Per un ospedale umano

di Francesco Manfredi-Selvaggi

L’umanizzazione è la nuova frontiera delle strutture sanitarie anche nel campo della definizione degli spazi architettonici (ph. Il “vecchio ospedale” Cardarelli con 2 immagini del medico cui è intitolato)

L’umanizzazione di un ospedale passa, oltre che dalla attenzione al paziente anche sotto forma di supporto psicologico, dal rendere gli spazi a misura d’uomo. In un nosocomio sembra che ogni cosa debba essere governata dalle leggi della funzionalità, quasi fosse, per dirla con Le Courbusier, una macchina per curare, trascurando gli aspetti relazionali. Nel progetto di una struttura sanitaria per un recupero completo del malato bisogna pure badare al confort spaziale, evitando che essa sia percepita quale ambiente alienante. Vediamo di seguito alcuni punti critici nella distribuzione interna sui quali occorre porre attenzione, quella attenzione che si deve avere per il ricoverato non solo come degente, ma pure come persona nella sua interezza. Il primo è rappresentato dai corridoi.

Essi spesso sono sentiti come semplici canali privi di un’identità propria, con l’unico scopo di collegare determinati componenti dell’ospedale. Invece i corridoi possono avere delle valenze in sé, possedere un valore autonomo. Lungo di essi i visitatori in entrata e in uscita dall’ospedale, così come gli utenti degli ambulatori è facile che si incontrino specie se il corridoio, come quello principale del Cardarelli a Campobasso, è molto lungo. Vi è, a volte, una gerarchizzazione nella maglia dei percorsi con un certo numero di punti di connessione con le diramazioni secondarie: è in prossimità di questa sorta di crocevia che andrebbero previste delle sedute, permettendo ai conoscenti di fermarsi per fare qualche chiacchiera.

È più difficile imbattersi nel personale che lì lavora sia perché ha percorrenze riservate sia in quanto conosce delle scorciatoie. I corridoi, poi, non devono essere dei camminamenti “morti”, bensì “viventi” diventandoli tali se sono esposte alle pareti, racchiuse in bacheche, prodotti commerciali in vendita presso ditte locali. Non è detto, però, che a rendere attraente lo spostamento siano solo merci, potendosi invece lungo le mura laterali allestire mostre di vario genere (immagini fotografiche, opere d’arte, ecc.). L’architetto entra in campo per rendere interessante il cammino, ma sarebbe sufficiente un buon decoratore d’interni che sviluppi, attraverso un’opportuna colorazione parietale, un sistema di orientamento per i fruitori del nosocomio.

Fu l’architettura rinascimentale ad adottare i principi della prospettiva nel definire lo spazio al cui centro c’era l’uomo, il quale uomo per controllare il mondo introdusse le proporzioni. Tutto venne tradotto in moduli: attraverso i multipli del modulo-base si riesce a calcolare la distanza e così se riprodotti sul pavimento si è in grado di conoscere la lunghezza del corridoio permettendo di sentirsi padroni del luogo. Siamo partiti, in senso letterale e non solo metaforico, dal corridoio tramite il quale giungiamo alle camere di degenza. Esse sono singole o a più letti. Dal punto di vista che abbiamo scelto, quello dell’umanizzazione, è da dire che quelle ad un solo posto letto favoriscono la riservatezza e in qualche nosocomio dentro queste stanze è consentito ospitare un parente che assiste l’ammalato durante la notte.

Ciò va a favore, di certo, dell’umanizzazione la quale è favorita anche dalla situazione opposta, quella della camera a 2, 4 o 6 letti. Infatti, in tali stanze si vengono a creare dei legami tra i vicini di letto e tra i loro familiari che vengono a far visita. Le ragioni che presiedevano fino ad ora la decisione su quale taglio di stanza adottare era di un altro tipo, legate a motivazioni igieniche in base alle quali le camere singole sono adatte per i ricoverati particolarmente vulnerabili alle infezioni che potrebbero essere trasmesse da colui che sta nel letto affianco o dai parenti che vanno a visitarlo. Le stanze ampie venivano preferite in passato perché, data la sua grandezza, vi è un maggior ricambio d’aria che allontana i germi.

L’igiene ha da sempre prevalso su ogni altra istanza nelle determinazioni da assumere sulla configurazione dei locali ospedalieri scendendo fino al dettaglio dell’arredamento e dei materiali di rivestimento interno. Oggi parliamo di umanizzazione, un tema del tutto trascurato in precedenza. Gli arredi delle stanze da letto devono essere ridotti all’osso tanto per non intralciare il transito dei sanitari quanto per scongiurare il pericolo che al di sotto dei mobili si annidi la sporcizia. L’assistito può portare con sé unicamente gli effetti personali essenziali e nulla più. L’esigenza di igienicità ha portato pure ad un trattamento delle superfici, quelle in piano e quelle in elevato, finalizzato ad assicurarne la facilità di pulizia, con la rinunzia ad attribuire loro qualità semantiche come negli altri spazi di vita.

Alle pareti si applicano vernici a smalto (per fortuna non il marmo che rimanda alle macellerie o alle pescherie) che sono lavabili; il colore è solitamente il bianco al quale si associa l’idea di pulito oppure una tinta chiara che aumenta la luminosità dell’ambiente con la luce che rappresenta anch’essa il nitore. Il pavimento non può avere alcun tipo di disegno in quanto è necessario che esso sia continuo e dunque senza connessure in cui può annidarsi lo sporco se non i batteri. Sempre per impedire l’addensarsi della polvere gli angoli fra i lati convergenti c’è bisogno che siano smussati, arrotondati. Nelle camere di ricovero l’igiene e l’umanizzazione vanno a braccetto per quanto riguarda le finestre, fondamentali per la penetrazione dell’aria e del sole e nello stesso tempo per il benessere psicologico dell’ammalato. Attraverso le aperture si può osservare la natura “naturans” e, quando non c’è, “naturata”, cioè frutto di artificio come potrebbe essere la creazione di un piacevole specchio d’acqua all’esterno, visibile dall’interno. Le bucature sono lo strumento per mettere in rapporto ciò che è dentro con ciò che è fuori con grande beneficio per il ricoverato.

Francesco Manfredi Selvaggi637 Posts

Nato a Boiano (CB) nel 1956. Ha conseguito la Maturità Classica a Campobasso e poi la laurea in Architettura a Napoli nel 1980. Presso la medesima Università ha conseguito il Diploma di Perfezionamento in Storia dell’Arte Medievale e Moderna e il Diploma di Perfezionamento in Restauro dei Monumenti. È abilitato all’esercizio della professione di Architetto e all’insegnamento di Storia dell’Arte nei licei e Educazione Tecnica nelle scuole medie. Dal 1997 è Dirigente, con l’attribuzione di responsabilità nei servizi Beni Ambientali (19 anni), Protezione Civile, Urbanistica, Sismica, Ambiente. Ha avuto un ruolo attivo in associazioni ambientaliste quali Legambiente Molise, Italia Nostra sezione di Campobasso e Club Alpino Italiano Delegazione del Molise. Ha insegnato all’Università della Terza Età del Molise ed è stato membro del Consiglio di Amministrazione della Fondazione dell’Ordine degli Architetti di Campobasso, occupandosi all’interno dello stesso del progetto di Archivio dell’Architettura Contemporanea. È Giornalista Pubblicista e autore di articoli, saggi e del volume La Formazione Urbanistica di Campobasso. Le ultime pubblicazioni sono: «Le Politiche Ambientali nel Molise» (2011) e «Problemi di tutela ambientale in Molise» del 2014.

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