Le 2 tappe del percorso dell’acqua, pulita dalle sorgenti al rubinetto, sporca dagli scarichi domestici al depuratore
di Francesco Manfredi-Selvaggi
È un cammino a volte molto lungo non sempre senza intoppi per le perdite che si possono verificare dalle condutture sia idriche che fognarie. È assai lungo anche dal punto di vista temporale essendo iniziati i lavori per la realizzazione di queste infrastrutture più di un secolo fa. Proprio per il fatto che sono, almeno alcune di esse, opere datate sono necessari continui interventi di manutenzione per evitare fuoriuscite del liquido sia dall’una che dall’altra rete (Schema di impianto fognario)
Adriano Celentano ne “I ragazzi della via Gluck” fa un passaggio che è «lavarsi in casa senza andar giù nel cortile» il quale ci ricorda che nell’immediato secondo dopoguerra ancora non era arrivata l’acqua corrente nelle case dei ceti popolari. In quel periodo già lavarsi tutti i giorni non era un’abitudine diffusa, certo non nei nostri piccoli centri dove alla generale povertà in senso stretto, cioè economica, si associava la “povertà” idrica. Solo più tardi gli alloggi cominciano ad essere dotati di rubinetti. Lì dove c’erano gli stanzini di “comodo” per soddisfare i “bisogni corporali” essi risultavano collegati ai pozzi neri ed erano privi di sciacquone; in assenza si usavano i vasi da notte.
In tante abitazioni popolari i gabinetti sono stati ricavati sui balconi presenti sul retro dei fabbricati oppure su sporgenze costruite appositamente, sempre posteriormente all’edificio. A Baranello è davvero caratteristica la vista d’infilata della fila pressoché ininterrotta di tali aggetti sul fronte secondario della struttura edilizia lungo una stradina parallela al corso cittadino. In alcune residenze signorili all’origine fortificate si sono utilizzate all’uopo le torrette esistenti, mentre in altre vi è stata l’addizione di manufatti turriformi per il duplice scopo, da un lato quello di ospitare locali di servizio tipo il bagno e, dall’altro lato, per impreziosire l’immagine della propria dimora con il richiamo all’architettura dei palazzi baronali i quali hanno le torri, una finalità prosaica e una estetica.
Entrambe le innovazioni ottocentesche, quella del lavaggio del corpo e quella del WC munito di vaschetta per lo scarico, vanno nella direzione del miglioramento dell’igiene tanto personale quanto pubblica e ciò è certo, ma sono contrassegnate anche da risvolti negativi, in verità uno solo, l’aumento dell’acqua che defluisce in fognatura. Il perché è presto detto: le fogne all’epoca erano costituite da tubature soggette a frequenti smagliature, in qualche modo artefatti precari, e perciò era alto il rischio che il liquido lurido fuoriuscendo dalle condutture inquinasse il suolo.
Bisogna ricordarsi che nel suolo, o meglio nel sottosuolo passano pure i tubi dell’acquedotto i quali alla stessa maniera sono soggetti a perdite che dovevano essere cospicue se financo nel 1987, quindi in età pressoché contemporanea, si lamentava una dispersione nel terreno dell’acqua delle reti acquedottistiche; è facile ipotizzare il travaso delle acque sporche dell’impianto fognario nelle acque pulite di quello a scopo potabile, tenuto conto che le tubazioni corrono appaiate. In definitiva, incrementandosi i consumi idrici si ha una crescita degli scarichi fognari e, come un gatto che si morde la coda, la sostanza acquosa, chiara e scura, mischiandosi compromette la qualità dell’acqua da bere.
L’acquedotto da toccasana per favorire condizioni igieniche civili può rivelarsi esso stesso veicolo di infezioni. Nell’ ‘800, il secolo di cui stiamo parlando, si registrò, un po’ ovunque in Europa, una, seppure in piccolo, esplosione demografica e al maggior numero di abitanti viene a corrispondere un accrescimento del materiale fecale che viene evacuato dalla fognatura. Altrettanto gravi problemi di inquinamento sicuramente li generava l’assenza di apparato fognante con le feci e l’urina, quando non sversate nei pozzi neri, smaltite gettandole dalle finestre nei cortili e perfino per strada (si racconta che a Capracotta allo scioglimento delle nevi le defecazioni riemergono alla vista depositate sul pavimento stradale) perché comunque per percolazione, infiltrandosi sotto terra, potevano raggiungerle le tubazioni della rete idrica, contaminandone il contenuto.
