Quando il fiume corre in galleria

di Francesco Manfredi-Selvaggi

Il Biferno nella sua parte mediana è interessato dall’Habitat comunitario «Foreste a galleria di Salici e Pioppi» che nasconde alla vista l’ambiente fluviale nel quale vive tra gli altri la lontra. Una minaccia all’integrità naturalistica è costituita dalle centrali idroelettriche (Ph. Roberto Priolo-Galleria di salici sul corso del Callora, tipologia di vegetazione spondale cosiddetta azonale la quale la si ritrova anche nell’area descritta nel testo)

Nella sua parte mediana, in particolare “dalla confluenza del Torrente Quirino al Lago di Guardialfiera”, quindi per un lungo tratto, l’asta fluviale del Biferno rientra in un Sito di Importanza Comunitaria, identificato con i termini virgolettati sopra. È un pezzo di fiume molto esteso, 20 chilometri, specie se rapportato alla sua lunghezza complessiva che è di circa Km. 80. Questo SIC è connotato da due Habitat di Interesse Comunitario, in sigla il 92AO e il 3260. Il secondo dei due è denominato «Fiumi delle pianure e montani con vegetazione del Ranunculium fluitantis e Callitricho-Batrachion», una formazione davvero particolare quella del Ranuncolo flottante sulla superficie dell’acqua; esso, a differenza dell’altro habitat come vedremo, è difficilmente ricostituibile una volta rimosso, tanto in loco quanto in un punto diverso dello stesso corpo idrico, potendosi considerare una sorta di relitto dell’ecosistema di altre fasi della storia dell’ambiente, una specie di resto archeologico.

Nella revisione e perimetrazione degli Habitat commissionata dalla Regione alla Società Botanica Italiana nel 2008 il 3260 occupa il 3% dell’area di questo SIC. Ben più vasta è la parte di SIC in cui si rinviene il 92AO, essendo il 59%. Siamo quasi al doppio della percentuale di copertura forestale, perché questo secondo habitat è di tipo boschivo, che hanno i Siti come questo connotati da fitocenosi riparie arboree. La denominazione completa di tale habitat è 92AO-Foreste a Galleria di Salix Alba e Populus alba, dunque siamo di fronte a piante. Non vi è una totale coincidenza tra Habitat e SIC sul pezzo di Biferno in questione perché, salvo quella piccolissima quota di habitat 3260, vi sono i ponti, ad esempio vicino alla Centrale Guacci e il ponte dei 3 Archi, ed alcuni viadotti della fondovalle, i quali, però, essendo alti sorpassano la vegetazione, per il passaggio dei quali è stato necessario eliminare le alberature fluviali.

Non vi sono, comunque, arginature, le quali avrebbero comportato la sparizione delle sponde vegetate, in quanto la Bifernina si è costantemente discostata, anche per il pericolo delle piene, dal greto del fiume, oltre che a correre più in alto. In definitiva, qualora si dovesse, come nel caso della formazione di bacini per arrestare la corrente e, contemporaneamente, aumentare il livello delle acque al fine di favorire il loro convogliamento nel canale di derivazione di un impianto idroelettrico, sgombrare l’alveo dalle specie vegetali sarebbe difficile individuare spazi liberi ai margini del Biferno per ricreare l’habitat sottratto (alla Rete Natura 2000, si intende).

Operazione, quest’ultima, doverosa in termini pure normativi e anche possibile poiché si tratta di vegetazione azonale, diffusa in tutto il territorio italiano. Azonale, sempre che vi sia un fondo di origine alluvionale, ma ciò succede dappertutto quando il fiume, come nel nostro caso, è di pianura (il Biferno passa in 20 chilometri dall’altitudine di 350 metri in agro di Colledanchise ai 200 metri di Guardialfiera) e i corsi d’acqua sempre tendono a svilupparsi nel piano. Rimanendo al caso esposto è da aggiungere che distruzione di questo habitat non significa solo sradicamento delle essenze arboree, ma anche la loro permanente sommersione, eventualmente parziale nel bacino di cui sopra.

È vero che si tratta di piante igrofile le quali, ad ogni modo sopportano, sia pure a livello di tronco, per breve tempo, quello dell’onda di piena, lo stare sott’acqua. Lasciamo adesso il tema degli habitat e tocchiamo quello della fauna che frequenta il Biferno, altrettanto importante nell’ottica dell’integrità della Rete ecologica europea. Questo fiume, proprio nel segmento di cui stiamo parlando, è frequentato dalla lontra, una sorta di elemento naturale simbolo di questo fiume. Perlomeno in passato in quanto nei primi decenni postbellici si è avuta una forte riduzione di esemplari, non solo qui da noi, bensì in tutto il continente, una perdita sensibile che ha depauperato il patrimonio faunistico italiano, in particolare quello della porzione centro-meridionale della Penisola dove era concentrato (e si spera riprenda ad esserlo) la stragrande quantità di esemplari.

