L’ospedale in cerca di identità architettonica

di Francesco Manfredi-Selvaggi

L’evoluzione della forma di queste strutture è completamente cambiata negli ultimi 50 anni. È da prevedere ancora in futuro, altrettanto radicali cambiamenti (ph. Il “vecchio” Cardarelli, dal Catalogo dei Beni Culturali del Ministero della Cultura)

Per parlare dell’evoluzione del tipo architettonico connesso alla funzione ospedaliera bisogna usare esempi tratti da altre realtà, in particolare le grandi città, in quanto l’esperienza molisana in questo settore è molto limitata, gli ospedali del passato non distinguendosi come edifici dalle altre strutture pubbliche. Invece nelle principali aree urbane si era affermato nel XIX secolo la tipologia dell’ospedale a padiglioni, vedi il S. Camillo a Roma, la quale trova la sua ragione d’essere nella necessità di tenere separati i malati affetti da patologie differenti. Dunque, un blocco edilizio per ciascuna malattia.

A partire dalla fine dell’800 questa organizzazione della struttura ospedaliera cominciò a sparire. Le ricerche condotte da Pasteur sui fattori di contagio, permisero di fare avanzare le conoscenze in termini di infezioni e di predisporre antidoti e ciò rese obsoleta la suddivisione dell’ospedale in fabbricati distinti, chiamati padiglioni ricordando, in qualche modo, caratteristici manufatti da giardino immersi nel verde che anche qui li circonda. A questo proposito si fa una breve digressione per evidenziare che per un organismo di cura è essenziale la collocazione in un ambiente salubre, magari panoramico come si può riscontrare, in particolare, nel caso del Cardarelli; lo sviluppo in verticale di tale nosocomio, considerato, peraltro, di forte impatto visivo per la sua altezza, non è certo motivato da una volontà di sfruttamento intensivo del sito, a differenza dei grattacieli, trattandosi di un ampio appezzamento di terreno, quello in cui ricade, di proprietà del Comune (un tempo boscato).

La sua posizione in altura permette una migliore circolazione dell’aria e il fatto di essere isolato, senza case all’intorno perché ai limiti del Bosco Faete (lo stesso della Cattolica) ha dato la possibilità di costruire un ampliamento che ospita la Facoltà di Medicina. Sempre questa disponibilità di suolo ha permesso di realizzare un eliporto che altrove viene posizionato sulla copertura di Pronto Soccorso (quando esso ha, è ovvio, il tetto piano). È ora di ritornare all’argomento iniziale, la questione tipologica. La crescita in alto degli ospedali è conseguente all’affermazione della tecnologia degli elevatori meccanici.

Si è proceduto, perciò, alla sovrapposizione, per certi versi, dei padiglioni che erano affiancati tra loro l’uno sull’altro; oltre che affiancati essi erano anche distanziati reciprocamente e il posizionamento in vari livelli dell’ospedale riproduce tale separazione fino al massimo di 7 piani perché tanti ne ammetteva la normativa che era in vigore nel periodo in cui sono stati edificati i nuovi organismi ospedalieri molisani. Questa norma che risale al 1939 è stata modificata solo negli anni 90. I piani superiori sono destinati alle degenze mentre i servizi generali insieme alle sale operatorie agli ambulatori e ai laboratori di diagnostica sono nettamente distaccate da queste trovando collocazione in una sorta di piastra alta, in genere 2 piani.

Tramite gli ascensori, raggruppati insieme o posti in punti della struttura diversi, i reparti dei degenti e il resto delle attività sono in facile comunicazione. Si è usato a caso questo vocabolo che appartiene al dizionario dell’architettura in quanto piastra sta ad identificare un volume abbastanza indefinito dove possono essere ospitate destinazioni d’uso le più variegate. Ha qualcosa in comune con il contenitore, altra parola del linguaggio architettonico contemporaneo che viene utilizzato quando si parla dei capannoni i quali sono funzionalmente molto versatili potendo accogliere, il medesimo capannone, prima un garage, mettiamo, e poi un negozio.

