Su per la torre antica
di Francesco Manfredi-Selvaggi
È la torretta di Campochiaro che oggi risulta estraneata dal suo contesto originario, cioè dal sistema difensivo del borgo cui apparteneva. È necessario attraverso un percorso poter ripercorrere le tracce di tale sistema (Ph. M. Martusciello-Veduta di Campochiaro con, in fondo a sinistra, la torre)
Il caso della scala che raggiunge la torre di Campochiaro in sostituzione di un percorso per così dire labile, non un manufatto viario vero e proprio bensì un tracciato appena sbozzato, pone un problema più generale che è quello del collegamento tra l’abitato e il ricetto difensivo. La scala realizzata in questo centro matesino per il rapporto fra alzata e pedata dei gradini assomiglia alle scale che servono a raggiungere i livelli superiori di un’abitazione piuttosto che una scalinata urbana la quale è caratterizzata da pedate più ampie oltre che da curvature del suo asse, fatto che le permette di seguire l’andamento del pendio sul quale solitamente si dispongono i nostri paesi; le scalinate, inoltre, sono larghe, magari con sezione trasversale variabile, come è ricorrente nella rete viaria di un abitato, mentre la scala è, di norma, stretta.
Detto ciò, si precisa che è ammissibile nella situazione descritta una scala invece di una scalinata in quanto ci troviamo in un ambito extracittadino, nella zona di passaggio tra l’agglomerato abitativo e il polo fortificato e, anzi, la previsione di una scalinata al posto della scala avrebbe potuto ingenerare confusione per quanto spiegato. Ci soffermiamo su tale fascia per dire che certo le persone avrebbero avuto interesse a costruire le proprie case a ridosso, mettiamo, del castello, alla ricerca della sicurezza dovuta alla vicinanza ad esso ma ciò avrebbe ostacolato il movimento degli uomini chiamati al momento del pericolo ad accorrere presso la fortificazione e perciò veniva impedito.
Il conte Cola a Campobasso demolì tutte le abitazioni della parte alta della collina Monforte, in vicinanza del maniero che egli aveva fatto rinforzare, tanto che le due antiche chiese di S. Giorgio e S. Bartolomeo persero il titolo di parrocchia; la stessa cosa avveniva lungo le mura fin dall’epoca dei romani che consideravano lo spazio contiguo alla murazione chiamato pomerio, alla stregua di un luogo sacro e pertanto inviolabile. Tornando alla scala si evidenzia che da essa promana un senso di distacco tra l’insediamento abitativo e il baluardo difensivo con un certo rispetto del significato storico di quest’ultimo che costituiva un fatto a sé, distinto dall’aggregato abitativo.
Persa la ragione d’essere militare, quel che rimane della rocca e cioè la torre conserva, comunque, il valore simbolico essendo, per la sua riconoscibilità, l’espressione più immediata del nucleo urbano. Nel tempo la torre di Campochiaro, svuotata del ruolo di presidio di difesa, è diventata una specie di logo del paese che ritroviamo in ogni veduta fotografica del luogo. Le torri come i castelli e come le porte urbiche conferiscono un’aura di nobiltà all’insediamento. Le strutture fortificate sono capaci di conferire l’identità di fatto urbano ad una qualsiasi aggregazione di edifici che, così, si distingue dalle semplici borgate. Le opere militari, tra le quali vi sono le torri, conferiscono a quel nucleo insediativo una preminenza all’intorno assicurando protezione alla popolazione che lì vive e a quanti dimorano al di fuori che possono rifugiarvisi.
In definitiva, anche qui da noi, per via delle fortificazioni si riconosce l’esistenza, è evidente in scala ridotta, di quella dialettica, forte nell’Italia dei Comuni, tra città e campagna. Si è parlato di valenza semantica per la torre, in specifico di Campochiaro, quasi fosse legata ad una sorta di mito fondatore del borgo e a tale proposito è da precisare che manufatti simili a volte antecedono l’età del feudalesimo. Il feudatario in seguito se ne impossessò così come occupò la cima del colle per installarvi il castello, il quale anche per la sua collocazione fisica viene a dominare politicamente e figurativamente l’abitato, e con ciò si vuol affermare che in tanti casi la collettività si era dotata di presidi di protezione dell’agglomerato prima della sua trasformazione in feudo; essi che servivano alla difesa comune erano la principale, per così dire, infrastruttura urbana.
