E il fienile dove lo metto, non si sa
di Francesco Manfredi-Selvaggi
Gli annessi agricoli sono esterni agli edifici rurali, venendo così a «contaminare» il supposto “tipo edilizio”. Essi, invece, appartengono proprio al modo di costruire tradizionale, il quale prevede continui adeguamenti delle strutture architettoniche, in dipendenza delle esigenze aziendali (Ph. M. Martusciello-Fienile a S. Massimo)
È stato definito il tipo edilizio «italico» la costruzione di forma rettangolare, con l’abitazione al primo piano, la stalla o il deposito a quello inferiore, livelli collegati mediante una scala esterna. Il concetto di tipologia è una pura astrazione non riuscendo a ricomprendere in uno schema definito la multiforme casistica della casa contadina; essa deriva dagli studi principalmente dei geografi i quali hanno bisogno nel descrivere la complessità del reale di utilizzare «categorie» sintetiche.
Bisogna sgombrare il campo fin da subito, sempre a proposito della tipologia dall’equivoco cui induce una certa interpretazione cara agli antropologi che il tipo architettonico sia l’espressione culturale, così come la lingua, il folclore, ecc. di un certo popolo; in altri termini che la tipologia edilizia sia senza tempo perché frutto del modo di sentire di una determinata popolazione. Invece non è così perché anche il campo delle costruzioni ha subito durante le varie epoche storiche modificazioni profonde.
L’Inchiesta Murattiana del 1812 che ha riguardato tutti i comuni della regione ci mostra un’edilizia molto modesta la quale dal punto di vista estetico doveva essere poco attraente, ben diversa dallo stereotipo che ci portiamo dentro della dimora rurale quale fatto architettonico di pregio o almeno pittoresco, raffigurata nelle opere dei pittori paesaggisti successivi o celebrata nelle foto dei panorami molisani. È evidente che non può proprio esistere un modello costruttivo unico ripetibile in ogni contesto regionale, rispondente a qualunque esigenza abitativa, dovendo esso rispondere alle esigenze di quella precisa azienda agricola e conformarsi all’ambiente in cui si colloca, per esempio sfruttando nell’edificazione i materiali presenti sul posto e adattandosi alla morfologia del luogo, di rado pianeggiante.
Con il concetto di tipologia non si riesce a riconoscere quel percorso di crescita che caratterizza gran parte dei fabbricati rurali: quello che riteniamo essere un edificio nato di sana pianta è, invece, frequentemente frutto di un processo di aggregazione di parti non contemporanee fra loro. È stato teorizzato un cammino fatto di successivi raddoppi partendo dallo sviluppo di un nucleo originario costituito da un solo vano. La formazione della struttura edilizia segue, in quasi tutti i casi, uno schema aperto non essendo scontata la direzione che seguirà l’accrescimento; è difficile avere un volume definitivo, cioè una configurazione stabile almeno fino a quando la situazione produttiva agricola alla quale la casa è legata in maniera stretta non si assesta.
Fatti minori, ma sempre indicativi, della tendenza alla mutevolezza delle costruzioni rurali, sono gli annessi esterni al manufatto principale. Per gran parte delle funzioni accessorie viene trovata la collocazione all’interno, ma ciò risulta difficile specie per il fienile e la legnaia forse perché necessitano di ricoveri areati e non di ambienti chiusi come sono i locali dentro un edificio. Sia la legnaia che il fienile sono di norma manufatti precari e anche per questo aspetto essi confermano la non compiutezza dell’assetto distributivo di una struttura agricola.
Gli annessi che abbiamo chiamato esterni sono le componenti più modificabili poiché sono elementi strutturali semplici, realizzati direttamente dal proprietario a differenza delle scale esterne, anch’esse appunto esterne, le quali con le logge che di frequente coprono il ballatoio di smonto sono frutto di una manodopera specializzata (la stessa delle volte e dei portici a pianterreno). Con la componente scala-loggia la quale, lo si ripete, forma un corpo a sé, esterno all’edificio entriamo in un altro campo di osservazioni; esso può intendersi quale imitazione vernacolare di elementi colti e questo dell’introduzione di fatti costruttivi che richiamano la tradizione architettonica elevata nelle campagne è un altro connotato del paesaggio rurale molisano.
