I toponimi come strumento per la comprensione dei luoghi: il contributo di Pasquale Maselli
di Francesco Manfredi-Selvaggi
Per i tipi della Palladino Editore è stato pubblicato il libro di Pasquale Maselli «San Massimo, Toponimi e Microtoponimi» frutto di una ricerca condotta nell’ambito del gruppo di studio «Terre alte» del Club Alpino Italiano. In esso si affronta un tema, quello dei toponimi, finora trascurato negli studi sul territorio, eppure molto utile nella lettura dei luoghi. Proviamo a cogliere alcuni caratteri salienti della ricerca che ha riguardato il comprensorio sanmassimese, ma che ha trattato pure questioni più generali (Foto dell’autore purtroppo scomparso)
Partiamo da questi toponimi che possono a giusto titolo rientrare nella categoria dei beni culturali immateriali, per i quali l’Unesco, l’organizzazione internazionale preposta alla protezione delle emergenze storiche, sta predisponendo un’apposita Lista, accanto a quella dei beni culturali materiali in cui rientrano i monumenti architettonici. In elenco è già preposto l’inserimento della transumanza, quale fenomeno che caratterizza l’antica civiltà pastorale, anch’esso di tipo immateriale, mentre i tratturi sono dei fatti fisici e, come tali, più vicini ai manufatti antropici presi in considerazione nella tradizionale Lista del Patrimonio dell’Umanità.
Seppure, magari, i toponimi non riusciranno a rientrare nel Patrimonio dell’Unesco perché non gli viene riconosciuta una notevole rilevanza, alla stregua delle «7 meraviglie del mondo» da cui si è partiti nel compilare siffatta Lista, rimangono pur sempre dei segni importanti della società del passato. Pertanto, essi vanno tutelati ed è ciò a cui mira il Club Alpino Italiano con il suo gruppo di studio «I segni dell’uomo nelle terre alte» operante a livello nazionale. Il lavoro di Pasquale Maselli, ristretto al territorio di San Massimo, ma che si offre come esempio metodologico per lo studio di questa tematica negli altri comuni, tende proprio a questo.
Si vuole contrastare la semplificazione dei nomi dei luoghi che è in corso oggi, come una allarmante riduzione dei toponimi. Tale perdita degli antichi nomi è dovuta, in primo luogo, dalle nostre parti, all’abbandono del territorio rurale che è diventato sempre più marginale mentre nelle epoche trascorse esso era il centro della vita di un popolo ancora dedito prevalentemente all’agricoltura. È la montagna che ha subito il processo di decremento demografico maggiore e pure quando l’uomo è rimasto, è il caso di S. Massimo in cui ricade Campitello, egli non è più l’abitante di prima per via della modernizzazione in atto che ha portato ad una trasformazione della cultura originaria con l’introduzione di nuovi stili di vita.
Accanto a ciò si registra il cambiamento della toponomastica tradizionale legata ad esigenze di promozione turistica, come sul Matese in comune di S. Massimo il Colle Bellavista che in precedenza era detto Muso Peluso, oppure la sua sostituzione con nuove denominazioni legate a personaggi in vista) Colle Isabella a Boiano dal nome della madre del fondatore degli Scarponi del Matese, una gloriosa associazione alpinistica operante durante l’epoca fascista). Anche quando i toponimi rimangono essi, a volte, vengono modificati se non stravolti e, perciò, l’opera di Maselli pure per questo aspetto è meritoria in quanto ripristina la pronuncia autentica.
Il suo lavoro si basa su numerose fonti, da quelle orali (cioè i termini trasmessi a voce dalle generazioni che ci hanno preceduto) agli atti notarili alle mappe custodite negli archivi al Catasto Onciario che, risalente alla metà del XVIII secolo, è di carattere descrittivo e non grafico come quello attuale. Minori informazioni, sembra paradossale, si possono desumere dalla cartografia vigente dove si riscontra, alle varie scale, con frequenza una banalizzazione dei nomi dei posti rappresentati. Una ricerca sui toponimi richiede competenze plurime ed, innanzitutto, in materia di glottologia poiché solo interpretando la radice dei nomi si può giungere alla loro corretta etimologia.