Si può parlare per esse di valore in quanto costose e, quel che più ci interessa, per l’importanza, essendo affidata a queste attrezzature la propria sicurezza messa a rischio nel medioevo per la frammentazione dei poteri. Nei secoli si è perpetuata la carica simbolica almeno di alcune delle componenti del sistema di difesa, quelle considerate maggiormente prestigiose, dalle torri alle porte ai castelli. Le mura, invece, sono di frequente scomparse o ne sono rimaste unicamente dei brandelli, inglobate nelle costruzioni (vedi via Marconi e via Orefici a Campobasso) o eliminate per il passaggio di strade o per la creazione di parcheggi, in ossequio alla modernizzazione; eppure la cerchia muraria era un pezzo fondamentale dell’apparato di protezione, che ha una notevole utilità anche a prescindere se siano o meno collegate con un polo castellano come dimostra Altilia che ha la murazione e non un castello.
Nonostante che le cinte murarie abbiano una pregnanza notevole segnando il “confine” tra ciò che è urbano e ciò che è rurale (può capitare che esso venga spostato per successive espansioni del nucleo come si legge di nuovo nel capoluogo regionale), oggi salvo che a Fornelli, S. Maria Oliveto e Scapoli, non ci sono più; non ovunque esse erano continue e Campochiaro lo dimostra sostituite come sono proprio alle spalle della torre da una parete scoscesa. Il «modernismo» iniziato nella seconda metà del XIX secolo ha provocato la sparizione di ciò che era passato. O meglio sorpassato e gli innovatori, o meglio vandali, hanno risparmiato solo ciò che consideravano di pregio (a Riccia furono invece i rivoluzionari nel 1799 ad abbattere parte della murazione del castello).
La moda “romantica” delle “rovine”, poi, ha teso a lasciare a rudere quanto veniva lasciato e la torre di Campochiaro che è in un eccellente stato di conservazione per tale aspetto è un’eccezione. Oggi quest’ultima rimane scarsamente comprensibile perché estraneata dal sistema difensivo cui apparteneva, il quale se non è completo non è efficace, fatto di un complesso di elementi (torri, porte, fossati, barbacani, fortezze) sembrando una isolata torre di guardia per segnalare l’arrivo di nemici. Traendo delle conclusioni da tutto quanto esposto si è dell’avviso che occorra contestualizzare la torre nella logica militare cui è legata attraverso una segnaletica che indichi nelle varie zone del borgo medioevale i punti in cui sorgevano le mura, dove è possibile ipotizzare la presenza di porte, il sito della rocca. La scala realizzata è d’inizio del percorso sfruttando la sua configurazione particolare per estraniarci dal paese vissuto.
Francesco Manfredi Selvaggi632 Posts
Nato a Boiano (CB) nel 1956. Ha conseguito la Maturità Classica a Campobasso e poi la laurea in Architettura a Napoli nel 1980. Presso la medesima Università ha conseguito il Diploma di Perfezionamento in Storia dell’Arte Medievale e Moderna e il Diploma di Perfezionamento in Restauro dei Monumenti. È abilitato all’esercizio della professione di Architetto e all’insegnamento di Storia dell’Arte nei licei e Educazione Tecnica nelle scuole medie. Dal 1997 è Dirigente, con l’attribuzione di responsabilità nei servizi Beni Ambientali (19 anni), Protezione Civile, Urbanistica, Sismica, Ambiente. Ha avuto un ruolo attivo in associazioni ambientaliste quali Legambiente Molise, Italia Nostra sezione di Campobasso e Club Alpino Italiano Delegazione del Molise. Ha insegnato all’Università della Terza Età del Molise ed è stato membro del Consiglio di Amministrazione della Fondazione dell’Ordine degli Architetti di Campobasso, occupandosi all’interno dello stesso del progetto di Archivio dell’Architettura Contemporanea. È Giornalista Pubblicista e autore di articoli, saggi e del volume La Formazione Urbanistica di Campobasso. Le ultime pubblicazioni sono: «Le Politiche Ambientali nel Molise» (2011) e «Problemi di tutela ambientale in Molise» del 2014.
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