Il Trigno: divide et impera
di Francesco Manfredi-Selvaggi
È quanto fa questo fiume che si impone quale elemento centrale del paesaggio, unificando l’immagine della intera vallata. Nello stesso tempo esso costituisce il confine tra Abruzzo e Molise. Ci stiamo riferendo al suo tratto mediano (ph.-Cartolina d’epoca, veduta della parte mediana del Trigno da Trivento)
Il Trigno, stiamo parlando del suo tratto mediano e non solo, escludendo quello che precede la confluenza con il Verrino e un piccolo pezzo finale, dunque per una lunga parte del suo corso, costituisce il confine regionale. Un confine, in verità, incerto perché il fiume è portato a spostarsi nel suo largo letto dall’asse centrale ora verso una sponda ora verso l’altra. Non è una osservazione da poco quella che il Trigno stabilisce il limite di separazione tra regioni contigue perché nel Molise non vi sono situazioni simili in quanto il Fortore solo per un breve segmento separa il Molise dalla Puglia, nonostante sia definito interregionale al pari del Trigno nella ripartizione ufficiale dei bacini idrografici.
C’è un’ulteriore anomalia a proposito della divisione tra il territorio molisano e quello abruzzese ed è che, invece, il nostro corso d’acqua non rappresenta una barriera nell’organizzazione diocesana; infatti la diocesi di Trivento scavalca il fiume estendendosi nelle province de L’Aquila (Castel di Sangro e altri) e di Chieti (come S. Giovanni Lipioni fronteggiante Roccavivara). Non è l’unico caso qui da noi di ambiti diocesani infraregionali in quanto c’è stata fino a pochi decenni fa anche quella di Benevento che comprendeva pure Cercemaggiore; le differenze con Trivento sono che, la prima, la meno significativa, la sede vescovile è nella nostra regione, la seconda, non vi sono ostacoli orografici, quali potrebbero essere un monte oppure, appunto, un’asta fluviale, a rendere difficili le comunicazioni tra la sede arcivescovile di Benevento e le aree molisane ad essa appartenenti.
Rimanendo sempre nel tema delle linee di distinzione fra diocesi rileviamo che tra quella di Trivento e quella di Campobasso c’è in mezzo un grande bosco, denominato Pietravalle, invece il Trigno non rappresenta un elemento di divisione, a differenza di quanto sarebbe da aspettarsi perché una distesa boschiva sembra meno difficile da attraversare di un corso d’acqua. Non è una questione unicamente di diocesi in quanto essa ricalca il perimetro del municipio romano di Terventum; è una faccenda, quindi, lunga oltre 2.000 anni e a questo proposito ciò che è più sorprendente è che questo piccolo centro ha avuto una forza di aggregazione capace di far convergere su di sé territori posti oltre il Trigno che, in passato prima della captazione delle sorgenti, aveva una notevole portata.
Finora abbiamo parlato genericamente dell’Abruzzo, ma per spiegare questo legame storico dobbiamo evidenziare che il versante abruzzese che costeggia il Trigno ha caratteristiche del tutto diverse dal resto di quella regione. Il Sangro segna il passaggio tra due aree, l’una a sud l’altra a nord dello stesso, l’una di tipo collinare e medio montuosa, l’altra che alle pianure costiere vede succedersi in modo quasi repentino importanti massicci montani (la Maiella, il Gran Sasso e i Monti della Laga); l’area più meridionale è simile per caratteri fisici e per orientamento economico con la porzione di Molise che affaccia sul Trigno.
C’è, inoltre, una omogeneità storica, specie se ci riferiamo all’età antica, perché si trattava sempre di popolazioni sannite (caraceni o frentani che siano) su ambo i lati del nostro fiume. Una vallata vera e propria quella del Trigno con connotati geografici, naturalistici e insediativi comuni, delimitata dalla parte della riva molisana da una serie di montagne che comprende monte Lungo, monte Rosso e monte Mauro, mentre da quella abruzzese la quinta montuosa posta fra il Campo e Castel Fraiano (m. 1412) è a cavallo tra la valle del Sangro e quella del Trigno.
