Caccavone, Vinoli, Poggio Sannita: è la stessa cosa
di Francesco Manfredi-Selvaggi
Il cambiamento della denominazione del paese non ha, di certo, mutato le caratteristiche di questo centro urbano, il quale è collocato in un paesaggio rurale e agrario davvero particolare come rivela il secondo dei nomi attribuiti al Comune (ph. Poggio Sannita vista da Pietrabbondante)
Se si prende in considerazione esclusivamente il territorio comunale il centro abitato è ubicato su uno dei colli più alti. L’unico rilievo che raggiunge una altitudine maggiore è quello dove sta il cimitero e questa è una collocazione appropriata perché così i miasmi che le sepolture emanano si disperdono facilmente. Non è, di certo, una specificità di Poggio Sannita il trovarsi in un punto alto essendo frequente per la gran parte degli agglomerati urbani, con l’unica eccezione di alcune città di origine romana, cioè Venafro e Boiano, e di Termoli; ciò che colpisce qui è che il nostro borgo è situato nella fascia altimetrica più elevata del perimetro amministrativo del comune, non dell’intero ambito territoriale in cui esso ricade che ricomprende, senza soluzioni di continuità, il monte di Rocca L’Abate di cui il «poggio» di Poggio può essere considerata una propaggine.
È davvero strana la configurazione della superficie del comune che non include una parte montuosa, come di norma accade, ma che si estende tutta verso il basso a partire dal nucleo abitativo che, come si è detto, è posto nel vertice orografico. Non vi è quella complementarietà molto ricorrente, che si coglie ad esempio nei paesi del Matese e delle Mainarde, tra zone di montagna, di colline e di pianura la quale la si trova in una sfera più ampia comprendente parte dell’Alto Molise come dimostra la «via Ogliaria» per il trasporto dell’olio, congiungente Poggio a Capracotta, priva di ulivi, tramite Agnone.
Un’altra singolarità di Poggio Sannita è che i suoi confini, sempre escludendo il lato superiore, sono segnati da corsi d’acqua: il Verrino e il Sente delimitano in senso longitudinale il territorio comunale, l’ultimo coincide anche con quello regionale, mentre il Trigno cui i primi due sono affluenti, in effetti, non tocca, anche se per poco, questo comune. È interessante notare che il fiume Trigno in corrispondenza del comune di Poggio, quindi della contrada Scalzavacca, su ambedue le sponde veda una configurazione del suolo connotata dalle Argille Varicolori e questo è l’unico tratto, peraltro molto corto, in cui tale corso d’acqua ripartisce tale formazione geologica.
I confini di Poggio Sannita sono pressoché coincidenti con quelli delle Argille Varicolori o Scagliose e ciò può spiegarsi con l’osservazione che il terreno argilloso è molto instabile per cui l’insediamento è sconsigliato; pertanto, non è solo la fascia fluviale con le sue pertinenze a segnare il limite dell’ambiente di vita della comunità, dovendosi includere pure le zone in dissesto, almeno potenziale. Un’ulteriore annotazione di tipo geografico è quella che il nucleo urbano non è baricentrico rispetto alla superficie del comune, bensì, lo si è sottolineato prima, è periferico; l’unica spiegazione plausibile è che questa ubicazione è intermedia fra l’ambito collinare e quello montano, nonostante che quest’ultimo appartenga ad altre entità amministrative, con precisione Agnone e Belmonte.
Il comprensorio altomolisano doveva essere caratterizzato da un sistema economico unitario dove le attività agricole si integrano fra loro con lo scambio dei prodotti della valle con quelli dei territori in altura, ad esempio la legna per il riscaldamento. Poggio era specializzato nella produzione di vino e olio tanto che nel 1921 il nome antico del paese di Caccavone, un recipiente per il latte, considerato sgradevole, viene mutato, con delibera del Consiglio municipale, in Vinoli per recedere pochi mesi dopo dalla scelta e fissare il nome definitivamente in Poggio Sannita.
