Altilia, la forma urbis
di Francesco Manfredi-Selvaggi
Apparentemente è una città costruita sulla base di un modello astratto di piano e, invece, il suo disegno deriva da una cosa molto concreta. L’impianto cruciforme non è il frutto di un pensiero teorico bensì è dovuto all’incrocio all’altezza del foro del tratturo e del tratturello ai quali la viabilità cittadina si accavalla, è stata la realtà territoriale a dettare le linee dell’urbanistica cittadina (Ph. M. Martusciello-Mausoleo di Ennio Marso)
Tracciate quattro linee ed ecco, bella e pronta, è fatta una città. Questo accadde, passato remoto perché si tratta di un tempo assai remoto, con Altilia. Le quattro linee sono le strade più che sufficienti per organizzare lo spazio urbano, se fosse successo oggi sarebbe stato necessario predisporre un Piano Regolatore Generale o, tutt’al più, un Programma di Fabbricazione, vedi Campitello un altro insediamento ex-novo. Gli urbanisti romani erano chiamati a scegliere quali sarebbero dovute essere le direttrici da seguire su cui impostare la viabilità cittadina, una scelta aperta a moltissime opzioni in quanto si è in una superficie piana la quale non pone vincoli di sorta, dimostrandosi indifferente a qualsiasi ipotesi sia di localizzazione dell’aggregato edilizio sia di disposizione delle arterie viarie all’interno dell’appezzamento di terra che si intende urbanizzare.
Andiamo per ordine: per quanto riguarda l’ubicazione, ma c’entrano i percorsi, si ritiene di dover centrare l’abitato su quel particolare punto in cui si incrociano il tratturo il quale porta dall’Abruzzo alla Puglia e il tratturello il quale va dal Tammaro al Matese, punto che diventa il baricentro del nuovo agglomerato. Ne consegue, è scontato, che la viabilità interna ad Altilia si sovrapponga a tali percorrenze. Le vie urbane sono, dunque, segmenti di questi tracciati viari di portata superurbana. In definitiva, apparve opportuno approfittare dei sedimi di queste due piste per ragioni evidenti di economicità, il suolo era ben consolidato dal passaggio millenario delle pecore.
Va, poi, considerato che esse erano perpendicolari fra loro, una condizione, lo si ammette, fortunosa e casuale nel contempo, ritenuta ottimale perché l’ortogonalità è stata una autentica parola d’ordine nella progettazione urbanistica delle colonie dell’Urbe. C’è una ulteriore coincidenza ed è l’orientamento secondo i punti cardinali di tali due nastri erbosi il quale dà un tocco cosmologico alla forma della città che si adegua ad essi. La pregnanza semantica della forma urbis di Saepinum è sia nel suo asse cruciforme e sia nella particolare direzionalità delle aste della maglia stradale le quali sono allineate l’una all’arco eliografico che va da est ad ovest e l’altra alla linea congiungente i due poli della Terra, il nord e il sud.
È una visione ideale, se n’è consapevoli, perché nella realtà la viabilità non è stata assolutamente predisposta avendo la bussola in mano la quale, peraltro, all’epoca non esisteva. Per quanto riguarda l’andamento del cardo lo si può spiegare, oltre che per la faccenda della direzione da settentrione a meridione, con il fatto che si trova a seguire il declivio naturale del terreno il che favorisce l’allontanamento rapido delle acque dell’area urbana. Lasciando ora le implicazioni astronomiche, per quel che valgono, passiamo ad un diverso approccio alla lettura della viabilità interna dell’antica Sepino, mettendola in relazione a quella esterna.
Ciò che emerge è lo stretto legame che intercorre tra le due. Le strade che intersecano al di dentro dell’abitato sono, in fin dei conti, degli spezzoni delle direttrici viarie che si sviluppano al di fuori le quali non possono essere interrotte nel loro svolgimento per il ruolo primario che avevano nell’economia di un tempo, l’una era il canale della transumanza l’altra dell’alpeggio. Le vie urbane poiché porzioni di vettori di comunicazione a lungo raggio devono essere diritte, l’obiettivo è quello dell’attraversamento veloce dell’insediamento, se non delle pecore che già effettuano una sosta prolungata in occasione delle fiere di chi si sposta per commercio o dei militari.