Sicuramente non ci si può avvicinare alla toponimia per dar sfogo ad esigenze nostalgiche, né essa può essere considerata un vezzo umanistico, quasi un esercizio linguistico per dimostrare la propria bravura nella conoscenza delle lingue morte. Se è vero che non è valido un approccio esclusivamente toponomastico, ma è un’affermazione scontata nell’indagine territoriale, neanche è condivisibile ritenere che essa è complementare a ricerche geografiche, storiche, ecc. situata in posizione secondaria, in coda agli altri studi. Invece, la toponomastica è un valido strumento per l’interpretazione delle varie parti del territorio; in particolare, si ritiene utile l’indagine sui minotoponimi, un campo di cui si occupa molto Pasquale Maselli nel suo libro, perché consente una ricognizione capillare dei luoghi.
Essa, nel volume in questione, è divisa in fasce altimetriche che vanno dalla pianura, quella formata dal torrente Callora, ai rilievi collinari fino alle cime più alte della montagna matesina. Insieme all’indice composto in modo alfabetico, vi è, nel testo, una elencazione dei toponimi legata alle quote. È interessante la loro distribuzione nel territorio, il loro infittirsi nelle parti più frequentate che sono quelle pedemontane dove si pratica l’agricoltura, la dispersione dei toponimi che segue criteri non facilmente decifrabili, ma anche la loro variazione nel tempo che l’autore segue dal XVI secolo, le fonti più remote, ai nostri giorni.
In conclusione, va evidenziato che la spinta allo studio della toponomastica nell’ambito delle ricerche sulla storia locale (Maselli ha scritto un saggio sulla storia di S. Massimo pubblicato da Nocera) è data, di certo, da una più facile disponibilità delle fonti. Gli storici locali in assenza di documenti antichi, che per le comunità locali sono sempre pochi se si eccettuano gli Statuti comunali, cercano di leggere le società del passato tramite possibili tracce materiali (in questo caso immateriali) così come fanno gli archeologi che però utilizzano quali indizi i resti delle costruzioni. Tra queste vi è la toponomastica che insieme alla cartografia storica offre spunti di analisi interessanti. Inoltre i toponimi hanno preso piede nella “microstoria” (quella degli Annales per intenderci) dove le fonti utilizzate sono le più disparate, dalle liste elettorali ai censimenti, dal movimento delle popolazioni ai dati sul deposito bancario. Siamo di fronte, ormai, a tecniche di ricerca collaudate che non sono in concorrenza fra di loro ed, anzi, è dalla loro sinergia che può venir fuori una ricostruzione soddisfacente della civiltà dei secoli che abbiamo alle spalle.
Francesco Manfredi Selvaggi645 Posts
Nato a Boiano (CB) nel 1956. Ha conseguito la Maturità Classica a Campobasso e poi la laurea in Architettura a Napoli nel 1980. Presso la medesima Università ha conseguito il Diploma di Perfezionamento in Storia dell’Arte Medievale e Moderna e il Diploma di Perfezionamento in Restauro dei Monumenti. È abilitato all’esercizio della professione di Architetto e all’insegnamento di Storia dell’Arte nei licei e Educazione Tecnica nelle scuole medie. Dal 1997 è Dirigente, con l’attribuzione di responsabilità nei servizi Beni Ambientali (19 anni), Protezione Civile, Urbanistica, Sismica, Ambiente. Ha avuto un ruolo attivo in associazioni ambientaliste quali Legambiente Molise, Italia Nostra sezione di Campobasso e Club Alpino Italiano Delegazione del Molise. Ha insegnato all’Università della Terza Età del Molise ed è stato membro del Consiglio di Amministrazione della Fondazione dell’Ordine degli Architetti di Campobasso, occupandosi all’interno dello stesso del progetto di Archivio dell’Architettura Contemporanea. È Giornalista Pubblicista e autore di articoli, saggi e del volume La Formazione Urbanistica di Campobasso. Le ultime pubblicazioni sono: «Le Politiche Ambientali nel Molise» (2011) e «Problemi di tutela ambientale in Molise» del 2014.
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