Quest’ultimo seppure non fattore di separazione non è stato, comunque, una componente ambientale attrattiva; al contrario esso è stato un elemento repulsivo per la presenza antropica. È stata la costruzione della superstrada di fondovalle, la Trignina, l’innesco del processo di creazione nella piana fluviale di attività produttive e di servizi per la ristorazione. Nella porzione centrale dell’asta del Trigno le pianure sono sostanzialmente collocate sulla sponda molisana dove sono stati realizzati i piani per insediamenti produttivi di Trivento, Montefalcone e Mafalda, il fiume essendosi addossato alla riva opposta.
Tali zone industriali sono legate, va evidenziato, tanto all’esistenza di aree pianeggianti quanto al passaggio dell’arteria di grande comunicazione di cui si è detto. Lungo il Trigno c’era, in effetti, già un avamposto umano che anch’esso sfruttava un pianoro ed è il santuario di Canneto, importante dal punto di vista strategico poiché qui si svolgevano accorsate fiere. Il Trigno ha risentito della modernità prima ancora dell’apparizione della fondovalle essendovi sorta, in agro di Trivento, una centrale idroelettrica; essa forniva elettricità per l’illuminazione pubblica e pure per l’azionamento dell’antico pastificio Scarano il quale trova posto nell’abitato di Trivento e non, come succedeva altrove, vicino alla fonte energetica.
Il letto del fiume, in specifico in prossimità dello sbocco dei torrenti che vi affluiscono, è da sempre sfruttato per la produzione di sabbia e ghiaia per le costruzioni. Diversi frantoi, dei quali alcuni in disuso (quello della ditta Antenucci) e altri in funzione (quello dei Fratelli Ferrara e dell’azienda Marmi Rossi) costellano il percorso di questo corpo idrico. Siamo di fronte ad un alveo sovralluvionato per la quantità di inerti che vi si depositano, aggiungendosi a quelli trascinati dalle acque in qualche modo impetuose dell’alto corso i materiali che esso erode dai fianchi delle gole in cui si infila (presso Trivento e presso Roccavivara).
Il Trigno, infatti, ha un caratteristico andamento che lo distingue dagli altri principali corsi d’acqua molisani in quanto vi è un’alternanza di pezzi incassati e zone dove vi è un allargamento dell’alveo e non la classica sequenza che porta dal tratto montano con sezione ristretta, man mano verso l’ambito collinare e, poi, pianeggiante per cui progressivamente il letto si amplia. Il fiume ha perso nel tempo la sua capacità di scavare i versanti a causa della riduzione delle sue portate per via della captazione delle sorgenti, della Diga di Chiauci e della Traversa di San Giovanni Lipioni e, così, il maggiore consistente apporto solido è rappresentato dal reticolo idrografico minore che forma alla confluenza con il Trigno quasi dei corridoi di deiezione.
Francesco Manfredi Selvaggi645 Posts
Nato a Boiano (CB) nel 1956. Ha conseguito la Maturità Classica a Campobasso e poi la laurea in Architettura a Napoli nel 1980. Presso la medesima Università ha conseguito il Diploma di Perfezionamento in Storia dell’Arte Medievale e Moderna e il Diploma di Perfezionamento in Restauro dei Monumenti. È abilitato all’esercizio della professione di Architetto e all’insegnamento di Storia dell’Arte nei licei e Educazione Tecnica nelle scuole medie. Dal 1997 è Dirigente, con l’attribuzione di responsabilità nei servizi Beni Ambientali (19 anni), Protezione Civile, Urbanistica, Sismica, Ambiente. Ha avuto un ruolo attivo in associazioni ambientaliste quali Legambiente Molise, Italia Nostra sezione di Campobasso e Club Alpino Italiano Delegazione del Molise. Ha insegnato all’Università della Terza Età del Molise ed è stato membro del Consiglio di Amministrazione della Fondazione dell’Ordine degli Architetti di Campobasso, occupandosi all’interno dello stesso del progetto di Archivio dell’Architettura Contemporanea. È Giornalista Pubblicista e autore di articoli, saggi e del volume La Formazione Urbanistica di Campobasso. Le ultime pubblicazioni sono: «Le Politiche Ambientali nel Molise» (2011) e «Problemi di tutela ambientale in Molise» del 2014.
0 Comments