Il fenomeno del decremento di Mustelidi, tra i quali rientra pure, insieme alla puzzola e la martora, la lontra, cioè lutra lutra, è stato violento, oltre che avvenuto in poco tempo, e i fattori determinanti, sicuramente per la puzzola e la lontra che hanno quale areale d’elezione i corsi idrici e le zone umide, l’inquinamento delle acque. Il Biferno prima della dotazione ai comuni che si affacciano su di esso di efficienti depuratori versava in condizioni ecologiche preoccupanti e ciò accadeva ovunque nella nostra nazione tanto che la lontra è diventata una degli animali selvatici maggiormente in pericolo di sparizione.

La lontra, come gli altri mustelidi è carnivora e si nutre di pesci per cui la sua presenza rivela uno stato di salute soddisfacente dell’asta fluviale la quale viene misurata, tra gli altri, da indicatori biologici, la ricchezza ittica appunto. Deve di certo aver concorso alla individuazione di questo SIC gli avvistamenti, sia pure sporadici, della lontra, un SIC non da poco con i suoi 360 ettari che si sviluppano linearmente e quindi rappresenta uno spazio vitale significativo. Tra le minacce antropiche in questo segmento del Biferno che attraversa ambiti rurali, senza scarichi industriali né cave di estrazione inerti, vi sono le centrali idroelettriche a causa degli sbarramenti per deviarne il quantitativo d’acqua necessario ad azionare le turbine.

Azioni di mitigazione obbligatorie, quando in certi punti la fascia demaniale diventa stretta e non coperta da boscaglia (dipende dalla larghezza della valle), tale da non poter assicurare il transito indisturbato della lontra ai lati del fiume, sono quelle per la costituzione di specifiche rampe sul corpo della briglia. Nello stesso tempo gli invasi, nonostante le ristrette dimensioni, andrebbero concepiti in chiave naturalistica, accanto a quella ingegneristica, immaginandoli alla stregua di pozze o laghetti naturali; partendo dalla considerazione che le acque correnti si trasformano in acque ferme andrebbe favorita la nascita di un canneto ai bordi. Per la loro delimitazione laterale occorre adottare tecniche di ingegneria naturalistica, le quali essendo dotate di elasticità sono capaci di assecondare la dinamicità caratteristica dell’ambiente fluviale, la cui morfologia, quasi per statuto, è in continuo divenire (si pensi al cambiamento stagionale di portata, alle inondazioni).

Il Biferno, inoltre, è frequentato da una abbondante avifauna, con uccelli compresi nella lista delle specie di «interesse comunitario» per la cui osservazione vanno installati gli appositi capanni. In definitiva, è indispensabile una grande attenzione per gli interventi interessanti questo corso d’acqua, la cui vitalità è scarsamente percepibile dalla statale che vi corre accanto perché il fiume è nascosto sotto la «galleria di salici e pioppi» di cui all’habitat 92AO, cioè dalle chiome degli alberi che si protraggono, congiungendosi fra loro, al di sopra dell’alveo escludendolo alla vista.

Francesco Manfredi Selvaggi645 Posts

Nato a Boiano (CB) nel 1956. Ha conseguito la Maturità Classica a Campobasso e poi la laurea in Architettura a Napoli nel 1980. Presso la medesima Università ha conseguito il Diploma di Perfezionamento in Storia dell’Arte Medievale e Moderna e il Diploma di Perfezionamento in Restauro dei Monumenti. È abilitato all’esercizio della professione di Architetto e all’insegnamento di Storia dell’Arte nei licei e Educazione Tecnica nelle scuole medie. Dal 1997 è Dirigente, con l’attribuzione di responsabilità nei servizi Beni Ambientali (19 anni), Protezione Civile, Urbanistica, Sismica, Ambiente. Ha avuto un ruolo attivo in associazioni ambientaliste quali Legambiente Molise, Italia Nostra sezione di Campobasso e Club Alpino Italiano Delegazione del Molise. Ha insegnato all’Università della Terza Età del Molise ed è stato membro del Consiglio di Amministrazione della Fondazione dell’Ordine degli Architetti di Campobasso, occupandosi all’interno dello stesso del progetto di Archivio dell’Architettura Contemporanea. È Giornalista Pubblicista e autore di articoli, saggi e del volume La Formazione Urbanistica di Campobasso. Le ultime pubblicazioni sono: «Le Politiche Ambientali nel Molise» (2011) e «Problemi di tutela ambientale in Molise» del 2014.

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