Ammirare il panorama, ma senza distrarsi

di Francesco Manfredi-Selvaggi

Le strade, appunto, panoramiche sono in genere percorse in auto; per osservare i paesaggi le velocità devono essere contenute (Ph. M. Martusciello-Foto panoramica del Matese visto dalla strada che sale a Macchiagodena poco prima del bivio di Caporio)

Le «strade panoramiche», sono quei percorsi carrabili dai quali è possibile ammirare vedute speciali e perciò sono un particolarissimo tipo di attrezzature turistiche. Quella che prevale in genere è un po’ la logica antica del Touring Club che considera fondamentale l’accessibilità automobilistica: il turismo si associa, innanzitutto, alle strade e, in primo luogo, a quelle maggiori. Invece, sarebbe opportuno invertire i termini della questione mettendo in primo piano i panorami che si vuole vadano apprezzati e in relazione a questi progettare gli itinerari; quest’ultimo modo di concepire le strade panoramiche risponde meglio allo spirito della legge fondamentale sulla tutela del paesaggio, quella del 1939, nella quale si stabilisce che i panorami debbano essere protetti insieme con i relativi «punti di godimento» (che un tempo si chiamavano belvederi).

Percorrendo queste strade percorrendo le quali si osservano in sequenza, magari con discontinuità, case rurali tipiche, centri abitati medioevali, alberi secolari, cioè oggetti di rilevante interesse paesaggistico. In funzione della distanza dalla strada possiamo avere elementi dominanti, ma ciò dipende anche dalla profondità del campo visivo, da eventuali barriere fisiche che ostacolino la visibilità, ecc. La maniera di rappresentazione grafica più opportuna di un tale percorso sarebbe quella di riportarlo su foglio rettificandolo, eliminando quindi le sue tortuosità, e ponendoci accanto, secondo un qualche rapporto di scala, i «segni» che si incontrano seguendolo; ciò del resto è quanto veniva fatto nelle mappe delle Reintegre dei tratturi a cominciare da quella seicentesca del Capecelatro.

Finora abbiamo parlato di qualcosa che si definisce visibilità relativa, ma esiste pure il concetto di visibilità assoluta. Esso porta a preservare cime, rilievi rocciosi che sono fatti naturali e crinali, invece, lineari visibili da ogni parte del territorio; non basta che essi si “percepiscano”, ma occorre pure che si “notino” per una loro determinata valenza sia naturalistica sia storica, come nel caso di un castello (quello di Monteroduni, quello di Cerro al Volturno, quello di Pescolanciano e così via).

Per quanto riguarda quest’ultima considerazione, va sottolineato che la visibilità di un oggetto nel paesaggio è in dipendenza della sensibilità culturale dell’osservatore. Questa visibilità assoluta è, ovviamente, limitata ad un ambito territoriale, più o meno vasto, e per determinarne l’ampiezza occorre un elaborato grafico specifico basato sulla morfologia fisica dei luoghi da cui si ricavano i distretti visivi. La redazione di questo elaborato è meno complessa e, pertanto, meno costosa di una carta di intervisibilità redatta attraverso l’impiego di strumenti informatici.

Reciprocamente le emergenze visive, si precisa, sono anche i posti da cui è possibile abbracciare gli scorci panoramici più estesi. Strade o punti che siano, luoghi di visione va garantita l’integrità paesaggistica del territorio da essi visibile. I fenomeni che interessano lo spazio rurale variano a seconda dei comprensori: nelle “zone interne”, le più arretrate, c’è un ridotto dinamismo nella trasformazione della campagna che riflette il limitato sviluppo che hanno i centri abitati. Qui, però, in genere è concentrata la ricchezza di valori paesaggistici.

Passiamo adesso a descrivere le caratteristiche dei percorsi partendo dalle strade propriamente panoramiche. Normalmente le “strade panoramiche” sono quelle che corrono in altura, dalle quali è possibile ammirare panorami vasti, guardando verso il basso. Infatti l’interesse vedutistico maggiore è quello legato a visuali aperte, che abbracciano ambiti di territorio ampio, come sono appunto le aperture visive che si godono da punti di osservazione posti in alto. Sulla base di queste considerazioni è possibile comprendere che le strade panoramiche corrono preferibilmente sui rilievi, mentre sono rare nelle fasce pianeggianti.

