Accostarsi alla costa

di Francesco Manfredi-Selvaggi

Avvicinandosi alla battigia si vede che siamo di fronte a tratti di litorale molto diversi tra loro per caratteristiche morfologiche e ambientali (Ph. Alessio Manfredi Selvaggi-Barriere frangiflutti a Campomarino Lido)

Non è facile definire il paesaggio della costa molisana come una cosa unitaria e, nello stesso tempo, essa è un fatto ben distinguibile, almeno rispetto ai tratti di fascia costiera che la precedono e che la seguono. Infatti il nostro litorale è ben diverso di quello che sta a meridione, quindi dal Gargano, e da quanto si trova a settentrione, la cosiddetta Costa Teatina, dei quali poco dopo il termine del Molise si colgono i preludi. Vi è, appena più in là dei confini regionali, un evidente salto morfologico, sia a nord che a sud, che segna il passaggio tra due tipologie di paesaggio costiero definite della costa alta e di quella bassa la quale si trova qui da noi.

Quindi, oltre ai termini geografici fissati dai corsi d’acqua, il Trigno con l’Abruzzo seppure vi è una rientranza, e il Saccione con la Puglia, di carattere interregionale abbiamo questa questione della differenza della forma del suolo. Se ciò, cioè l’essere costa bassa, è quanto conferisce una identità propria al pezzo di linea litoranea del Molise non significa, comunque, che siamo di fronte ad un territorio unitario. La nostra costa non è una striscia continua di spiagge, più o meno ampie perché essa risulta interrotta in vari punti, tanto da episodi naturali come la foce fluviale del Biferno (scarsamente significative sono quelle dei corpi idrici minori, dal Sinarca al Rio Salso al Mergolo al Tecchio) che da elementi antropici, i porticcioli turistici di Montenero di Bisaccia e di Campomarino.

Un’ulteriore frammentazione è data dallo sperone roccioso su cui sorge il borgo antico di Termoli, l’unico promontorio che c’è qui da noi; proprio questo sporgersi sul mare permette la formazione di insenature che hanno portato, per via delle acque calme, alla nascita prima del cosiddetto caricatoio e poi, allungando la sporgenza verso il largo mediante la costruzione di un molo, alla creazione dell’unico porto vero e proprio molisano. Infatti, per la configurazione della nostra costa priva di fattori predisponenti alla portuosità negli anni 70 si era pensato, per la realizzazione di uno scalo marittimo industriale, di intervenire sulla foce del Biferno con un progetto definito di porto-canale. Il semplice approdo iniziale diventa, dunque, tramite il lungo molo-martello un porto, per certi versi, artificiale.

La sua presenza determina nelle prossimità una deviazione delle correnti marine e ciò provoca un parziale insabbiamento del pezzo di litorale appena fuori dal bacino portuale. L’avanzamento della battigia con il recupero di suolo sottratto al mare qui permette la realizzazione del Laboratorio di biologia marina. L’alterazione dell’originario profilo della linea litoranea non è, comunque, causata unicamente dal porto il quale influisce sul suo intorno, nel lato, diciamo, sottovento, perché a generare uno squilibrio nel deposito dei materiali sabbiosi da parte delle correnti marine concorre la estesa teoria di frangiflutti posizionati negli ultimi decenni.

Le barriere a protezione della spiaggia, risorsa preziosa per il turismo, sono ormai molto frequenti. Si tenta di proteggere l’arenile attraverso la messa in opera di scogliere senza preoccuparsi, però, della diminuzione del riversamento in mare dei depositi fluviali essendo stato bloccato il loro trasporto dalle dighe poste sul Biferno e sul Trigno; il mare non può più redistribuirli sull’arenile per cui esso è, ormai, in fase di erosione. A questo punto occorre una precisazione: la costa è stata sempre oggetto di avanzamenti e di arretramenti, i quali ultimi sono testimoniati dai cordoni di dune, o meglio da relitti delle stesse che si incontrano anche assai distante dalla battigia.

