Spopolamento definitivo o momentaneo o ciclico o parziale

di Francesco Manfredi-Selvaggi

L’emigrazione, ma anche il nomadismo, ma anche la transumanza, un confronto tra questi tre tipi di spostamento per mettere in risalto, attraverso la comparazione, la peculiarità della prima. Un viaggio senza ritorno, un viaggio periodico, un viaggio solo di parte della popolazione. Si tratta di questioni antropologiche e non solo economiche legate alla ricerca di lavoro (Ph. F. Morgillo-Immagine di un pezzo di un agglomerato insediativo tradizionale)

Lo spopolamento di un borgo può essere definitivo o momentaneo. Per quanto riguarda questa seconda tipologia di svuotamento del borgo si cita, interessa una parte del Molise oltre che dell’Abruzzo, la perdita di abitanti temporanea, stagionale, legata alla transumanza. Non solo di durata temporale limitata, ma anche parziale, non totale, perché riguarda solo la componente maschile della popolazione che è dedita alla pastorizia transumante. Le donne rimangono a casa non nel senso che si è abituati a intendere che la componente femminile si debba occupare esclusivamente delle faccende domestiche poiché le signore rimanendo in paese sono chiamate a svolgere non solo i lavori casalinghi bensì hanno pure il compito di effettuare quelle lavorazioni agricole, dunque uscire di casa, che è necessario siano eseguite durante il semestre in cui gli uomini stanno nel Tavoliere con le greggi.

I padri partono, le madri con i figli minori no, permangono nei comuni altomolisani. Il depauperamento demografico connesso alla transumanza è ciclico, altro aggettivo che forse meglio di quelli usati sopra, cioè momentaneo e parziale, descrive questo fenomeno di decremento della popolazione. Ciclico è qualcosa di regolato, l’opposto di indisciplinato per quel che ci interessa, che si replica ogni anno da millenni, ben diverso, per capirci, dal nomadismo il quale, invece, assomiglia all’emigrazione che così duramente ha colpito e continua a colpire la nostra regione. Si tratta, infatti, di spostamenti di persone senza ritorno, cioè che abbandonano per sempre il luogo in cui stanno, anche se gli emigrati, a differenza dei nomadi, coltivano il sogno di prima o poi, rientrare nel comune di origine.

Vale la pena, poi, sottolineare una ulteriore differenza tra il nomade e l’emigrante la quale è che il primo si muove in gruppo, tutta la tribù, al contrario del secondo che lascia il centro natio per fatti suoi ovverosia individualmente o, tutt’al più, con il proprio nucleo famigliare. Abbiamo detto poco fa che il nomadismo è simile all’emigrazione, ma avremmo dovuto aggiungere in questa frase l’espressione “per certi versi”; li distingue anche il fatto, proseguendo nella ricerca delle cose dissimili, che i nomadi i quali abbiamo visto muoversi raggruppati, in gruppo, in gruppo raggiungono la destinazione che quindi è la medesima per tutti i membri del raggruppamento, del gruppo, agli antipodi, perciò, di ciò che avviene con gli emigranti i quali non hanno un punto di approdo unico.

I transumanti sanno bene qual è la conclusione del loro cammino la quale è invariabilmente il Tavoliere. Detto in maniera diversa, non esiste per i nomadi una “terra promessa”, va bene qualunque area purché dotata di risorse sufficienti per la loro sopravvivenza, mentre gli emigranti sono suggestionati dall’American Dream il quale mito spinge loro a mettersi in viaggio. Per l’emigrazione è lecito parlare di diaspora il che significa dissolvimento della comunità e a tal proposito è opportuno far rilevare quanto sia immane lo sforzo di cui da decenni l’amministrazione regionale e quelle comunali si fanno carico di riannodare i rapporti con questa gente avente radici molisane dispersa in molteplici angoli del mondo con la speranza che essa possa contribuire alla rifunzionalizzazione dei borghi natii in stato di abbandono in senso turistico, meta se non di vacanza perlomeno di visita da parte dei discendenti degli emigrati.

