«Madrebianca», la nuova raccolta poetica di Rosalba de Filippis
È uscito, per l’editore Passigli di Firenze, «Madrebianca» di Rosalba de Filippis, una raccolta poetica che, come scrive Sergio Girone nella prefazione, testimonia “di una presenza che dileguandosi resta scolpita nel cuore e di un’assenza che rimanda a quanto di sacro è in noi».
I due eventi, la presenza e l’assenza, sono simultanei, coincidenti e, nella loro epifania poetica, annullano ogni riferimento temporale “(…) ti saluto così / seduta in cucina / siamo entrambe lontane / come quando eravamo vicine”; oppure “Ho conservato i bicchieri / mi aggiusto il vestito / e intorno un presente / che dura decenni.”. Nella nuova dimensione che l’assenza ha delineato, chi manca si rivela attraverso atmosfere e oggetti, per mezzo di evocazioni e proiezioni di ricordi e desideri.
E non sono proprio loro, ricordi e desideri, nel loro rappresentare rispettivamente il passato e il futuro, a ostacolare il nostro essere nel presente, quella consapevolezza di sé che ci rende capaci di guidare noi stessi e di evitare ogni automatismo disumano? In «Madrebianca», invece, è come se Rosalba de Filippis avesse cercato e trovato una dimensione ulteriore in cui protendere ciò che di importante ha ritagliato dei suoi giorni. E, in questa nuova dimensione, passato e futuro, ricordi e desideri, si mescolano insieme per dare vita a una fenomenologia dell’esistere che trattiene senza costringere ciò che ontologicamente deve allontanarsi.
Uno dei compiti della poesia è quello di salvare dall’oblio momenti alti di sensazione e sentimento, di rivelazione improvvisa di ciò che in noi avviene inspiegabilmente e che diventa materia importantissima per testimoniare il nostro essere umani. Nella raccolta di versi di Rosalba de Filippis tali momenti vengono circoscritti con grazia, nella continuazione di un percorso, di madre in figlia, che ignora il tempo senza offenderlo, che accetta le leggi di natura senza rassegnarsi ad esse: “Ci siamo sovrapposte come foglie / nell’umido del bosco / quando è autunno”.
I versi che compongono “Madrebianca” sono versi distesi, che riversano nella forma l’equilibrio dei contenuti che esprimono, che iniettano lentamente nelle parole e nella sintassi il ritmo appena sollevato del battere e del levare di quanto riconosciuto nel cuore e nella mente, come in una musica di semibrevi che canta la divinità e che si discosta appena dal silenzio. La poesia di Rosalba de Filippis accenna appena ma definisce i contorti, sottolinea l’assenza senza urlare, ama ciò che è stato senza nostalgia del passato. È la definizione di una mancanza che non dispera perché vissuta e, dunque, piena.
Così, proprio in questo modo, ci si avvicina al sacro, a quella dimensione che non ha niente a che vedere con le religioni ma con l’essenza più densa e profonda dell’uomo nel suo desiderio di infinito. Tale peculiarità – non sarà proprio questa caratteristica a tramutare le parole in poesia? – fa di «Madrebianca» un libro necessario all’uomo del nuovo millennio per deviare in verticale, almeno un po’, il suo procedere orizzontale alla direzione della storia, il suo andare parallelo alla materialità più spicciola: “Eppure / uscendo / mi segno. / La casa è più sacra / lasciata in silenzio”.
Giovanni Petta76 Posts
È nato nel 1965 in Molise. Ha pubblicato le raccolte poetiche «Sguardi» (1987), «Millennio a venire» (1998) e «A» (2016); i romanzi «Acqua» (2017), «Cinque» (2017) e «Terra» (2021) ; il saggio giornalistico «L'Italia delle regioni, il Molise dei ricorsi» (2001) e, con lo pseudonimo di Rossano Turzo, «TurzoTen« (2011) e «TurzoTime» (2016). Allievo di Mogol, ha inciso «Non crescere mai» (1993), «Trema terra trema cuore» (single, 2003), «Il bivio di Sessano» (2012). Ha diretto le testate «Piazzaregione» e «L'interruttore». Ha coordinato l'inserto molisano de «Il Tempo».
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