Tanto per la piastra quanto per il contenitore si pensa subito, a involucri che non determinano in modo univoco la distribuzione interna la quale, dunque, è intercambiabile. D’altro canto un ospedale, a prescindere dalle sue dimensioni, è un organismo complesso sia per il numero di funzioni che comprende, sia per la molteplicità delle relazioni che si instaurano fra di esse; tale peculiarità rende davvero difficile una progettazione che punti ad un disegno particolareggiato con l’obiettivo di minimizzare i percorsi, dimensionare esattamente i vani, ecc… Tutto ciò si complica ulteriormente se oltre il compito di ricovero e cura degli assistiti esso abbia pure il ruolo di centro di ricerca scientifico e di luogo di formazione universitaria (l’Università del Molise si appoggia al Cardarelli).

Bisogna, poi, tener conto, sempre in riferimento alla piastra, che se gli spazi per le degenze rimangono sempre simili (per lo meno da quando si è passati dalla pre-bellica corsia aperta alla camera con 4 o 6 letti), quelli per lo svolgimento delle diagnosi, per le operazioni chirurgiche e così via possono essere soggetti a mutazioni, anche assai veloci, a seguito dell’acquisto di un macchinario o di modifiche organizzative. Va bene pure che la superficie occupata dalla piastra non sia stata a suo tempo, al momento in cui è sorto il nosocomio, calcolata in modo esatto rispetto alle esigenze di spazio di quell’epoca, oltre 30 anni fa per tutte e 3 le principali strutture ospedaliere della regione, anche qualora sia stata sovradimensionata perché le prestazioni per le diagnosi, di chirurgia e di visita specialistica hanno aumentato il loro peso nell’economia generale dell’ospedale.

Si è ridimensionato il carico connesso alle degenze le quali occupavano in precedenza oltre la metà della grandezza dell’ospedale e che adesso rappresentano solo il 40%. Prima era semplicemente il posto letto il parametro da impiegare per dimensionare un ospedale, un numero che includeva tutto il resto, cioè i servizi annessi compresi quelli della gestione amministrativa dell’apparato sanitario tanto che esso si incrementa se nell’istituto ospedaliero si fa anche ricerca passando da mq. 70 a posto letto fino a 120 o 150 se vi si svolge all’interno attività di ricerca. Incidono assai nella determinazione della configurazione spaziale di un nosocomio oggi dati che non si presentano nella forma di superfici bensì, per quanto riguarda il day hospital, in presenze giornaliere di pazienti e ancora per giorno le visite specialistiche erogate e gli esami diagnostici eseguiti. L’ospedale è pure questo.

 

Francesco Manfredi Selvaggi645 Posts

Nato a Boiano (CB) nel 1956. Ha conseguito la Maturità Classica a Campobasso e poi la laurea in Architettura a Napoli nel 1980. Presso la medesima Università ha conseguito il Diploma di Perfezionamento in Storia dell’Arte Medievale e Moderna e il Diploma di Perfezionamento in Restauro dei Monumenti. È abilitato all’esercizio della professione di Architetto e all’insegnamento di Storia dell’Arte nei licei e Educazione Tecnica nelle scuole medie. Dal 1997 è Dirigente, con l’attribuzione di responsabilità nei servizi Beni Ambientali (19 anni), Protezione Civile, Urbanistica, Sismica, Ambiente. Ha avuto un ruolo attivo in associazioni ambientaliste quali Legambiente Molise, Italia Nostra sezione di Campobasso e Club Alpino Italiano Delegazione del Molise. Ha insegnato all’Università della Terza Età del Molise ed è stato membro del Consiglio di Amministrazione della Fondazione dell’Ordine degli Architetti di Campobasso, occupandosi all’interno dello stesso del progetto di Archivio dell’Architettura Contemporanea. È Giornalista Pubblicista e autore di articoli, saggi e del volume La Formazione Urbanistica di Campobasso. Le ultime pubblicazioni sono: «Le Politiche Ambientali nel Molise» (2011) e «Problemi di tutela ambientale in Molise» del 2014.

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