Le “strade turistiche” sono le strade, invece, che conducono ad un santuario religioso o ad un particolare monumento o ad un sito turistico. Le strade di tipo turistico si differenziano da quelle ordinarie in quanto sono utilizzate nei periodi di vacanza e nei giorni festivi, mentre le seconde servono per gli spostamenti casa-lavoro, per il trasporto delle merci e per i collegamenti interurbani. Le strade turistiche si prestano bene ad essere luoghi di osservazione privilegiata del paesaggio in quanto lungo di esse si procede lentamente; da parte di colui che le percorre c’è una disposizione d’animo favorevole a gustare i quadri visivi che gli vengono incontro.

Le “strade verdi”, poi, sono quelle significative per l’ambiente che esse attraversano, il quale può essere un bosco, un caseggiato tradizionale, ecc.. Le strade verdi costituiscono l’opposto delle strade panoramiche perché esse si caratterizzano invece che per le vedute lontane che si aprono da esse per gli elementi di interesse ambientale e culturale che le circondano, addirittura a volte, come nel caso di una fitta foresta, ostruendone le vedute. Tutte le strade, a prescindere che siano di interesse panoramico, turistico, ecc., devono vedere tutelato il proprio intorno visivo perché costituiscono luoghi di frequentazione della collettività.

Occorre salvaguardare gli elementi significativi del paesaggio che si scorgono dalle strade; essi assolvono alla funzione di punti di riferimento, secondo la lettura lynchana, e quindi sono in grado di conferire identità al territorio. È importante per ogni strada panoramica stabilire qual è il tratto significativo, fissando una lunghezza di percorso adeguata per ottenere una certa cadenza, un particolare ritmo dell’alternarsi delle vedute. Infatti il connotato peculiare delle strade panoramiche è di essere caratterizzate da una successione di eventi che rendono stimolante la sua percorrenza.

Un altro aspetto fondamentale in una strada di interesse paesaggistico, oltre alla lunghezza, è il suo inizio e la sua meta finale all’approssimarsi della quale si determina una tensione nel percorso. Ciò che precede la meta viene sentito quale introduzione ad essa e ciò può comportare il suo mascheramento dal percorso quasi fino all’arrivo. La sequenza delle visuali lungo una strada panoramica è casuale poiché dipende dalla natura dei luoghi, invece che da una programmazione di questi effetti.

Pertanto, nello studio del percorso occorre tener conto della morfologia del percorso ed in relazione a questa introdurre eventuali schermi alle visuali, anche con barriere vegetali, o elementi utili ad inquadrare particolari vedute. La definizione della modalità di trasporto è essenziale per comprendere che la strada panoramica può essere considerata un avvicendarsi di quadri percettivi oppure se essa è una semplice sommatoria di punti di visione. Ciò dipende dal mezzo usato per gli spostamenti: nel caso dell’automobile la visione lungo la strada è necessariamente di tipo «dinamico» in quanto il paesaggio lo si coglie in movimento, mentre nel caso della mobilità pedonale si parla di vedute di tipo «statico».

In ambedue i casi le proprietà visive possono essere trasferite ad una serie di «belvedere», appositamente attrezzati (ad es. anche con il parcheggio delle auto), al suo contorno. Un particolare punto di visione è costituito dai ponti dai quali la vista intercetta il paesaggio della valle fluviale. È da dire che le strade panoramiche vanno percorse con velocità moderata al fine di poter godere delle vedute e ciò è favorito dal fatto che in genere si tratta di arterie secondarie poiché sono queste ultime a svilupparsi nelle zone collinari e montuose, prediligendo i grandi assi di comunicazione i fondovalle.

È da questa viabilità minore che si percepiscono, proprio per l’altitudine, orizzonti tanto più vasti quanto più si raggiungono quote elevate riducendosi, progressivamente, le barriere visive. Più si va in alto più si hanno panorami profondi poiché lo sguardo va da sopra a sotto. Le aperture visuali aumentano con l’ascesa specie quando si supera l’isoipsa terminale del bosco cominciando da lì i pascoli che con il loro manto erboso non costituiscono ostruzioni alla vista. Questi percorsi viari sono interessanti anche in quanto corrono all’interno delle aree meno coinvolte nei processi di sviluppo e dunque meno soggetti a trasformazioni e perciò più attraenti, salvo il degrado dovuto all’abbandono.

Qui si trovano i borghi tradizionali che costituiscono delle emergenze paesaggistiche di notevole interesse. Per quanto riguarda tali paesi essi si conservano immutati anche perché l’espansione edilizia è limitata a causa del loro decremento demografico dovuto pure all’isolamento geografico di cui soffrono: quelle stesse strade appetibili turisticamente svolgendosi sui terreni accidentati sono tortuose e ciò aumenta i tempi di percorrenza. Le vie negli ambiti montani sono, peraltro, soggette a rischio idrogeologico con frane che possono rallentare la circolazione.

