Breve storia tragica sulla giustizia e sull’ipocrisia
di William Mussini
Siamo nell’anno 1352, nel paesino del sud Francese Elorac, poche centinaia d’abitanti governate dal sacrestano Jaque Moude e dal signore di Elorac, Enrique Coolè de Marseilles. Furono quelli anni di completa degradazione che vedevano in paesi come Elorac il prolificare di ignoranza e superstizioni, di povertà e pestilenze, grazie alla soffocante, ipocrita oligarchia di ricchi proprietari sfruttatori e di sentenziosi clerici cristiani tanto repressivi e deleteri quanto i primi. I popolani, per lo più contadini, presero abitudini e costumi certamente degni di quella mediocre esistenza. V’era chi fra di loro, possedendo animali da cortile d’ogni sorta, lasciava che quest’ultimi scorrazzassero indisturbati fra le vie e viottole del paesello nella noncuranza generale.
Era normale, nessuno protestava, almeno fino a quando con accadeva qualcosa di tremendamente spiacevole. Il 30 Aprile dunque, due giovani garzoni si presentarono ansimanti al cospetto di Don Jaque intento a benedire l’ostia nella piccola sacrestia. Uno di loro prese parola e visibilmente eccitato strillò volgarmente le sue ragioni: -“Povero me! Ah che disgrazia, la mia povera madre è stata assassinata sulla soglia, ah povero me..! Io l’ho visto signor curato, è stato il maiale di Mallorè, l’ho visto che stava ancora curvo su di lei a mangiarne le povere carni! Bisogna far giustizia signor curato!”-.
Don Jaque replicò: – “Calmati figliolo, calmati, usciamo di qui, stai disturbando la pace d’un luogo sacro con le tue urla, cos’è che stai cianciando, di che maiale parli?”- . Riprese il giovane ancora più forte, appena giunti giù in strada: – “Mia madre è stata assassinata dal maiale di Mallorè, venga a vedere, è ancora lì sulla soglia, la mia povere madre” – . Il sacerdote fattosi scuro in volto e travolto dalla foga dei due si recò a piè veloce sul luogo nefasto, giunti lì non poté fare altro che verificare il turpe omicidio.
Distesa a pancia all’aria giaceva in un lago di sangue l’anziana donna, con un cesto d’uova rovesciato a terra
al suo fianco e con parte del torace e della gola mangiucchiate orribilmente. Il suo carnefice, il maiale dunque, era a pochi passi da lei tenuto fermo da quattro paesani accorsi di gran lena. Considerata affondo la situazione, ascoltate le varie opinioni e testimonianze, Don Jaque decise e proclamò ad alta voce: -“Avendo avuto conferma dal povero figliolo di codesta povera vittima che il vile assassino è stato colto in flagrante nell’atto omicida, io proclamo colpevole, in questo legittimo processo, il maiale incriminato, condannandolo a flagellazione immediata mediante frusta e infine ad impiccagione su pubblica piazza. Ciò che è detto s’ha da fare”-. Il truce maiale fu portato trascinato di forza su di un carretto trainato da un ciuco e quindi, dopo averlo vestito di abiti umani, fu fatto girare per i vicoli del paese fra la folla incuriosita che, accerchiando l’animale, cominciò ad inveire coprendo di sputi e d’insulti.
Durante il calvario il boia, che era proprio il suo padrone Mallorè, lo frustava con ferocia inaudita, facendo
zampillare il sangue dalla testa come fontanelle. Lo spettacolo era disgustoso. Giunsero finalmente, dopo due ore di lungo martirio, alla piazza maestra dove era allestita la forca giustiziera. Quando l’ebbero issato sino al cappio, una voce autoritaria e potente proveniente dal palazzo municipale fece arrestare l’esecuzione. Era il signor sindaco Enrique Coolè de Marseilles che, disturbato da quel baccano, chiese spiegazioni: – ” Or dunque, signori popolani, da cosa dipende codesto fracasso, cosa ci fa un maiale rosso sulla forca? Signor sacrestano, abbia la compiacenza di informarmi d’ogni accaduto! ” – .
Don Jaque salì sul patibolo e fece segno ai paesani di tacere, poi rispose: – “Eccellentissimo Signor d’Elorac,
codesto animale rosso, non per naturale peluria purpurea ma bensì per tintura dello sangue suo, è stato da me condannato alla frusta ed alla forca perché artefice d’uno spietato delitto ai danni di una povera vecchia, colto dunque nell’atto scellerato, non ha che da esser giustiziato!” – .
Enrique gli rispose prontamente: – “Signor curato, tutti sanno che in questo paesello di gentiluomini, solo io posso avvalermi di potere giudiziario, tanto che sono in possesso della carta titolata. Or dunque, sospendo questo inutile ed illecito macello e indico per la mezz’ora successiva un regolare processo al porco, che sarà fornito a norma di legge d’un proprio suo avvocato difensore, la legge è uguale per tutti! Tiratelo giù!”- . In un mormorio generale, il povero maiale, venne per il momento graziato e rinchiuso in una gabbia per pollame in attesa dell’udienza regolare.
