguito quando si affronterà il tema dei parchi urbani. Adesso passiamo alla seconda categoria di Area Protetta prevista dalla 394 che sono le Riserve. Anche per queste, non è un problema puramente nominalistico, c’è l’esclusiva del termine, tanto che tre tra le grandi associazioni ambientaliste, in maniera concorde, sentono di dover chiamare “oasi”, quasi esistesse un’apposita, aggiuntiva tipologia di Area Protetta, al di fuori della legislazione di settore beninteso, le circoscritte superfici territoriali che esse prendono in carico per promuoverne le valenze ecosistemiche, scegliendo gli areali che ne sono maggiormente dotati.
Abbiamo, così, l’Oasi Lipu di Casacalenda, l’Oasi del WWF di Guardiaregia, l’Oasi di Italia Nostra di Roccamandolfi (l’Oasi della Legambiente di Castiglione di Carovilli ha avuto vita breve). Successivamente queste Oasi sono state trasformate, per così dire, ufficialmente, in Riserve Regionali. Un caso diverso di tramutazione in Riserve secondo la 394 di aree pregevoli ambientalmente già in cura, se si può dire, da parte di soggetti non istituzionali, appartenenti al mondo del volontariato in relazione agli episodi già citati, è quello delle due “attenzionate” dall’Unesco, singolarità di enorme significato ecologico (con il CFS a fare da “braccio armato”) che le ha incluse nel Programma MAB, i boschi di Collemeluccio e di Montedimezzo; al momento in cui vengono designate Riserve della Biosfera, un riconoscimento del loro ruolo a favore della sostenibilità del Pianeta, quindi a scala internazionale, diventano Riserve statali e, perciò, pure a scala nazionale e ciò, lo si dice incidentalmente, ha un non so che di ridondante.
Va intesa quale Area Contigua ai sensi della 394 il comprensorio dell’Assomab? È una domanda ovviamente senza risposta plausibile. Si erano preannunciati i parchi urbani ed eccoli ora. Non necessariamente devono avere speciali qualità naturalistiche, il requisito principe dei parchi ex l. 394, in quanto nati per soddisfare le esigenze ricreazionali della popolazione urbana, ma se ci sono tanto meglio. Se ci sono, lo si è appena detto, è meglio, ma se non ci sono è sempre possibile realizzarne uno riqualificando, lo si sta facendo a Isernia nel parco (oddio! un altro tipo di parco) ferroviario, le cosiddette aree dismesse.
In altri termini, se per i parchi naturali è necessario che le risorse ambientali siano preesistenti alla sua istituzione, nei parchi urbani la natura viene ricreata ad opera di paesaggisti, quindi un ambiente naturale ex-post. Fin dai Romani si distingueva natura naturans da natura naturata. È evidente che il grado di naturalità è differente tra un parco inteso come Area Protetta e un parco frutto di scelte urbanistiche (i parchi urbani dal canto loro presentano graduazioni del livello di naturalizzazione, più accentuata in quelli che si ispirano al “giardino pittoresco” rispetto a quelli dal disegno assai controllato in voga nel Rinascimento). Tra i parchi urbani è doveroso ricordare il Parco della Memoria di S. Giuliano di Puglia.
Francesco Manfredi Selvaggi637 Posts
Nato a Boiano (CB) nel 1956. Ha conseguito la Maturità Classica a Campobasso e poi la laurea in Architettura a Napoli nel 1980. Presso la medesima Università ha conseguito il Diploma di Perfezionamento in Storia dell’Arte Medievale e Moderna e il Diploma di Perfezionamento in Restauro dei Monumenti. È abilitato all’esercizio della professione di Architetto e all’insegnamento di Storia dell’Arte nei licei e Educazione Tecnica nelle scuole medie. Dal 1997 è Dirigente, con l’attribuzione di responsabilità nei servizi Beni Ambientali (19 anni), Protezione Civile, Urbanistica, Sismica, Ambiente. Ha avuto un ruolo attivo in associazioni ambientaliste quali Legambiente Molise, Italia Nostra sezione di Campobasso e Club Alpino Italiano Delegazione del Molise. Ha insegnato all’Università della Terza Età del Molise ed è stato membro del Consiglio di Amministrazione della Fondazione dell’Ordine degli Architetti di Campobasso, occupandosi all’interno dello stesso del progetto di Archivio dell’Architettura Contemporanea. È Giornalista Pubblicista e autore di articoli, saggi e del volume La Formazione Urbanistica di Campobasso. Le ultime pubblicazioni sono: «Le Politiche Ambientali nel Molise» (2011) e «Problemi di tutela ambientale in Molise» del 2014.
0 Comments