Di nuovo il confronto con i nomadi: i loro villaggi sono “costituzionalmente” precari poiché essi, data la permanenza per un tempo limitato in quel sito, non sono interessati a realizzare opere durature, viceversa i paesi di partenza dei flussi migratori sono stati concepiti quali insediamenti stabili, fissi, perenni. La migrazione della popolazione produce, anche in questo non ha nulla in comune con il nomadismo, il deterioramento progressivo del patrimonio edilizio tradizionale rimasto inoccupato, il quale è ovunque nel Molise di grande pregio, niente a che vedere con le capanne se non le tende degli accampamenti dei nomadi.

Nella esposizione condotta si è usato un mucchio di dicotomie, un artificio retorico che si usa per far risaltare le diversità tra le realtà, problematiche ecc. che si vanno a porre in comparazione e adesso ricapitoliamo tali coppie verbali: per quanto riguarda lo spopolamento momentaneo/definitivo e pure totale/parziale e ancora ciclico/una tantum mentre per gli spostamenti della popolazione le opposizioni regolato/indisciplinato, nomadismo/emigrazione. Una serie di dualità, che comunque non è completa, non è sufficiente per far risaltare le peculiarità dell’enorme problema della spoliazione di residenti subita a partire da un secolo fa dai nuclei abitativi nostrani, non conta se di piccola, media o grande taglia, ne manca una tra quelle sostanziali che è la contrapposizione centrale/periferico.

Fino al XIX secolo il centro era costituito da quello che oggi è denominato centro storico e periferia era l’embrionale sviluppo urbanistico fuori le mura. In seguito la situazione si è ribaltata, è nella zona di espansione che vive la maggioranza dei residenti. La periferia diventa così il centro. La si potrebbe definire addirittura una migrazione a km 0 poiché la cittadinanza si trasferisce a breve distanza dall’agglomerato preesistente. Il chilometraggio aumenta quando diventa consistente il trend delle persone che dagli aggregati di età medioevale arroccati sul colle scende a valle; allora si è di fronte a “paesi doppi” con frazioni accresciute di molto che conservano nel nome il nome del nucleo originario con l’aggiunta dell’aggettivo “bassa”, vedi Roccaravindola Bassa, Rocchetta al V. Bassa e così via. Una emigrazione a cortissimo raggio. Ciò che tiene vivo il legame tra il nuovo e il vecchio paese sono i valori simbolici custoditi in seno all’abitato storico, prendi la Chiesa Madre con la statua del Santo Protettore.

Francesco Manfredi Selvaggi645 Posts

Nato a Boiano (CB) nel 1956. Ha conseguito la Maturità Classica a Campobasso e poi la laurea in Architettura a Napoli nel 1980. Presso la medesima Università ha conseguito il Diploma di Perfezionamento in Storia dell’Arte Medievale e Moderna e il Diploma di Perfezionamento in Restauro dei Monumenti. È abilitato all’esercizio della professione di Architetto e all’insegnamento di Storia dell’Arte nei licei e Educazione Tecnica nelle scuole medie. Dal 1997 è Dirigente, con l’attribuzione di responsabilità nei servizi Beni Ambientali (19 anni), Protezione Civile, Urbanistica, Sismica, Ambiente. Ha avuto un ruolo attivo in associazioni ambientaliste quali Legambiente Molise, Italia Nostra sezione di Campobasso e Club Alpino Italiano Delegazione del Molise. Ha insegnato all’Università della Terza Età del Molise ed è stato membro del Consiglio di Amministrazione della Fondazione dell’Ordine degli Architetti di Campobasso, occupandosi all’interno dello stesso del progetto di Archivio dell’Architettura Contemporanea. È Giornalista Pubblicista e autore di articoli, saggi e del volume La Formazione Urbanistica di Campobasso. Le ultime pubblicazioni sono: «Le Politiche Ambientali nel Molise» (2011) e «Problemi di tutela ambientale in Molise» del 2014.

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