L’ultimo miglio dei corsi d’acqua molisani
di Francesco Manfredi-Selvaggi
Nell’ultimo tratto i nostri corsi d’acqua sono stati quasi sempre oggetto di lavori di sistemazione per prevenire inondazioni e per liberare i terreni dalle acque in modo da permettere l’uso agricolo (ph. Dalla cartografia del Rizzi Zanone, fine 1700 planimetria di un tratto di fascia costiera)
I corsi d’acqua nel loro tratto terminale, faticando a trovare lo sbocco nel mare ostruito dai cordoni sabbiosi, creavano delle zone palustri. Quegli alluvionamenti hanno potato alla formazione della striscia pianeggiante che va fino all’arenile e che prende inizio lì dove finisce la serie di colline, ultime propaggini dei rilievi del Molise interno; la riduzione delle pendenze fa sì che i corpi idrici depositino il materiale che hanno trasportato il quale accumulandosi determina la creazione della piana. Non è stata solo la presenza delle dune a ostacolare il percorso dei rivi come dei fiumi, ma pure gli inerti, sempre più fini a seconda della distanza dei rilievi collinari, che accumulandosi obbligano i corsi d’acqua a scavarsi una via nei loro stessi depositi.
La velocità della corrente così diminuisce e con essa la forza di trasporto per cui l’idrografia assume una forma sinusoidale. Gli alvei ormai sono caratterizzati da continue anse e da rami morti. C’è una proporzione in tutto: la pianura è maggiore quando il fiume è di livello superiore, cioè il Biferno, il Trigno e il Saccione, allo stesso modo le paludi si ampliano in corrispondenza dei corpi idrici principali (per quanto riguarda il Biferno rimane il ricordo nei toponimi Pantano Alto e Pantano Basso). Se la barriera dunosa è, purtroppo, in molte parti sparita, ad interrompere il deflusso idrico si sono sostituite la strada e la ferrovia litoranee, nonostante i diversi ponti.
Una ulteriore minaccia è rappresentata dai progetti di lungomare, quale quello sul litorale nord di Termoli dove vi è la Foce dell’Angelo. Il Rio Vivo alla sua estremità compie una brusca curvatura in direzione sud quando si imbatte nella viabilità costiera rimanendo parallelo per un pezzo a quest’ultima e, quindi, al mare tanto che si deve ritenere che la sua foce si sia spostata verso meridione di qualche centinaio di metri. Per ovviare ai problemi connessi con gli impaludamenti, tra i quali era fortemente sentito nelle fasce litoranee italiane il pericolo della malaria, oltre che l’esigenza di recuperare terreni per l’agricoltura, oggi i più fertili, si eseguirono importanti opere idrauliche.
Si procedette alla rettificazione dei corsi d’acqua che vengono ridotti a semplici canali; è una regolarizzazione che se, da un lato, va a favore della sicurezza idrica, dall’altro ha prodotto la distruzione dell’ambiente fluviale originario. Lavori che presero avvio con la legge Serpieri alla fine dell’ ‘800 e che sono proseguiti nel secondo dopoguerra. La cartografia attuale dell’IGM redatta negli anni 50 del secolo scorso, ancora riporta il grande meandro del Biferno in località Rivolta del Re che, invece, è stato tagliato ed occupato dallo stabilimento FIAT il quale è nato nel 1970. Il cosiddetto Basso Molise non è, comunque, un ambito omogeneo presentando delle individualità, anche dal punto di vista delle problematiche.
Tra queste vi è la città di Termoli, peraltro l’unico centro urbano posto sul mare, la quale per le sue consistenti dimensioni ha causato trasformazioni significative dell’intorno territoriale di cui fa parte. Ha subito, di certo, alterazioni notevoli la rete idrografica e questo deve essere stato un processo molto lungo il cui esordio si può fari risalire al periodo del regno borbonico quando venne deciso l’ampliamento dell’abitato con il piano per il Borgo Ferdinandeo. Per ottenere una superficie piatta allo scopo di permettere una facile edificazione fu colmato il suolo interrando l’impluvio, probabilmente coincidente con l’odierna Scalinata del Folclore, in cui si raccoglievano le acque superficiali di questo comprensorio, altrimenti privo di scoli.
