Ponte dei 25 archi, ma anche ponte Latrone
di Francesco Manfredi-Selvaggi
Ambedue ponti sul Volturno, presso Monteroduni, oggi scarsamente visibili perché al primo si è sovrapposto un moderno viadotto e il secondo è un rudere. Sono interessanti testimonianze storiche sulle quali si può immaginare possa impostarsi un progetto di valorizzazione turistica. (Cartolina degli anni 60 con in primo piano il Ponte dei 25 Archi e in secondo piano il ponte ferroviario)
Il Volturno è un fiume talmente grande, o almeno lo era prima della captazione delle sorgenti sulle Mainarde per alimentare il sistema acquedottistico Campate-Forme che ha ridotto la sua portata di ben 8 litri al secondo, da costituire un forte elemento di divisione territoriale. Esso suddivide questo ambito della regione in due parti nettamente distinte per evoluzione storica. L’una, quella che comprende la città di Venafro, è sempre stata caratterizzata da una civiltà di pianura, mentre l’altra che si sviluppa al di là della sponda opposta è, invece, connotata da più intensi legami con l’economia dell’Appennino.
La prima ha subito l’influenza del mondo campano e dell’abbazia di S. Vincenzo al Volturno, poi inglobata in quella di Montecassino, che era proprietaria di un ampio possedimento; essa è stata ricompresa amministrativamente nella Terra di Lavoro fino al momento dell’unificazione della Nazione quando il Molise venne ampliato in tale direzione. Non sono stati, comunque, i Savoia i principali protagonisti di questo cambiamento, quanto piuttosto i Borboni che con la costruzione del Ponte dei 25 Archi nel 1836 misero in congiunzione le zone poste sulle due rive del fiume.
Prima di proseguire va evidenziato per il notevole impegno costruttivo che richiede un ponte ha un intrinseco valore semantico. Vale la pena sottolineare l’elevato numero di arcate che non ha eguali nella nostra regione (quasi il doppio di quello dei 13 Archi sul Fortore, il secondo per grandezza) per evidenziare l’importanza attribuita a questo attraversamento, un’importanza dovuta più che alla necessità di congiungere il venafrano al Molise interno alla volontà di creare un percorso di collegamento tra la capitale, Napoli, e l’Abruzzo migliore passante per Isernia, quindi il Macerone e poi il valico di Rionero Sannitico.
In mancanza di questo ponte, è utile puntualizzarlo, la direttrice della cosiddetta Strada degli Abruzzi era quella che costeggiava dopo Roccaravindola il blocco di travertino di Rocchetta al Volturno per inerpicarsi superato Pizzone sulle Rampe di S. Francesco seguendo sì una linea di frattura del suolo ma imponendo di dover raggiungere quote elevate. Il ponte ha, però, oltre a spingere a quell’ingrandimento del Molise in periodo post-unitario, di cui si è detto, anche, all’inverso, siamo nell’epoca fascista, alla sottrazione alla nostra regione di alcuni comuni matesini, tra i quali Capriati, ammettendoli alla neonata provincia di Caserta, centro ormai facilmente raggiungibile passando proprio per questo ponte.
Non è che il Ponte dei 25 Archi sia l’unico ponte che è stato costruito sul Volturno, perché poco più a valle lungo il corso del fiume (2 chilometri circa) c’era il Ponte Latrone di età romana oggi ridotto allo stato di rudere, peraltro assai suggestivo. L’attraversamento antico si trovava in un sito leggermente diverso forse perché la morfologia del corso d’acqua, come succede in tutti i corpi idrici che scorrono in fasce planiziali, è mutata così come il suo significato è differente. Esso apparteneva alla rete viaria dei Romani i quali avevano bisogno di muovere l’esercito in modo rapido per raggiungere quei luoghi, come succedeva spesso nel riottoso Sannio, dove scoppiavano rivolte.
Ambedue, il Ponte dei 25 Archi e il Ponte Latrone, sono stati realizzati in ere caratterizzate da un’autorità statale forte, rispettivamente il Regno delle due Sicilie e l’Impero Romano, la quale garantiva la sicurezza dei trasporti. Durante il Medioevo invece per via della frammentazione dei poteri, ogni feudo costituendo grosso modo un’entità autonoma, le comunicazioni diventavano di breve raggio non avendo più ragione d’essere le lunghe percorrenze. Le vie consolari perdono la funzione originaria di mettere in contatto le varie parti all’interno di quelle che una volta erano le province dell’impero romano.