La meta dei vari quattro, tratti viari non è tanto il foro, come pure potrebbe essere equivocato, quanto la porta opposta a quella da cui si è giunti in città. Le porte sono reciprocamente fronteggianti e collegate fra loro secondo la linea più diretta, appunto una retta. Neanche l’area forense può costituire un ostacolo, un fattore di rallentamento di persone e mezzi, il traffico lungo il decumano la penetra. Si sarà notato che ci si è riferiti al decumano il quale è il percorso urbano più importante, la più trafficata di Altilia, poiché coincide con il tratturo regio, come si dirà in seguito, mentre in quel periodo si sarebbe dovuto appellare imperiale, che è il percorso extraurbano più importante.
Per un attimo, visto che abbiano introdotto nella discussione il foro, torniamo alle combinazioni astrali: in questo caso è quella dell’innesto a squadro del tratturello nel tratturo, un angolo retto che in natura non è facile incontrarlo, un caso fortuito se non si crede all’influsso degli astri sulle cose terrene. Per fare una città anche smentendo quanto detto all’inizio, non bastano i punti, il foro, le linee, le strade, ma servono anche le aree, quindi l’intero repertorio degli elementi basilari della geometria.
L’area di Sepino è quadrata, quindi ha quattro lati e ciò, il quattro, rimanda al numero delle strade le quali sono, per l’appunto quattro; neanche questa corrispondenza, così come la congiunzione a 90 gradi di tratturo e tratturello, può essere intesa come un qual-cosa di casuale, ma non ci spingiamo oltre su tale cosa. L’impostazione della maglia stradale non è in correlazione con la cintura muraria, salvo che con le porte urbiche, ancora quattro, da cui i percorsi cittadini si dipartono. Infatti alla murazione non risulta affiancato un circuito viario a circoscrivere il quadrilatero, né all’estradosso né all’intradosso.
Parallela alla faccia esteriore delle mura, in verità, vi è un accenno di quello, quadrangolare di stradine di cui la più lunga è quella che va dalla Porta Terravecchia alla Porta Benevento, mentre nella faccia interiore cui era parallelo il pomerio, una striscia di terreno vuota che doveva essere lasciata libera per esigenze difensive, è sopravvissuto solo il camminamento alle spalle del teatro il quale doveva servire da ambulacro di accesso agli spalti tramite i vomitoria. La migliore figura geometrica, siamo giunti alle conclusioni, per un perimetro urbano è il cerchio e non il quadrato e se si è effettuata la scelta di tale disposizione è per ragioni espressive. Ha un valore simbolico che si ricollega al tema della pianificazione dell’agglomerato basata sul numero quattro e anche uno estetico perché l’ordine dell’insieme assicurato da un disegno regolare è il presupposto della bellezza classica tanto apprezzata nell’antichità.
Francesco Manfredi Selvaggi645 Posts
Nato a Boiano (CB) nel 1956. Ha conseguito la Maturità Classica a Campobasso e poi la laurea in Architettura a Napoli nel 1980. Presso la medesima Università ha conseguito il Diploma di Perfezionamento in Storia dell’Arte Medievale e Moderna e il Diploma di Perfezionamento in Restauro dei Monumenti. È abilitato all’esercizio della professione di Architetto e all’insegnamento di Storia dell’Arte nei licei e Educazione Tecnica nelle scuole medie. Dal 1997 è Dirigente, con l’attribuzione di responsabilità nei servizi Beni Ambientali (19 anni), Protezione Civile, Urbanistica, Sismica, Ambiente. Ha avuto un ruolo attivo in associazioni ambientaliste quali Legambiente Molise, Italia Nostra sezione di Campobasso e Club Alpino Italiano Delegazione del Molise. Ha insegnato all’Università della Terza Età del Molise ed è stato membro del Consiglio di Amministrazione della Fondazione dell’Ordine degli Architetti di Campobasso, occupandosi all’interno dello stesso del progetto di Archivio dell’Architettura Contemporanea. È Giornalista Pubblicista e autore di articoli, saggi e del volume La Formazione Urbanistica di Campobasso. Le ultime pubblicazioni sono: «Le Politiche Ambientali nel Molise» (2011) e «Problemi di tutela ambientale in Molise» del 2014.
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