Il deflusso, che era anche quello degli scarichi domestici, confluiva nello «scaricatoio», quel punto in cui sorge adesso il depuratore, il quale, dunque, conferma la destinazione del sito di terminale delle acque luride. Siamo nel bacino portuale dal quale deve essere stato allontanato ogni corpo idrico per evitare che i sedimenti che essi trascinano a valle possano contribuire all’interrimento del porto. Anche il torrente Rio Vivo deve aver subito la deviazione già descritta che lo dirotta in senso opposto a quello della struttura portuale per i medesimi motivi. Il porto è una infrastruttura di enorme rilievo, non esclusivamente per l’economia del posto, bensì nello stesso tempo per l’impedimento alla balneabilità della spiaggia vicina (di particolare valore perché spiaggia cittadina) e per il condizionamento all’idrografia.
L’espansione dell’area urbanizzata ha fatto diminuire le valenze paesaggistiche le quali sono rintracciabili unicamente nei lembi di naturalità superstiti; tra questi vi è il vallone Rio Vivo il quale costituisce quasi un corridoio che consente la interconnessione tra i valori dell’ecosistema costiero, per quanto soggetto alla pressione turistica, con quelli insistenti nella campagna che sta alle spalle. Per la cittadinanza è, innanzitutto, uno spazio a verde pubblico dove trascorrere il tempo libero. Nei terreni liberati, mediante la riconduzione del torrente in un alveo ben definito, dalla libera divagazione delle acque sono stati realizzati impianti sportivi e attrezzature per la ricreazione.
Ciò è stato consentito dall’essere un suolo di proprietà comunale, proprietà derivate dalla sua appartenenza in precedenza al demanio fluviale alla stregua di quanto è successo in tante altre occasioni. Il Rio Vivo è stato rettificato per un pezzo a partire dal ponte dell’antica strada Adriatica e immediatamente a monte di questo per indirizzare l’acqua al di sotto della sua unica, stretta, arcata, lavori necessari per garantire la circolazione anche nei momenti di piena, evitando lo scalzamento al piede delle spallette. Si evidenzia il ruolo di tale arteria oggi declassificata a strada urbana, ma un tempo statale perché di collegamento nazionale, percorso viario che si discosta dal litorale sia per bypassare il nucleo abitativo, in passato assai ridotto, sia per evitare l’attraversamento del Rio Vivo quando la sua sezione si ampliava allargandosi la valle che lo ospita.
Francesco Manfredi Selvaggi637 Posts
Nato a Boiano (CB) nel 1956. Ha conseguito la Maturità Classica a Campobasso e poi la laurea in Architettura a Napoli nel 1980. Presso la medesima Università ha conseguito il Diploma di Perfezionamento in Storia dell’Arte Medievale e Moderna e il Diploma di Perfezionamento in Restauro dei Monumenti. È abilitato all’esercizio della professione di Architetto e all’insegnamento di Storia dell’Arte nei licei e Educazione Tecnica nelle scuole medie. Dal 1997 è Dirigente, con l’attribuzione di responsabilità nei servizi Beni Ambientali (19 anni), Protezione Civile, Urbanistica, Sismica, Ambiente. Ha avuto un ruolo attivo in associazioni ambientaliste quali Legambiente Molise, Italia Nostra sezione di Campobasso e Club Alpino Italiano Delegazione del Molise. Ha insegnato all’Università della Terza Età del Molise ed è stato membro del Consiglio di Amministrazione della Fondazione dell’Ordine degli Architetti di Campobasso, occupandosi all’interno dello stesso del progetto di Archivio dell’Architettura Contemporanea. È Giornalista Pubblicista e autore di articoli, saggi e del volume La Formazione Urbanistica di Campobasso. Le ultime pubblicazioni sono: «Le Politiche Ambientali nel Molise» (2011) e «Problemi di tutela ambientale in Molise» del 2014.
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