La cittadella a Campobasso
di Francesco Manfredi-Selvaggi
Si tratta del borgo racchiuso dalle mura che un tempo costituiva l’anima della città e oggi è considerato un quartiere periferico nonostante sia geograficamente centrale. Una sorta di roccaforte in cui erano, per l’appunto, arroccati i campobassani e in cui per accedere dovevi passare sotto le 6 porte urbiche le quali erano controllate dai militari che presidiavano le torri ad esse affiancate. Che non sia stata costruita di colpo lo rivela la pluralità di tipologie urbanistiche che caratterizza il suo tessuto edilizio (ph.-Visione dell’atto di parte del centro storico degli anni ’80)
La tipologia urbanistica non è chiaro quale sia. Sono possibili più letture. Una è quella dello schema a raggiera con le strade che convergono verso il castello il quale è il vertice dei raggi; essa è valida per l’ambito urbanizzato posto sul pendio, non per la fascia pianeggiante. Un diverso modello a cui si può ricondurre la pianta è quello a ventaglio avendo un contorno triangolare con il lato più lungo semicircolare proprio come un ventaglio spiegato. Un ulteriore possibile modo di vedere l’impianto di Campobasso è quello che lo assimila al tipo definito ad avvolgimento sul quale ci soffermiamo un po’ di più.
Si tratta di una specie di spirale, cerchi che man mano che si sale vanno restringendosi, la quale si diparte da porta S. Antonio, il punto più basso, la sua coda. Seguendo una traiettoria leggermente incurvata, l’anello più grande della spirale, si raggiunge porta S. Paolo. Qui si svolta e si prosegue lungo salita S. Paolo. All’incrocio con salita S. Maria Maggiore occorre torcere nella direzione opposta intraprendendo questa via. Dopo poco ruotare nuovamente puntando sulla chiesa di S. Bartolomeo.
Appena superata piegarsi ancora mirando alla chiesa di S. Giorgio, l’altro capo della spirale il cui ultimo cerchio è diventato un cerchietto. Se queste sono le interpretazioni ricorrenti della forma urbis non sono, comunque, le uniche. Di seguito ne proponiamo altre due. La prima è il riconoscimento dell’esistenza di 2 assi viari di fondazione, 2 vettori di spostamento sui quali si è fondato l’insediamento. Un asse è formato dalla sequenza via S. Antonio Abate – via Ziccardi: esso si sviluppa in orizzontale e coincide con la sezione trasversale massima della città antica.
L’altro asse non è un’arteria a sé stante come il precedente, bensì è composto da una teoria di percorrenze comprendente, nell’ordine, via Cannavina, via Chiarizia e salita S. Bartolomeo; tale direttrice viaria avanza in verticale e corrisponde alla sezione longitudinale massima del borgo medioevale. Ambedue questi assi si interrompono, quasi fosse una pausa nell’incedere, in piazza S. Leonardo. Uno si distende da est a ovest e l’altro da nord a sud, grosso modo per cui i due nastri stradali sono praticamente ortogonali fra loro.
Pertanto quando essi si incontrano vengono a disegnare una croce. Invece di considerare la piazza S. Leonardo semplicemente il rendez-vous dei percorsi anzidetti, un mero intervallo tra le strade, poco più di un incidente di percorso o, meglio, di percorsi, quello che va da sopra a sotto e quello che va da un lato all’opposto, in definitiva una cosa generata, la si potrebbe ritenere, è la seconda chiave interpretativa, un elemento autonomo che non solo vive di vita propria, ma che è il polo cittadino che ha generato l’entità urbana, un ribaltamento dell’ipotesi interpretativa espressa in precedenza.
Secondo la visione ora proposta la vecchia Campobasso ha un impianto urbanistico cruciforme riconoscendo alla piazza un ruolo primario nella definizione della struttura urbana, le strade sono ad essa subordinate. È come, per intenderci, che le strade si irradiassero da questo luogo il quale doveva aver costituito il nucleo originario dell’abitato, magari perché in detto spazio si svolgeva da tempo immemore il mercato. Sia come non sia, qualunque sia la matrice dell’organismo urbano, non conta se la primazia vada attribuita ai percorsi oppure al momento d’intersezione, le componenti del sistema urbanistico si presentano assai ben definiti.