Il punto rialzato su cui sorge Poggio Sannita non è l’unico colle presente nel circondario in quanto ve ne sono pure diversi altri, da quello denominato S. Elia a quello chiamato S. Pietro, tutte cime dalla morfologia molto morbida. Siamo di fronte ad un avvicendarsi di vallette e di dorsali, sempre dall’andamento dolce. Tra queste ultime c’è il Colle di S. Cataldo, proprietà fondiaria del Municipio la quale nel 1885 venne suddivisa in lotti assegnati ai cittadini bisognosi. I rilievi collinari sono luoghi privilegiati per l’installazione di aggregati abitativi; Filippo Moauro nel suo volume sulla storia di Caccavone, edito agli inizi del XX secolo, riporta l’ipotesi che Colle Friscelletto fosse il primo insediamento della popolazione locale mentre Castel di Croce rivela nel nome l’esistenza di un antico impianto urbano.
Se il requisito per lo sviluppo di una entità insediativa è quello della sua accessibilità, oltre che le potenzialità difensive, neanche la posizione prescelta per l’abitato un tempo Caccavone è da ritenersi ideale. Il paese è stato raggiungibile in passato mediante una traversa viaria che congiunge con Agnone e, dunque, con la statale Aquilonia la quale collega con Isernia; invece mancava una arteria stradale in direzione di Campobasso la quale è stata completata nel secondo dopoguerra e che sfrutta per l’attraversamento del Trigno lo storico ponte di Sprondasino.
Oggi, di certo, il quadro è mutato per via della comparsa delle due fondovalli, la Trignina e quella del Verrino. In definitiva, il colle dove sorge Poggio è una collina come le altre e a distinguerla rimane l’aggregato edilizio. È esso che mette in risalto la sommità del rilievo altrimenti assai simile al resto dei luoghi elevati che punteggiano l’area. Il grumo costruito che si addensa su questo elemento morfologico, sul quale svettano il campanile e la torre cosiddetta di Don Carlo, colui che la innalzò, sottolineano tale sommità.
Per questa ragione il borgo assume la valenza di momento sostanziale del contesto paesaggistico, È un episodio caratteristico del panorama pure dopo il progressivo allungamento dell’edificato che segue la strada di accesso e, poi, con lo scivolamento verso valle; è un processo di crescita che avviene con l’edificazione a margine di percorsi disposti lungo isoipse successive. È questo il modo utilizzato per risolvere il problema del dislivello. Siamo di fronte, in definitiva, a schemi urbanistici misti, da un lato il nucleo medioevale connotato dalla classica accoppiata chiesa-palazzo baronale, sedi dei due poteri, rispettivamente religioso e civile e, dall’altro lato dello sviluppo lineare che si svolge verso il basso ma anche verso l’alto lungo la via Calvario, appunto un monte. C’è, poi, l’ex calzaturificio, la cui installazione segue, però, una diversa logica, alla stregua di un intruso.
Francesco Manfredi Selvaggi637 Posts
Nato a Boiano (CB) nel 1956. Ha conseguito la Maturità Classica a Campobasso e poi la laurea in Architettura a Napoli nel 1980. Presso la medesima Università ha conseguito il Diploma di Perfezionamento in Storia dell’Arte Medievale e Moderna e il Diploma di Perfezionamento in Restauro dei Monumenti. È abilitato all’esercizio della professione di Architetto e all’insegnamento di Storia dell’Arte nei licei e Educazione Tecnica nelle scuole medie. Dal 1997 è Dirigente, con l’attribuzione di responsabilità nei servizi Beni Ambientali (19 anni), Protezione Civile, Urbanistica, Sismica, Ambiente. Ha avuto un ruolo attivo in associazioni ambientaliste quali Legambiente Molise, Italia Nostra sezione di Campobasso e Club Alpino Italiano Delegazione del Molise. Ha insegnato all’Università della Terza Età del Molise ed è stato membro del Consiglio di Amministrazione della Fondazione dell’Ordine degli Architetti di Campobasso, occupandosi all’interno dello stesso del progetto di Archivio dell’Architettura Contemporanea. È Giornalista Pubblicista e autore di articoli, saggi e del volume La Formazione Urbanistica di Campobasso. Le ultime pubblicazioni sono: «Le Politiche Ambientali nel Molise» (2011) e «Problemi di tutela ambientale in Molise» del 2014.
0 Comments