Vennero al dunque convocati i parenti e i testimoni, eletti gli avvocati e la giuria, si allestì l’aula nella piazza
con tanto di pubblico e di gendarmi. Prese la parola il Giudice Sig. d’Elorac: -“Dichiaro aperta l’udienza,
compaesani, signori della corte, siete chiamati a decidere le sorti del maiale imputato, vi invito a seguire attentamente l’intero svolgimento del processo; la parola all’avvocato difensore il signor pittore Ugo Stattì !”-. Il vecchio Stattì era conosciuto in tutta la regione per la sua innata, amorevole passione per gli animali in genere, domestici e non, essendo poi l’unico offertosi in difesa del suino, venne indiscutibilmente proclamato suo avvocato.
-“Signor Giudice di Elorac, Signori della corte, chiamerei a deporre il testimone oculare, il giovane figlio
della vittima!”- Il garzone si accomodò accanto al banco dei giurati: – “Dunque ragazzo, lei dice di aver ve –
duto l’imputato, il maiale, chino sul corpo esanime della vostra povera madre che la stava ancora divorando, non è vero? “- Il giovane affranto rispose balbettando: -“Sì… Lo vidi che era su di lei, io arrivai alla porta di corsa avendo sentito la mamma urlare, ma era già troppo tardi…e… “- Stattì: -” Mi scusi; ma tardi per cosa? Per veder consumarsi interamente il misfatto e quindi esser certo dell’agguato criminale’ Penso infatti che lei in vero non sia riuscito a vedere l’aggressione ma soltanto il momento in cui l’animale avrebbe dovuto terminare l’atroce delitto. Ciò significa che la vostra povera madre avrebbe potuto trovare la morte per ben altre cause prima che il maiale l’andasse a visitare. A tal proposito voglio ricordare ai presenti che l’animale in questione, era solito gozzovigliare da quelle parti ormai da tanti mesi, ricordiamo anche che mai fino ad ora l’amico suino s’era avventato su di un uomo se non in seguito a violenze o provocazioni. Or dunque, bisognerebbe accertare se l’imputato avesse realmente motivo di uccidere la donna e inoltre, se v’è stato qualcuno che l’ha adoperato per il delitto in sua copertura…! “- .
Lo interruppe bruscamente Don Jaque: -” Mi oppongo Vostro Onore, il signor Stattì sta cercando di sviare
l’attenzione dei giurati su argomentazioni troppo aleatorie ed improbabili, pregherei di non far proseguire
l’inutile turpiloquio! “- Il Giudice: -“Obiezione respinta, stia a sedere, lei parli pure!”-. Stattì: -“Grazie Vostro Onore. Sappiamo dunque che il figliolo non ha veduto alcuna aggressione, ed è anche certo che la vittima giaceva a mezzo metro dalla porta di casa sua, cioè della cucina; ebbene signori, c’è un particolare molto importante che è stato ciecamente ignorato, ho constatato di persona pochi attimi prima dell’udienza, che lo spessore dell’ingresso di casa Berzant, appunto quella della vittima, è largo soltanto sessanta centimetri, mentre il ventre del suino è ampio ben quindici centimetri in più.
Ciò mette seriamente in dubbio che il maiale sia potuto entrare in casa e compiere il delitto e dà per certo invece che la donna, caduta di schiena e con la porta alle sue spalle, sia stata assassinata all’interno della cucina e quindi non dal porco che evidentemente, avendo visto il cesto di uova rovesciato in terra, deve essersi avvicinato per mangiarle accanto alla vecchia. Ed ecco allora che in quel momento sopraggiunse il figlio dal piano di sopra, vide quell’orribile situazione e corse a chiamare aiuto, o meglio, restò in casa ad urlare, altrimenti il maiale si sarebbe avventato anche su di lui, sbaglio?”- .
Il giovane rispose mentre grondava di sudore: -“Io… Quando la vidi chiamai aiuto e in attimo venne Mallorè ed altri due che allontanarono il maiale che. che non reagì affatto, questo lo ricordo bene. Mi avvicinai poi al corpo della povera mamma e constatai le ferite, e poi.” -“E poi corse dal curato urlando e piangendo!”- Lo interruppe Ugo Stattì: -“Come avrete sentito Signori della corte, le prove che il maiale sia stato effettivamente il colpevole sono decisamente assenti, piuttosto avanzerei l’ipotesi che il suo padrone Mallorè abbia commesso per un qualche motivo il delitto per poi lasciare incolpare il suo porcello come ben sapete..”-. Silenzio fra la folla e la giuria… Dopo qualche tempo, per farla breve, si alzarono le voci dei popolani inferociti. -“A morte Mallorè! Giustiziamolo, vogliamo la sua testa…!”-.
Or dunque; il maiale fu rilasciato e curato ben bene, Mallorè fu incriminato per omicidio e condannato alla
forca, il verdetto l’accusava d’aver tentato di trafugare denari all’anziana donna e non avendo ricevuto che
una reazione di disappunto, di averla colpita al petto e alla gola con l’ordigno tipico del suo mestiere, la frusta. Al fine; per celebrare l’insolito ed inequivocabile tributo alla giustizia, venne proclamata una grande festa in ricorrenza del trenta aprile d’ogni anno, nella quale si ripeteva simbolicamente quel processo e si concludeva con una bella scorpacciata di arrosto di maiale.
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Creativo, autore, regista cinematografico e teatrale. Libertario responsabile e attivista del pensiero critico. Ha all'attivo un lungometraggio, numerosi cortometraggi premiati in festival Internazionali, diversi documentari inerenti problematiche storiche, sociali e di promozione culturale. Da sempre appassionato di filosofia, cinema e letteratura. Attualmente impegnato come regista nella società cinematografica e teatrale INCAS produzioni di Campobasso.
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