I ponti posti lungo tali arterie non ricevono più manutenzione e vengono distrutti dalle alluvioni. Sempre per l’attraversamento di un fiume veniva pagato un pedaggio, prima dovuto al governo centrale, cioè lo Stato romano, e poi alle autorità locali e l’imponente castello di Monteroduni che è in relazione visiva con il Volturno è un po’ il simbolo della dominazione del territorio e, quindi, del passo. Il porre l’iscrizione latina riportante la gabella da pagare proveniente da un ponte scomparso sul torrente Lorda all’ingresso di questa struttura castellana richiama, in qualche modo, il legame che doveva intercorrere tra i ponti e il potere feudale il quale sicuramente esercitava un controllo sulle comunicazioni.
Esso, peraltro, assicurava protezione ai viaggiatori minacciati dai ladroni, termine da cui sembra derivare il toponimo Ponte Latrone. Non è solo l’autorità civile a preoccuparsi dei viandanti (e delle loro merci), ma pure quella religiosa con i numerosi ospizi collocati specialmente sui valichi montani. Una funzione analoga probabilmente doveva svolgerla anche la chiesa dell’alto medioevo, definita tricora per il suo impianto architettonico a pianta centrale con tre absidi, della quale ci sono rimasti consistenti resti vicino alla spalla del ponte, sempre dal lato di Monteroduni.
In verità c’è un’altra ipotesi che si potrebbe formulare per questo edificio di culto di cui non si conosce a chi sia dedicato che è quella che si tratti di un santuario il quale, succede spesso, per attrarre fedeli si colloca sulle strade maggiori e, ancora meglio, nei punti nodali come sono i ponti. Sarebbe stata, invece, infelice la sua posizione a filo ponte qualora fosse stato semplicemente a servizio del vicino, piccolo nucleo rurale di Campo La Fontana. È ora di tornare, avvicinandosi alla conclusione, all’affermazione iniziale che il Volturno è un elemento di divisione per dire che esso come tutti i corsi d’acqua è un fattore di connettività lungo la sua asta; siamo passati da una lettura storica a considerazioni naturalistiche in base alle quali il fiume è un corridoio ecologico.
C’è continuità ambientale non solo in senso longitudinale seguendo l’asse fluviale, bensì pure trasversalmente. L’indizio è costituito dall’identità del substrato geologico tra i territori separati dal Volturno che è la Formazione denominata di Monte Calvello che caratterizza tanto il Matese Nord Occidentale (cui appartiene m. Gallo che ha le pendici distanti 50 metri da Ponte Latrone), il quale pur essendo un massiccio dal punto di vista morfologico unitario è composto di due zone geologicamente distinte, quanto l’Unità dei Monti della Meta e di Venafro. Si ricorda che lo scheletro dell’ecosistema è la struttura geologica del territorio. Ciò che occorrerebbe favorire, è una priorità assoluta, è il transito, evitando disturbi antropici, dell’orso marsicano per permettergli di colonizzare il Matese perché se confinato nel Parco Nazionale d’Abruzzo rischia l’estinzione.
Francesco Manfredi Selvaggi637 Posts
Nato a Boiano (CB) nel 1956. Ha conseguito la Maturità Classica a Campobasso e poi la laurea in Architettura a Napoli nel 1980. Presso la medesima Università ha conseguito il Diploma di Perfezionamento in Storia dell’Arte Medievale e Moderna e il Diploma di Perfezionamento in Restauro dei Monumenti. È abilitato all’esercizio della professione di Architetto e all’insegnamento di Storia dell’Arte nei licei e Educazione Tecnica nelle scuole medie. Dal 1997 è Dirigente, con l’attribuzione di responsabilità nei servizi Beni Ambientali (19 anni), Protezione Civile, Urbanistica, Sismica, Ambiente. Ha avuto un ruolo attivo in associazioni ambientaliste quali Legambiente Molise, Italia Nostra sezione di Campobasso e Club Alpino Italiano Delegazione del Molise. Ha insegnato all’Università della Terza Età del Molise ed è stato membro del Consiglio di Amministrazione della Fondazione dell’Ordine degli Architetti di Campobasso, occupandosi all’interno dello stesso del progetto di Archivio dell’Architettura Contemporanea. È Giornalista Pubblicista e autore di articoli, saggi e del volume La Formazione Urbanistica di Campobasso. Le ultime pubblicazioni sono: «Le Politiche Ambientali nel Molise» (2011) e «Problemi di tutela ambientale in Molise» del 2014.
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