Cambio casa o cambio la casa
di Francesco Manfredi-Selvaggi
Con la flessibilità si trasforma il proprio alloggio adattandolo alle mutate esigenze del nucleo famigliare; viceversa ci si trasferisce in un’altra abitazione (Ph. F. Morgillo-Case popolari a Boiano)
In mancanza di una ampia sperimentazione di modelli di edilizia sociale tanto che non si è ancora pervenuti al varo di una normativa tecnica in materia, è complesso chiedere all’imprenditoria privata di impegnarsi a dare sostanza al concetto di social housing. Forse sarebbe stato opportuno a livello regionale, e ancora di più a quello statale, approntare un intervento pilota oppure finanziare ricerche e indagini su quanto è già stato fatto altrove o, addirittura, promuovere la creazione di un centro studi partecipato dal mondo edile e dalle associazioni no-profit.
Un po’ come fece, per intenderci, la gloriosa INA Casa nel periodo post ricostruzione bellica quando si fece carico di aggiornare l’edilizia popolare con la proposizione di un numero elevato di esempi di alloggi e di aggregazione di questi, cosa possibile per un’agenzia pubblica, ma improponibile per i privati a causa degli elevati costi connessi alla messa a punto di progetti innovativi. Non si può pretendere da soggetti che operano con risorse limitate, alle prese con un mercato connotato, per via della congiuntura economica ancora non favorevole, da prezzi di vendita bassi, che spendano risorse consistenti nell’attività creativa.
Tanto più che in una regione piccola come il Molise le occasioni di edificazione di nuove abitazioni, dato anche lo stock di invenduto a Campobasso e Isernia, sono limitate per cui lo sforzo ideativo per definire un progetto architettonico attinente all’edilizia sociale è eccessivo se commisurato alle volte nelle quali lo schema distributivo potrà essere applicato in realizzazioni concrete. Forse questa è la ragione che sta dietro alla modifica della legge regionale sul Piano Casa apportata nel gennaio del 2018 che ha sostituito all’articolo 6 di tale legge le parole edilizia sociale con quelle di edilizia residenziale in genere (meglio sovvenzionata, agevolata e convenzionata) che sono assai conosciute.
L’imprenditore ha bisogno di certezze, specie nel momento attuale in cui la crisi del comparto delle costruzioni permane, rifuggendo da salti nel buio e da cambiamenti troppo radicali quale quello della modifica dell’idea stessa di abitare che porta con sé il social housing. Egli preferisce rifugiarsi nel cosiddetto usato sicuro, cioè nell’adozione di tipologie abitative ben collaudate dall’esperienza, senza sperimentare soluzioni di residenze differenti dal passato. Stanno giocando un ruolo, comunque, anche i ritardi nell’approntamento di una normativa tecnica in questo campo: si prenda il tema della flessibilità distributiva che è uno dei connotati salienti dell’edilizia sociale della quale si è discusso già nella Bauhaus e cioè negli anni 20 del secolo scorso, la rivoluzionaria scuola di architettura guidata da Gropius.
Rimanendo sulla problematica dell’alloggio flessibile ci sarebbe da abbandonare tale strada e ritornare su quella consolidata dell’offerta di soluzioni abitative diversificate con un campionario di appartamenti per soddisfare le molteplici esigenze. È da obiettare su quanto appena detto che la flessibilità, a prescindere dal suo legame con l’edilizia sociale, è una specie di valore aggiunto per la casa, perlomeno dal punto di vista economico, poiché permettendo all’alloggio di modificarsi nel tempo seguendo la variazione dei bisogni degli utenti porta all’allungamento della sua vita utile; in assenza di flessibilità è evidente che la residenza pensata per un nucleo famigliare in fase di crescita diventato in seguito di pochi elementi si rivela troppo grande e perciò onerosa da gestire tanto da indurre ad abbandonarla o svenderla perché, tanto per dire, di seconda mano.