La realizzazione delle fognature, va precisato, è successiva a quella degli acquedotti. Tra le infrastrutture igienico-sanitarie che erano propugnate dai medici igienisti 150 anni fa insieme alla pastorizzazione del latte e alla clorazione dei serbatoi idro-potabili ai fini della salvaguardia della salute collettiva ebbero la precedenza gli acquedotti. Dei precetti della nuova scienza dell’Igiene Pubblica erano tutori i medici condotti i quali ricoprivano anche il ruolo di ufficiali sanitari e in questa veste essendo assimilati a funzionari comunali caldeggiavano presso le amministrazioni civiche tali opere; è bene dire, per completare il quadro, che in questo materia ad un livello gerarchicamente superiore stavano i medici provinciali i quali svolgevano una simile azione di stimolo nei confronti delle Province.
Le fognature vennero successivamente forse anche per la resistenza alla loro realizzazione di quanti consideravano gli escrementi una risorsa utilizzati com’erano quali fertilizzanti degli orti. C’è una figura particolare di mediatore commerciale per questo insospettabile bene economico che è lo “svuotapozzi”, si starebbe per dire un mercato nero pensando a tali pozzi appunto neri. Era specialmente il letame ad essere impiegato per la concimazione dei campi, ma adesso non c’entrano gli impianti fognari anche se non siamo fuori tema; esso era accumulato davanti alle stalle se non proprio in adiacenza alle dimore rurali dove stazionavano a lungo in attesa di essere sparso in autunno sugli appezzamenti agricoli, non esistevano le concimaie; ci si era talmente abituati all’olezzo che neanche ci si faceva caso a questi mucchi di sterco nei pressi delle proprie abitazioni.
Non era soltanto un problema olfattivo, fastidioso quanto si vuole ma non preoccupante per la salute umana, poiché dai letamai non essendo su piattaforma a tenuta il liquame, la porzione residua che non era evaporata (si ricorda che il letame sviluppa calore), percolava sotterraneamente con il rischio di inquinamento delle falde acquifere. Queste ultime alimentavano i pozzi che servivano a soddisfare il fabbisogno idrico delle famiglie insediate nell’agro per cui si correva il pericolo che venisse compromessa la disponibilità d’acqua per il consumo antropico. Il liquame che trasudava dai letamai disperdendosi oltre che in aria, in forma di vapor acqueo, in terra era una minaccia pure per gli acquedotti comunali i quali prelevavano l’acqua dagli acquiferi più superficiali, non si effettuavano captazioni delle sorgenti in profondità dati i limitati mezzi a disposizione né un tempo vi erano impianti di potabilizzazione.
Francesco Manfredi Selvaggi637 Posts
Nato a Boiano (CB) nel 1956. Ha conseguito la Maturità Classica a Campobasso e poi la laurea in Architettura a Napoli nel 1980. Presso la medesima Università ha conseguito il Diploma di Perfezionamento in Storia dell’Arte Medievale e Moderna e il Diploma di Perfezionamento in Restauro dei Monumenti. È abilitato all’esercizio della professione di Architetto e all’insegnamento di Storia dell’Arte nei licei e Educazione Tecnica nelle scuole medie. Dal 1997 è Dirigente, con l’attribuzione di responsabilità nei servizi Beni Ambientali (19 anni), Protezione Civile, Urbanistica, Sismica, Ambiente. Ha avuto un ruolo attivo in associazioni ambientaliste quali Legambiente Molise, Italia Nostra sezione di Campobasso e Club Alpino Italiano Delegazione del Molise. Ha insegnato all’Università della Terza Età del Molise ed è stato membro del Consiglio di Amministrazione della Fondazione dell’Ordine degli Architetti di Campobasso, occupandosi all’interno dello stesso del progetto di Archivio dell’Architettura Contemporanea. È Giornalista Pubblicista e autore di articoli, saggi e del volume La Formazione Urbanistica di Campobasso. Le ultime pubblicazioni sono: «Le Politiche Ambientali nel Molise» (2011) e «Problemi di tutela ambientale in Molise» del 2014.
0 Comments