Migrazioni di ieri e di oggi e la storia dell’umanità a 116 anni dalla tragedia di Monongah
di Miriam Iacovantuono
Quando si parla di immigrazione o emigrazione a emergere sono i dati statistici. Quante persone arrivano e quanti, soprattutto giovani, decidono di lasciare la propria terra per andare a trovare lavoro altrove. Immigrazione ed emigrazione. Arrivi, per lo più per mare, e partenze. Speranze comuni e viaggi avvolti dal desiderio di un futuro diverso, migliore.
Le storie di emigrazione e immigrazione sono state scandite nel corso degli anni e ogni storia è legata a una ragione la stessa che, probabilmente, avevano i 350 minori morti 116 anni fa nella miniera di Fairmont Coal Company, a Monongah, nella Virginia Occidentale. Tra quelle persone, morte il 6 dicembre del 1907, c’erano 171 italiani, di cui 87 molisani. La comunità del Molise drammaticamente più colpita fu Duronia con 36 morti e con la vittima più giovane che aveva solo 12 anni, 20, invece furono le vittime di Frosolone, 12 di Torella del Sannio, Fossalto ne contò 8, Bagnoli del Trigno 3, Pietracatella 8 e Vastogirardi una sola vittima.
Oltre 100 anni fa si partiva con il desiderio di scrivere un futuro diverso per sé e per la propria famiglia. Ed erano gli uomini a partire per primi per trovare un lavoro, una casa e creare le condizioni agiate per poi accogliere i propri cari. L’America il posto migliore dove poterlo fare. Ed è questa la storia che abbiamo ascoltato nel tempo. È la storia dei nostri paesi, da dove molti sono andati via e pochi sono tornati.
Riavvolgendo il nastro che racconta la storia di oltre un secolo fa, l’immagine che si presenta davanti agli occhi è quella di persone, a volte anche bambini e ragazzi, che con pochi soldi in tasca e una valigia di cartone tra le mani si trovano su una nave dondolata per giorni dalle onde di un mare minacciato da vento e pioggia. Dopo un lungo viaggio, ancorati a quei sogni, come se li stingessero in un pugno per tutto il viaggio, attraversano un porto, che ormai li separa migliaia di chilometri dalla loro terra natìa, per ricominciare. Ed era questo il sogno dei minatori uccisi da una doppia esplosione in quella miniera americana, accomunati da un lavoro faticoso e dal desiderio forse un giorno di poter ritornare, dopo aver fatto fortuna e abbracciare i propri familiari lasciati in Italia.
Oggi invece non serve immaginare chi da terre lontane decide di arrivare in Italia. Le immagini le abbiamo ben visibili davanti ai nostri occhi e come quei minatori partiti oltre cento anni fa, i tanti che arrivano sulle coste italiane stringono nelle mani i loro sogni, sperando che le onde del mare che li culla per giorni e spesso troppo alte, non li facciano affogare in quelle acque che per molti, troppi, sono diventate una tomba.
Secondo gli ultimi dati del Ministero dell’Interno gli sbarchi di migranti al 5 dicembre 2023 sono stati 152.882, aumentando rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. E troppo spesso si guarda ai numeri senza considerare le ragioni. Infatti, come documentato da Save the Children, le ragioni che spingono queste persone a lasciare il proprio paese sono reali come i conflitti tra Stati o i conflitti interni a uno Stato, ma anche i gravi squilibri economici tra differenti aree geografiche, o la presenza di sistemi antidemocratici fonte di persecuzioni e spregio dei diritti umani. E ancora i cambiamenti del clima o del territorio, le catastrofi naturali e poi la spinta dell’essere umano ad assicurare un’accettabile sopravvivenza a sé e ai propri cari. Ecco una vita più accettabile.
Nel libro “Lacrime di sale” Pietro Bartolo racconta la storia di uomini, donne e bambini che per oltre 25 anni ha accolto e curato a Lampedusa, e racconta le ferite del corpo e dell’anima di chi arriva vivo e spera in una vita più accettabile, ma racconta anche le sue sensazioni, le sue emozioni e la sua rabbia quando vede corpi esanimi in quei sacchi neri lungo la costa lampedusana.
Gli emigranti italiani e gli stessi che persero la vita nella miniera di Monongah come gli immigrati che arrivano o sono arrivati a Lampedusa o a Cutro sono accomunati dalla sofferenza e dal distacco.
Il 6 dicembre si celebra la giornata dei Molisani nel Mondo e coincide proprio con la tragedia di Monongah, ma potrebbe essere un giorno per riflettere sul fenomeno delle migrazioni, di ieri e di oggi. Un’occasione per riflettere su cosa spinge tante persone a emigrare e pensare non solo ai numeri, ma alle ragioni reali. Riflettere su cosa fare per evitare che il mare continui a essere la tomba di chi si mette su una barca di fortuna per raggiungere il Mediterraneo. Un’occasione per ascoltare e progettare percorsi di inclusione e di accoglienza.
Il modello Riace proprio per le politiche di inclusione ha funzionato e ha consentito a tanti di avere una vita migliore e ha permesso a un territorio di rinascere mantenendo in vita servizi di primaria importanza. E c’è un legame anche con quelle storie di emigranti italiani andati oltre oceano lasciando case vuote e diventate poi l’abitazione dei nuovi residenti. Così come è successo a Castel del Giudice in provincia di Isernia dove famiglie straniere sono diventate parte integrante della comunità.
Ed è questa la strada da percorrere, il progetto da intraprendere facendo memoria delle storie di migrazione e immigrazione che sono state scritte nel tempo, perché la storia dell’emigrazione è la storia dell’umanità, oggi come ieri e per questo bisogna guardare al futuro con le radici nella memoria. E ragionando sulle esigenze delle comunità locali dei piccoli paesi, afflitti dall’abbandono e dallo spopolamento, promuovendo progetti di inclusione e accoglienza per i nuovi residenti anche questi luoghi possono rinascere. Bisognerebbe guardare l’altro come guardiamo noi stessi e il filo rosso lo possiamo leggere in ciò che diceva l’anarchico Kropotkin “se noi riuscissimo a metterci nei panni degli altri, tanto da sentire gli altri come se fossimo noi, non avremmo più bisogno di regole, di leggi, e non faremmo mai qualcosa contro qualcun altro che sentiremmo come fossimo noi”.
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