A cominciare dalle torri colombaie che raramente hanno origine da torrette con scopi difensivi, decaduti i quali sono diventate corpi di fabbrica per l’allevamento dei piccioni. Il tetto a padiglione è sempre frutto dell’imitazione di modelli «alti»; esso distingue l’edificio cui è applicato non solo per la tecnica più complessa che è richiesta per il suo approntamento, ma anche poiché denuncia l’intenzione di chiudere in un certo senso la costruzione non permettendo organiche espansioni ai lati congiunte ad essa, più spesso aggregandosi alle quinte.
Questa della definizione di un volume compiuto è ciò che maggiormente differenzia le usuali case contadine da quelle con pretese signorili, comprensive o meno di locali agricoli. Una testimonianza chiara di siffatta intenzionalità sono i casolari a corte nei quali gli annessi non sono particolari giustapposti al corpo principale, come succede in un sistema costruttivo “aperto”, bensì integrati fin dal momento iniziale nel complesso edilizio che, quindi, si presenta “chiuso”.
Se tale fatto può essere molto interessante dal punto di vista formale, si è rivelato nel tempo un handicap a causa della sua rigidezza che non permette l’adattamento alle dinamiche dell’economia agricola; questi grandi impianti rispondono alle esigenze della conduzione mezzadrile dei poderi, venuta meno la quale nell’ultimo secolo li ha resi obsoleti non potendo accettare trasformazioni, per cui oggi sono in larga parte abbandonati se non convertiti in agriturismo (a Staffoli, alla Taverna di Sepino, alla Piana dei Mulini e così via).
La perdita è consistente in quanto segni che condizionano interi quadri visivi per l’imponenza, l’isolamento nel territorio e per l’organizzazione colturale dei terreni al loro intorno di tipo mezzadrile. Bisogna, pure, sottolineare che i fabbricati maggiormente rilevanti sono di proprietà di possidenti agricoli e non di semplici contadini ed essi tendono a seguire esempi architettonici urbani, non accettando il concetto di «casa-utensile», tutta mirata a rispondere alle esigenze della produzione agricola.
Vediamo così, con una certa frequenza, fabbricati in stile per così dire cittadino trapiantati nella campagna ed un valido indicatore di ciò è il numero di piani che aumenta in un perimetro urbano per la scarsità di suolo che caratterizza specialmente gli insediamenti murati. Gli annessi esterni nei centri abitati trovano spazio solo nell’orto, quando c’è, retrostante all’abitazione, mentre nel territorio rurale c’è una maggiore libertà distributiva: quest’ultima però si scontra con la rigidità di queste dimore padronali e quando, comunque, gli annessi vengono aggiunti essi appaiono come elementi spuri, incapaci di colloquiare con l’organismo principale.
Francesco Manfredi Selvaggi645 Posts
Nato a Boiano (CB) nel 1956. Ha conseguito la Maturità Classica a Campobasso e poi la laurea in Architettura a Napoli nel 1980. Presso la medesima Università ha conseguito il Diploma di Perfezionamento in Storia dell’Arte Medievale e Moderna e il Diploma di Perfezionamento in Restauro dei Monumenti. È abilitato all’esercizio della professione di Architetto e all’insegnamento di Storia dell’Arte nei licei e Educazione Tecnica nelle scuole medie. Dal 1997 è Dirigente, con l’attribuzione di responsabilità nei servizi Beni Ambientali (19 anni), Protezione Civile, Urbanistica, Sismica, Ambiente. Ha avuto un ruolo attivo in associazioni ambientaliste quali Legambiente Molise, Italia Nostra sezione di Campobasso e Club Alpino Italiano Delegazione del Molise. Ha insegnato all’Università della Terza Età del Molise ed è stato membro del Consiglio di Amministrazione della Fondazione dell’Ordine degli Architetti di Campobasso, occupandosi all’interno dello stesso del progetto di Archivio dell’Architettura Contemporanea. È Giornalista Pubblicista e autore di articoli, saggi e del volume La Formazione Urbanistica di Campobasso. Le ultime pubblicazioni sono: «Le Politiche Ambientali nel Molise» (2011) e «Problemi di tutela ambientale in Molise» del 2014.
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