La piazza, per via del suo perimetro abbastanza regolare e della sua sufficiente ampiezza, è una vera e propria piazza, le strade, le quali sono della scala giusta in lunghezza e larghezza, sono strade al 100%. In entrambi i casi, strade e piazza, siamo di fronte a segni decisi e ben distinguibili nel panorama cittadino. Un avviso ai lettori: da adesso in poi ci si concentrerà sulle caratteristiche delle strade. Partiamo dall’asse via S. Antonio Abate – via Ziccardi: sebbene sia frutto dell’accostamento di due strade distinte esso non è una sommatoria di segmenti viari, bensì un insieme continuo con la mezzeria contraddistinta dal seguire un identico raggio di curvatura al di qua e al di la della piazza, piazza, la quale è a metà del suo svolgimento, che non interrompe il predetto asse perché ne viene inglobata.
A questo asse che segue, pressappoco, l’isoipsa si contrappone quello ad esso perpendicolare in cui si innesta, o viceversa, nella piazza S. Leonardo il quale unisce le curve di livello minima e massima, pressappoco. Mentre il camminamento che procede da oriente a occidente si conclude una volta raggiunta una, alternativamente, delle due porte urbiche, quello che muove da meridione verso settentrione, o al contrario, ha la peculiarità di proseguire nel sobborgo fuori le mura garantendo una certa fusione della viabilità della vecchia e della nuova città.
Questo asse tiene allacciati il su e il giù, il su è il castello che è, poi, il passato, mentre il giù è l’espansione oltre la murazione che è il futuro. Via Cannavina si chiamava via Borgo, via che conduce al borgo, per antonomasia la residenza della borghesia; essa, che è la strada principale dell’agglomerato storico si associa in maniera diretta, diritta, con la piazza principale, S. Leonardo per cui siamo nel cuore della Campobasso di un tempo la quale era separata dall’agglomerazione ultramuraria per mezzo della porta Maggiore che la sera veniva chiusa.
All’inizio questa chiusura era sentita come esclusione dalla vita cittadina da parte di chi abitava all’estradosso delle mura, in seguito come segregazione dei residenti nel borgo intramurario, all’intradosso delle mura, con un ribaltamento del significato. Il centro storico è ormai periferia, un concetto quello di periferia che nel tessuto urbanistico antico non aveva alcun senso, vivendo i ceti sociali spalla a spalla e che tante persone che qui risiedevano hanno imparato a conoscere allorché si sono trasferiti nei quartieri di edilizia economica e popolare per cui il CEP è la controfaccia del borgo medioevale.
Francesco Manfredi Selvaggi645 Posts
Nato a Boiano (CB) nel 1956. Ha conseguito la Maturità Classica a Campobasso e poi la laurea in Architettura a Napoli nel 1980. Presso la medesima Università ha conseguito il Diploma di Perfezionamento in Storia dell’Arte Medievale e Moderna e il Diploma di Perfezionamento in Restauro dei Monumenti. È abilitato all’esercizio della professione di Architetto e all’insegnamento di Storia dell’Arte nei licei e Educazione Tecnica nelle scuole medie. Dal 1997 è Dirigente, con l’attribuzione di responsabilità nei servizi Beni Ambientali (19 anni), Protezione Civile, Urbanistica, Sismica, Ambiente. Ha avuto un ruolo attivo in associazioni ambientaliste quali Legambiente Molise, Italia Nostra sezione di Campobasso e Club Alpino Italiano Delegazione del Molise. Ha insegnato all’Università della Terza Età del Molise ed è stato membro del Consiglio di Amministrazione della Fondazione dell’Ordine degli Architetti di Campobasso, occupandosi all’interno dello stesso del progetto di Archivio dell’Architettura Contemporanea. È Giornalista Pubblicista e autore di articoli, saggi e del volume La Formazione Urbanistica di Campobasso. Le ultime pubblicazioni sono: «Le Politiche Ambientali nel Molise» (2011) e «Problemi di tutela ambientale in Molise» del 2014.
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