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di Giuseppe Tabasso

Musica e politica – Al Festival di Sanremo quasi tutti i cantanti si sono sentiti in dovere di appuntarsi medagliette di politologi da strapazzo alla fine dei loro brani. Fiorella Mannoia, di cui sono fan, si è limitata a un condivisibile “Restiamo umani”, invece Ghali, rapper tunisino nonché “italiano vero”, ha combinato un vero casino con quel suo avventato “stop al genocidio” applaudito dall’Ariston ma condannato dalla prevedibile reazione dell’ambasciatore di Israele in Italia.

Ve l’immaginate ai tempi di Fred Bongusto? Per carità la libertà di pensiero è sacrosanta, ma perché mai in tempi così terribili pare un appannaggio dei cantanti, con tanto di ritorni milionari? Sappiamo bene che da Verdi a Beethoven, da Mameli a Chopin, la musica, dalla classica alla lirica, dal gospel al blues sa buttarsi da sola in politica con i suoi “mood” subdoli o solari. Dunque, cari rapper e rocker, limitatevi a quel che sapete fare. La politicizzazione viene dopo e ci penserà caso mai il pubblico a interpretarla a suo modo.

Prendete ad esempio l’uso politico che si potrebbe fare di “I P’ ME, TU P’ TE” di Geolier, oppure di brani intramontabili come “Vengo anch’io, no tu no” (Jannacci), “Parole, parole” (Mina), “Attenti al lupo” (Paolo Ciani), “Rose rosse” (Massimo Ranieri) e magari “Senza una donna” (Zucchero Fornaciari) che andrebbe a pennello per sfottere il Governo della Regione Molise.

Cari nipoti – Si suol dire che i figli si amano e i nipoti si adorano. Dunque noi vecchiardi che li adoriamo dovremmo scendere in piazza contro i miliardi di debiti che scarichiamo sulle loro spalle e contro il surriscaldamento globale che non fa respirare a loro l’aria pulita che respiravamo noi da bambini.

L’età ci impedisce di scendere in piazza con trattori e forconi, ma una volta a Bologna gruppi di pensionati lo fecero con questo slogan: “Siamo pochi con le gambe buone, ma tanti con le idee giuste”. E tra le idee giuste c’è il Green Deal che Greta Thumberg, parlando all’Onu nel 2019, definì “un primo raggio di sole sulla nuova legislatura europea”. Poi però chiudendo con un: “Se fallirete non ve lo perdoneremo”. La legislatura è ormai morente, la resa dei conti vicina e a noi fragili Robin Hood della discendenza, rimane solo il tentativo di far leggere un comunicato ad Amadeus.

Adda venì Baffone – Tanti anni fa questo motto se lo inventarono i napoletani per dire che Baffone, cioè Stalin, avrebbe messo tutto a posto. Oggi negli Stati Uniti d’America, e perfino in Italia, molti credono che per mettere tutto a posto adda venì “Ciuffone”, cioè Trump. Per il politologo Larry Sabato, le elezioni americane si svolgono tra “un delinquente e un anziano in declino”, “tra senilità e follia”. Insomma due personaggi che non si rassegnano all’uscita di scena (fischi alle orecchie di Patriciello e Iorio).

Giuseppe Tabasso363 Posts

(Campobasso 1926) ha due figli, un nipotino e una moglie bojanese, sempre la stessa dal 1955. Da pianista dilettante formò una band con Fred Bongusto. A suo padre Lino, musicista, è dedicata una strada di Campobasso. Il Molise è la sua Heimat. “Abito a Roma - dice - ma vivo in Molise”. Laureato in lingua e letteratura inglese, è giornalista professionista dal 1964. Ha iniziato in vari quotidiani e periodici (Paese sera, La Repubblica d’Italia, Annabella, Gente, L’Europeo, Radiocorriere). Inviato di politica estera per il GR3 della RAI, ha lavorato a Strasburgo e Bruxelles, a New York presso la Rai Corporation e a Londra e Colonia per le sezioni italiane della BBC e della Deutschland Funk. Pubblicazioni: Il settimanale con Nello Ajello (Ediz. Accademia, Roma 1978); Facciamo un giornale (Edizioni Tuttoscuola, Roma 2001); Il Molise, che farne? (Ed. Cultura & Sport, Campobasso 1996); per le Edizioni Bene Comune; Post Scriptum, Prediche di un molisano inutile ( 2006); Gaetano Scardocchia, La vita e gli scritti di un grande giornalista (2008); Moliseskine (2016). In corso di pubblicazione Fare un giornale, diventare giornalisti, Manuale di giornalismo per studenti, insegnanti e apprendisti comunicatori.

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