A prescindere dal verificarsi dell’eventualità che si è esposta sopra, la flessibilità rappresenta un vantaggio, un incremento di quotazione immobiliare, per la costruzione, essendo una garanzia contro le incertezze; l’offerta abitativa, in altri termini, si migliora qualitativamente consentendo di collocare sul mercato a prezzi più alti il fabbricato dotato di flessibilità. Ragionando, poi, sull’alternativa costituita dalla proposta di un ventaglio di tipi edilizi, piuttosto che la scelta di una tipologia flessibile, si evidenzia che essa si scontra con il nostro modo di sentire che attribuisce alla casa una valenza emozionale, quasi essa si identifichi con la propria famiglia per il proprietario.
La casa non è sentita come ogni altro bene di consumo per cui non si è disponibili con facilità al mutamento di residenza, specie per gli anziani che essendo vissuti a lungo fra quelle mura hanno un rapporto sentimentale con essa, luogo di sedimentazione dei ricordi. Razionalmente si dovrebbe cambiare alloggio per rispondere alle trasformazioni dei fabbisogni e, di certo, in futuro ciò diverrà una cosa abituale dati i cambiamenti in corso nella società contemporanea nella quale si va verso l’affermazione della mobilità, a cominciare da quella lavorativa, ma essa si scontra con l’attaccamento radicato in larghe fasce della popolazione nei confronti della dimora in cui si è cresciuti e, per gli anziani, in cui si sono cresciuti i figli.
Non si è, inoltre, sicuri che sia più conveniente sotto l’aspetto finanziario comprare un altro appartamento dove trasferirsi al momento della mutazione delle necessità di spazio, oppure trasformare secondo i criteri della flessibilità l’alloggio in cui si sta. A causa della riduzione della spesa delle amministrazioni nel comparto dell’edilizia residenziale pubblica, è indispensabile l’apporto dell’iniziativa imprenditoriale privata e, perciò, per far leva su di essa occorre tenere nel dovuto conto l’utile che le imprese devono, per statuto, ricavare dalla vendita degli alloggi.
È opportuno, pertanto, che si attivino tavoli di concertazione ai quali è indispensabile che partecipino gli enti locali, la Regione, il mondo delle imprese, le organizzazioni no-profit, i movimenti in difesa dei consumatori. Si è detto enti locali, dunque al plurale, e non singolo ente locale ritenendo che la realizzazione di unità abitative in un centro (prendi Termoli) possa comportare il travaso di persone verso quel comune dalle realtà urbane presenti nel medesimo contesto territoriale come potrebbe succedere nell’area costiera in conseguenza della messa in cantiere delle numerose proposte edificatorie presentate. Sono annotazioni queste finali non legate alla flessibilità, lo si riconosce, ma che sono doverose.
Francesco Manfredi Selvaggi645 Posts
Nato a Boiano (CB) nel 1956. Ha conseguito la Maturità Classica a Campobasso e poi la laurea in Architettura a Napoli nel 1980. Presso la medesima Università ha conseguito il Diploma di Perfezionamento in Storia dell’Arte Medievale e Moderna e il Diploma di Perfezionamento in Restauro dei Monumenti. È abilitato all’esercizio della professione di Architetto e all’insegnamento di Storia dell’Arte nei licei e Educazione Tecnica nelle scuole medie. Dal 1997 è Dirigente, con l’attribuzione di responsabilità nei servizi Beni Ambientali (19 anni), Protezione Civile, Urbanistica, Sismica, Ambiente. Ha avuto un ruolo attivo in associazioni ambientaliste quali Legambiente Molise, Italia Nostra sezione di Campobasso e Club Alpino Italiano Delegazione del Molise. Ha insegnato all’Università della Terza Età del Molise ed è stato membro del Consiglio di Amministrazione della Fondazione dell’Ordine degli Architetti di Campobasso, occupandosi all’interno dello stesso del progetto di Archivio dell’Architettura Contemporanea. È Giornalista Pubblicista e autore di articoli, saggi e del volume La Formazione Urbanistica di Campobasso. Le ultime pubblicazioni sono: «Le Politiche Ambientali nel Molise» (2011) e «Problemi di tutela ambientale in Molise» del 2014.
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