Filippo Graziani e la prima di «Arcipelago Ivan»

di Giovanni Petta

È andata in scena al Teatro Maria Caniglia di Sulmona la prima di “Arcipelago Ivan”, il concerto di Filippo Graziani, un concerto che traghetta gli spettatori, come a bordo di una nave, tra musica, racconti e letture, nella vita e nell’arte di Ivan Graziani.

L’evento, promosso dall’associazione culturale Nomadi Fans Club “Un giorno insieme” di Sulmona, è stato organizzato per sostenere il progetto “Una colonna sonora per la vita” a sostegno del distretto sanitario Valle Peligna – Alto Sangro. Prima del concerto è stato consegnato al distretto sanitario di Sulmona un ecografo di ultima generazione.

Il momento centrale dello spettacolo – l’esposizione più esplicita del nucleo della poetica di un artista che partiva dai dettagli della provincia italiana per misurarsi con la poesia del cantautorato italiano e con il rock anglosassone più vero – è sembrato essere quello in cui, circa alla metà del concerto, Filippo Graziani prende tra le mani “Arcipelago Chieti”, un libro che suo padre pubblicò nel settembre del 1988, e legge un racconto in cui i protagonisti sono un calabrese di Tropea e un rom di Pescara, ricoverati in un ospedale militare insieme a un giovanissimo Ivan Graziani. Nei pochi minuti di lettura viene fuori con evidenza la capacità di cogliere la tragedia e la comicità delle situazioni che la vita ci costringe a vivere ogni giorno; la premura e la competenza, il desiderio e la necessità, di trovare la bellezza ovunque, persino nella ferialità delle cose comuni, nei limiti umani, persino nei comportamenti di quei personaggi fuori dalle regole per scelta o per patologia.

Le altre isole dell’arcipelago, quelle musicali, si dispongono intorno a questo centro letterario e sono tutte di una bellezza conosciuta, anche quelle meno famose. Nessuno, a ventisei anni dalla sua morte, riesce ancora ad avere un pubblico che canta a memoria le sue canzoni. Ivan Graziani sì. Persino i giovani che non l’hanno conosciuto mentre era in attività, presenti numerosi nel teatro abruzzese, cantano con gli adulti e con i figli di Ivan. I figli, sì, perché sul palco c’è anche Tommaso, primogenito del cantautore teramano, batterista di qualità per precisione e gusto. Grazie al suo lavoro, puntuale e partecipato, si sente in molti momenti del concerto una qualità alta della proposta musicale che fa pensare all’Elio Rivagli del Fossati dal Vivo e all’Ellade Bandini dei Concerti di De André. Ottima l’intesa con Giovanni Cardelli, bassista misurato e attento, prezioso nel dare profondità al bel suono che arrivava dal palco.

Una novità negli arrangiamenti è stata l’introduzione della fisarmonica, suonata dal tastierista Stefano Zambardini, attento nel restituire le linee melodiche che costituivano l’apparato armonico degli arrangiamenti originali e a seguire, mettendoci del suo, le nuove tensioni che a quelle canzoni ha voluto dare Filippo Graziani.

Ecco, gli arrangiamenti. Le canzoni di Ivan Graziani, come quelle di Lucio Battisti, suonano spesso molto contemporanee. Il loro suono invecchia difficilmente per cui il lavoro di revisione che Filippo Graziani e la sua band fanno è un lavoro di interpretazione e non di restyling. Per questo motivo “Arcipelago Ivan” non è il concerto di una cover band ma un prodotto artistico nuovo che parte da un repertorio incredibilmente ampio e di qualità.

I brani che sono ormai entrati a far parte della memoria collettiva sono davvero tanti: Firenze, Lugano addio, Agnese, Pigro, Monna Lisa, Maledette malelingue… E, tuttavia, c’è sempre la possibilità di fare scoperte nuove in un repertorio che è molto vasto, soprattutto se si considera che Ivan Graziani è scomparso a soli cinquantuno anni. Splendida, in questo senso, la rivisitazione di “Signorina”, brano meno conosciuto ma approfondimento emozionante, intenso, del mondo degli adolescenti, un mondo a cui il nostro cantautore dava sempre molta attenzione.

Insomma, Filippo canta suo padre ma canta se stesso. Canta se stesso e canta Ivan perché la grana della sua voce, la tecnica, l’estensione… tutto sembra essere geneticamente trasmesso da quell’artista che tutti rimpiangiamo. Eppure, l’intenzione nel porgere alcune parole, la scansione metrica delle sillabe all’interno della frase musicale, il modo di dare importanza al finale dei versi così pop rispetto al modo rock di troncare le parole usato da suo padre… insomma nonostante le tante vicinanze, la voce che si ascolta in “Arcipelago Ivan” è quella di Filippo. Ed è un bene per tutti perché, in questo modo, le canzoni, anche per chi le conosce a fondo, emanano una luce nuova pur non avendone bisogno e lo spettatore non ha l’impressione di essere al museo per osservare cose belle ma antiche; è, invece, al centro di un evento artistico contemporaneo che funziona ed emoziona non solo perché è stato bello nel passato ma perché la sua bellezza è reale anche nel presente del 2023.

Ciò che si è detto per la voce vale anche per la chitarra di Filippo Graziani. L’artista la utilizza per accompagnarsi armonicamente e ritmicamente mentre canta e per abbandonarsi, poi, alle melodie degli assoli con la stessa naturalezza del papà. Esprime se stesso, però. Pur suonando le note che tutti abbiamo nelle orecchie, la sua chitarra parla del giovane Graziani, in continuità con ciò da cui proviene, certo, ma con la personalità di chi ha delle cose da dire. Quanto sarebbe stato contento Ivan nel vederlo suonare così!

Imbarazzo nei bis: quale canzone suonare? Ce ne sono cosi tante ancora! Paolina… Signora bionda dei ciliegi… Dada… E sei così bella… Doctor Jekill and Mister Hyde… Una voce dal pubblico urla “Falle tutte!” Magari! Anche se avessero suonato per altre due ore, nessuno avrebbe lasciato il teatro.

 

Giovanni Petta76 Posts

È nato nel 1965 in Molise. Ha pubblicato le raccolte poetiche «Sguardi» (1987), «Millennio a venire» (1998) e «A» (2016); i romanzi «Acqua» (2017), «Cinque» (2017) e «Terra» (2021) ; il saggio giornalistico «L'Italia delle regioni, il Molise dei ricorsi» (2001) e, con lo pseudonimo di Rossano Turzo, «TurzoTen« (2011) e «TurzoTime» (2016). Allievo di Mogol, ha inciso «Non crescere mai» (1993), «Trema terra trema cuore» (single, 2003), «Il bivio di Sessano» (2012). Ha diretto le testate «Piazzaregione» e «L'interruttore». Ha coordinato l'inserto molisano de «Il Tempo».

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