A Campomarino a fianco della statale Adriatica la ditta De Laurentis ha avuto la concessione per il prelievo di sabbia da una duna «fossile», definita altrimenti paleoduna. Per duna si intende un cordone sabbioso che si distende parallelamente alla battigia, edificato, se così si può dire, dal vento; le più belle sono quelle del lido di Petacciato che dovettero attrarre il pittore Carlo Carrà il quale qui soggiornò. Questi mucchi di sabbia vengono stabilizzati da piante rustiche che si adattano a vivere in condizioni ambientali così estreme. Più spesso le dune appaiono, però, prive della loro peculiare vegetazione.

Le dune litoranee, in particolare quelle più interne, sono state livellate a seguito dell’azione della Bonifica agraria, trasformandole in terreni coltivabili. I cordoni dunali, inoltre, sono stati occupati dalle pinete piantate per proteggere le colture dai venti provenienti dal mare. È vero che le pinete litoranee sono frutto di rimboschimenti effettuati a partire dalla fine del XIX secolo, ma nel medesimo tempo bisogna evidenziare che la fascia costiera doveva essere un’unica, grande distesa forestale. Quelle attuali non sono, di certo, lembi residui dell’antica foresta, bensì pinete artificiali: ciò, ad ogni modo, non modifica il giudizio di tipo estetico che riconosce la loro elevata qualità paesistica.

L’apprezzamento da parte dei turisti è favorito dal fatto che le pinete sono delimitate dalla strada costiera da cui è possibile ammirarle. Avvicinandosi al bagnasciuga vediamo che la falesia su cui sorge il borgo storico di Termoli sfuma progressivamente in una scarpata, andando verso nord, alta anche semplicemente una decina di metri che separa la piana del basso Molise da una stretta fettuccia prospiciente il mare, costituita dai sedimenti marini recenti. È un gradino che è stato determinato dall’abbassamento del livello delle acque il quale era cresciuto con lo scioglimento dei ghiacci al termine dell’ultima glaciazione.

La spiaggia che sta al di sotto di tale terrazzo lasciato dalla ritrazione marina non va confusa, è bene evidenziarlo, con la lingua di terra che si è andata a costituire a fianco del porto di Termoli. Ecosistemi particolari sono quelli delle foci fluviali per la simbiosi di acqua dolce e salmastra. Un altro ambiente interessante del litorale è quello della zona umida delle Fantine di Campomarino, un suolo acquitrinoso sopravvissuto alla Bonifica, circondato dai terreni «redenti», come si diceva un tempo. In definitiva, sulla costa molisana, pur breve, vi è una articolazione di situazioni ambientali. La varietà di elementi paesistici esposta riesce a far perdere al nostro litorale quella monotonia che altrimenti gli deriverebbe dalla sua sostanziale piattezza, per tornare a quanto affermato all’inizio circa l’identità della costa molisana.

Francesco Manfredi Selvaggi645 Posts

Nato a Boiano (CB) nel 1956. Ha conseguito la Maturità Classica a Campobasso e poi la laurea in Architettura a Napoli nel 1980. Presso la medesima Università ha conseguito il Diploma di Perfezionamento in Storia dell’Arte Medievale e Moderna e il Diploma di Perfezionamento in Restauro dei Monumenti. È abilitato all’esercizio della professione di Architetto e all’insegnamento di Storia dell’Arte nei licei e Educazione Tecnica nelle scuole medie. Dal 1997 è Dirigente, con l’attribuzione di responsabilità nei servizi Beni Ambientali (19 anni), Protezione Civile, Urbanistica, Sismica, Ambiente. Ha avuto un ruolo attivo in associazioni ambientaliste quali Legambiente Molise, Italia Nostra sezione di Campobasso e Club Alpino Italiano Delegazione del Molise. Ha insegnato all’Università della Terza Età del Molise ed è stato membro del Consiglio di Amministrazione della Fondazione dell’Ordine degli Architetti di Campobasso, occupandosi all’interno dello stesso del progetto di Archivio dell’Architettura Contemporanea. È Giornalista Pubblicista e autore di articoli, saggi e del volume La Formazione Urbanistica di Campobasso. Le ultime pubblicazioni sono: «Le Politiche Ambientali nel Molise» (2011) e «Problemi di tutela ambientale in Molise» del 2014.

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