Della guerra

di William Mussini

Era il 1932 e la Società delle Nazioni propose ad Albert Einstein di invitare una persona di suo gradimento ad uno scambio di opinioni su di un tema da lui scelto. Einstein scelse la guerra, argomento urgente allora come oggi anche se differente era la conformazione storica e politica del mondo nonché le categorie di classificazione della guerra. Il suo interlocutore fu Sigmund Freud ed il loro scambio di pareri sul tema della guerra, si svolse quando l’idea di uno Stato sovranazionale che controllasse le Nazioni per evitare che eventuali controversie sfociassero in conflitti bellici, era ancora considerato come una panacea plausibile contro il dilagare della violenza.

L’invenzione delle differenze culturali e delle religioni come strumento di controllo delle masse, l’ideazione dei confini e delle frontiere hanno consentito alle classi dominanti globali di ottenere, nei secoli, il completo asservimento di uomini, popoli e comunità. La propaganda di Stato, l’indottrinamento in età infantile, la politica del profitto a tutti i costi e della competizione fra individui e popoli, hanno fatto sì che le Nazioni di questo mondo antropocentrico alla deriva, riuscissero a formare eserciti attribuendo loro liceità di uccidere i propri nemici, in nome di una Patria, di un Dio, di un valore libertario o di una presunta superiorità razziale che motivasse qualsiasi velleità di dominazione e colonialismo.

Tra i tanti personaggi influenti che si interrogarono durante gli anni pre e post bellici del secolo scorso, vi furono Sigmund Freud e Albert Einstein che, rispondendo ai soliti quesiti sulle origini della violenza fra gli uomini, fra le altre considerazioni, scrissero così: “Caro Signor Freud […]” scriveva Einstein “la domanda è: c’è un modo per liberare gli uomini dalla fatalità della guerra?”. “Come è possibile che la minoranza ora menzionata”, Einstein si riferisce alla classe dominante, “riesca ad asservire alle proprie cupidigie la massa del popolo, che da una guerra ha solo da soffrire e da perdere?” E tra l’altro sino ad arrivare all’olocausto di sé.

Freud in Introduzione alla psicoanalisi definisce il concetto di identificazione come “assimilazione di un io a un io estraneo, in conseguenza della quale il primo io si comporta sotto determinati riguardi come l’altro, lo imita, lo accoglie in certo qual modo in sé”.

È tramite l’identificazione e la coercizione violenta (le leggi e la polizia che le fa rispettare), che la classe dominante riesce “ad asservire alle proprie cupidigie la massa del popolo che da una guerra ha solo da soffrire”. – Einstein deriva dal punto precedente il fatto che “l’uomo ha entro di sé il piacere di odiare e di distruggere” e chiede a Freud: “Vi è una possibilità di dirigere l’evoluzione psichica degli uomini in modo che diventino capaci di resistere alle psicosi dell’odio e della distruzione?”.

Freud risponde facendo riferimento alla componente più deleteria della psiche umana, quella che consente a chiunque, attraverso l’obbedienza alle autorità di diventare il braccio armato che distrugge il prossimo a comando convintamente e in perfetto sincronismo con i propri simili politici, avvalorando così anche le tesi del professor Milgram che in un articolo del 1974 I pericoli dell’obbedienza, riepilogò l’esito dei suoi esperimenti: “Gli aspetti legali e filosofici dell’obbedienza sono di enorme importanza, ma dicono poco su come la maggior parte delle persone si comporta in situazioni concrete. Ho organizzato un semplice esperimento alla Yale University per testare la sofferenza che un comune cittadino infliggerebbe a un’altra persona semplicemente perché uno scienziato glielo ordina. L’autorità è stata contrapposta alla morale contro la violenza e, nonostante le urla delle vittime, l’autorità ha vinto il più delle volte. La volontà degli adulti di fare qualsiasi cosa per compiacere un’autorità e i suoi ordini, costituisce il principale risultato dello studio; ciò richiede una spiegazione urgente. Le persone comuni, pensando di fare semplicemente il loro lavoro, possono diventare agenti di un terribile processo distruttivo come l’Olocausto. Inoltre, anche quando gli effetti distruttivi delle loro azioni diventano palesi e viene loro chiesto di compiere azioni incompatibili con gli standard morali, relativamente poche persone resistono all’autorità”.

Anche Hannah Arendt nel suo celebre libro la banalità del male, sui concetti di obbedienza e normalità scrisse: «Dal punto di vista delle nostre istituzioni giuridiche e dei nostri canoni etici, questa normalità è più spaventosa di tutte le atrocità messe insieme, poiché implica – come già fu detto e ripetuto a Norimberga dagli imputati e dai loro padroni – che questo nuovo tipo di criminale, realmente hostis generis humani, commette i suoi crimini in circostanze che quasi gli impediscono di accorgersi o di sentire che agisce male.».

Della stessa opinione è Primo Levi che in I sommersi e i salvati, così descrive i suoi aguzzini: «Erano fatti della nostra stessa stoffa, erano esseri umani medi, mediamente intelligenti, mediamente malvagi: salvo eccezioni non erano mostri, avevano il nostro viso. Erano in massima parte, gregari e funzionari rozzi e diligenti: alcuni fanaticamente convinti del verbo nazista, molti indifferenti, o paurosi di punizioni, o desiderosi di fare carriera, o troppo obbedienti.».

Sentiamo la necessità oggi come non mai di ribadire la totale avversione nei confronti di qualsiasi forma di violenza e di essere autodeterminati nella scelta primaria che dovrebbe accomunare tutti i popoli della terra, cioè quella di ripudiare la guerra e di perseguire, come individui, la piena autonomia nel proclamarci pacifisti anche e soprattutto in contrasto alle scelte della politica nostrana che si prona ancora oggi a disposizioni di padroni d’oltre oceano.

William Mussini76 Posts

Creativo, autore, regista cinematografico e teatrale. Libertario responsabile e attivista del pensiero critico. Ha all'attivo un lungometraggio, numerosi cortometraggi premiati in festival Internazionali, diversi documentari inerenti problematiche storiche, sociali e di promozione culturale. Da sempre appassionato di filosofia, cinema e letteratura. Attualmente impegnato come regista nella società cinematografica e teatrale INCAS produzioni di Campobasso.

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