Reminiscenze di vite passate: in viaggio a cavallo di una Quasar
di William Mussini
“Scendi con i piedi a terra!” Mi fu imposto qualche vita fa, da un maestro elementare, quando descrissi accuratamente il viaggio a cavallo d’una stella quasar, scrivendolo a caratteri cubitali sulla facciata della scuola Primo Levi. O forse era la Francesco Jovine?
Non ricordo bene, rammento comunque perfettamente il gesto stizzito del vecchio borghesucolo che, con una scossa vigorosa alla scala sulla quale ero alloggiato, mi fece precipitare a terra proprio mentre ero lì per terminare l’ultima frase. Fui immediatamente condotto da un medico psichiatra e, mentre quello tentava di sezionare la mia inattaccabile paranoia, io ripetevo ininterrottamente quell’ultima frase, quelle ultime parole:
“E di voi umani, miei prossimi parenti, osservo l’ansimare e il mugugnare senza tempo e senza distanza, ora che sono così lontano, ora che sono così lontano, così lontano, sino ad essermi perso, sino a fuggire i vostri deboli occhi…”
Era meraviglioso cavalcare quella quasar, ad una velocità prossima a quella della luce stessa, allontanandomi allo stesso tempo da qualunque punto dell’universo, sputacchiando qua e là frammenti di nenie catalane, drogato sino a provare schifo della mia fisicità; godevo d’un amplesso acuto e continuo, mi strappavo i denti uno ad uno per conficcarmeli nel collo, per provare il dolore d’un morso soggettivo, per capire il perché d’un mio corpo materico, relegato ad una forma e a una definizione approssimative.
Impazzii nel collasso atomico delle mie ultime particelle, quando mi si presentarono due uniche e sole vie d’uscita, due fori obbligatori che mi imponevano una scelta, piazzati lì da una mente quantistica dell’università di Pisa. Ricordo che l’équipe di Truscott aveva intrappolato una serie di atomi di elio in un particolare stato quantistico, il cosiddetto condensato di Bose-Einstein, e poi li estrasse finché non ne rimase che soltanto uno.
Successivamente, inserì il singolo atomo in un interferometro, un apparato sperimentale in grado di combinare percorsi diversi di luce per studiare le proprietà delle onde elettromagnetiche, dimostrando che, effettivamente, l’atomo si comporta come particella o come onda a seconda della configurazione iniziale dello strumento.
Egli concluse: “Bisogna accettare il fatto che la misura cambia a seconda che lo scienziato creda che l’atomo si comporti in un modo o nell’altro. L’atomo non si muove da un punto all’altro dell’interferometro. È solo dopo la misura finale che la sua natura di onda o particella diventa reale”. Vi piaccia o no, sembra che sia così che va il mondo. Almeno quello quantistico.
Ed io che ero unico, solo, indivisibile, decisi di passare contemporaneamente in entrambe i fori, e quando il Nobel era lì ad osservare beffeggiai i suoi sensi, e nonostante egli ripetesse l’esperimento assurdo, io continuavo ad essere relativo alla sua interpretazione, alla sua presenza ed alla sua assenza.
Chi di voi ha sentito parlare di meccanica quantistica, sappia prendere la palla al balzo, chi invece non sa un bel niente di fisica delle particelle, abbia la compiacenza di perdonare per l’ennesima volta, la mia ermetica prosa. La natura di un osservabile quantistico è intrinsecamente legata alla modalità di osservazione, ossia a come lo si guarda.
William Mussini76 Posts
Creativo, autore, regista cinematografico e teatrale. Libertario responsabile e attivista del pensiero critico. Ha all'attivo un lungometraggio, numerosi cortometraggi premiati in festival Internazionali, diversi documentari inerenti problematiche storiche, sociali e di promozione culturale. Da sempre appassionato di filosofia, cinema e letteratura. Attualmente impegnato come regista nella società cinematografica e teatrale INCAS produzioni di Campobasso.
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