Un particolare momento di tali percorrenze sono i tratti sulle dorsali dai quali la vista una volta si indirizza verso una vallata, un’altra volta sull’altra (tra Castropignano e Torella, tra Pietracupa e Monte Lungo di Trivento, tra il bivio di Matrice e quello di Ripabottoni e così via). I giri apparentemente viziosi e irrazionali che le strade compiono rendono le vedute imprevedibili. Finora si è parlato di tracciato viario come se fosse una cosa unitaria quando, invece, più spesso non è un unico percorso, bensì una sommatoria di tratti; le strade statali, anche qualora declassate a provinciali, ad esempio l’Istonia, sono delle vie omogenee, magari con le stesse opere d’arte e le medesime tipologie di ponti.

Più di frequente, nonostante si abbia la percezione di continuità di un’arteria ci troviamo di fronte alla congiunzione di pezzi aventi caratteristiche differenti e tale segmentazione si spiega con il fatto che il periodo di formazione del sistema viario coincide con quello della nascita dei nostri comuni quando la divisione in feudi determinò una frammentazione territoriale. In simili casi è opportuno usare al posto di strada panoramica la definizione di itinerario panoramico quando unisce un insieme di tronconi viari, come, mettiamo la pedemontana matesina che parte da S. Massimo, tocca Roccamadolfi e si conclude a Longano.

L’itinerario si progetta, non è, per intenderci, un dato di fatto e il criterio da seguire è analogo a quello del racconto nel senso che lungo di esso avviene una narrazione in cui, è un esempio, ai momenti di stasi emotiva segue il pathos (all’uscita da un bosco esplode una visione forte). Alla stessa maniera degli itinerari si potrebbe tener conto di identici criteri nel disegno delle nuove arterie. Elementi particolari delle strade sono i belvedere, al limite si potrebbero attrezzare a questo scopo le piazzole di sosta ai loro lati.

Per rendere, poi, interessante in riguardo agli scorci si potrebbero al margine della carreggiata prevedere delle barriere vegetali che antecedono la vista del paesaggio o delle piantumazioni che incorniciano dei “quadri” paesaggistici di valore. Oppure tagliando la vegetazione che costeggia la sede viaria qualora necessiti consentire l’osservazione di un momento significativo dell’intorno, sempre che non si danneggi l’aspetto tradizionale dei luoghi e non si abbia perdita di biodiversità.

Le strade panoramiche, in effetti, in una regione ricca di rilievi qual è il Molise rischiano di essere ripetitive nel senso che i caratteri paesaggistici, dall’ondulazione collinare alla posizione dei centri abitati su rupi, all’organizzazione agricola sono abbastanza comuni per cui si avrebbe monotonia; allora si impone una precisa selezione per valorizzare i tracciati che offrono le vedute più appariscenti o, perlomeno, essi vanno selezionati per zone con connotati geografici differenti in modo da restituire a chi percorra in auto il territorio regionale la conoscenza dei suoi vari comprensori, della sua complessità.

Francesco Manfredi Selvaggi645 Posts

Nato a Boiano (CB) nel 1956. Ha conseguito la Maturità Classica a Campobasso e poi la laurea in Architettura a Napoli nel 1980. Presso la medesima Università ha conseguito il Diploma di Perfezionamento in Storia dell’Arte Medievale e Moderna e il Diploma di Perfezionamento in Restauro dei Monumenti. È abilitato all’esercizio della professione di Architetto e all’insegnamento di Storia dell’Arte nei licei e Educazione Tecnica nelle scuole medie. Dal 1997 è Dirigente, con l’attribuzione di responsabilità nei servizi Beni Ambientali (19 anni), Protezione Civile, Urbanistica, Sismica, Ambiente. Ha avuto un ruolo attivo in associazioni ambientaliste quali Legambiente Molise, Italia Nostra sezione di Campobasso e Club Alpino Italiano Delegazione del Molise. Ha insegnato all’Università della Terza Età del Molise ed è stato membro del Consiglio di Amministrazione della Fondazione dell’Ordine degli Architetti di Campobasso, occupandosi all’interno dello stesso del progetto di Archivio dell’Architettura Contemporanea. È Giornalista Pubblicista e autore di articoli, saggi e del volume La Formazione Urbanistica di Campobasso. Le ultime pubblicazioni sono: «Le Politiche Ambientali nel Molise» (2011) e «Problemi di tutela ambientale in Molise» del 2014.

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