Villaggi di 15 minuti
di Francesco Manfredi-Selvaggi
Si parla tanto di città di 15 minuti, tempo entro il quale il cittadino può raggiungere i vari servizi di quartiere. È un obiettivo che va perseguito anche per i piccoli comuni dove le attrezzature collettive vanno cercate a scala comprensoriale utilizzando i mezzi pubblici e non, ovviamente, a piedi (Cartolina d’epoca di S. Massimo)
Si parla di città di 15 minuti e forse è improprio quello che si sta per fare, cioè trasferire alcuni dei concetti che ispirano questa proposta anche ai piccoli comuni, ma noi ci proveremo. C’è qualcosa, qualcosa di sostanziale, che hanno in comune gli abitanti degli insediamenti maggiori e di quelli minori ed è l’esigenza di avere a portata di mano i servizi di utilità collettiva. A questo riguardo è evidente che siano più fortunati gli abitanti delle entità cittadine perché qui le attrezzature civiche sono accessibili con percorsi di lunghezza limitata, al contrario è penalizzato chi vive nei borghi per via dell’assenza all’interno di questi financo di alcune elementari funzioni urbane in tanti casi, prendi le scuole le quali vengono accorpate a scala comprensoriale.
Non si sono citati a caso gli istituti scolastici in quanto non per caso essi, le sedi dell’istruzione primaria e secondaria di I grado, costituiscono il punto focale, anche dal punto di vista topografico, delle Unità di Vicinato teorizzate dagli urbanisti del XX secolo le quali, in effetti, costituiscono dei quartieri a 15 minuti ante litteram. La differenza tra le zone urbane a 15 minuti e le Unità di Vicinato è che le prime sono da individuarsi in seno alle città esistenti, un riattamento della configurazione assunta dall’abitato, mentre le seconde sono da prevedersi nel momento della redazione del Piano Particolareggiato per gli ambiti di espansione residenziale, quindi per aree edificabili ancora “vergini”, ovverosia per le new town, città nuove.
I quartieri a 15 minuti sono da concepirsi dentro la trama urbanistica in essere pressoché cristallizzata, magari adottando le metodologie, di cui si sta cominciando a discutere concretamente, della “rigenerazione urbana”. La formula della città in un quarto d’ora non ha senso tanto per le realtà insediative grandi quanto per quelle piccole, è opportuno evidenziarlo, per quanto riguarda i servizi commerciali. Per via della situazione attuale di questo settore dominato dall’e-commerce i negozi di quartiere stanno perdendo ragion d’essere e con essi si perde la vivacità dei percorsi stradali su cui sono installati rendendo meno piacevole la frequentazione di tali luoghi, si sta pensando ai centri maggiori dove vi sono le cosiddette vie dello shopping.
Ci sono conseguenze sulla vita di quartiere per gli incontri che avvengono lungo tali strade tra persone intente a fare la spesa (purché non abbiano fretta), rappresentando così esse momenti di coesione sociale. È vero che con gli acquisti on line si risparmia e ciò è un beneficio significativo per le famiglie con reddito basso e, però, si sottraggono risorse economiche alla comunità traducendosi pure in diminuzione dei posti di lavoro, in primis degli addetti al commercio, a vantaggio di aziende internazionali le quali non restituiscono nulla al territorio, neanche in termini di fiscalità.
Dall’esplosione di tale fenomeno ne deriva comunque qualcosa di positivo, anche se al ribasso, che è il riequilibrio delle opportunità tra chi sta in un paese e chi invece vive in un’area cittadina, ambedue potendo usufruire alla stessa maniera della comodità di ricevere a casa i beni acquistati sulle piattaforme internet dedicate. Non è, pertanto, la presenza di negozi a spingere a trasferirsi in città, almeno questo! Certo, l’e-commerce non potrà mai sostituire la distribuzione al banco dei prodotti freschi, dalla carne da taglio all’ortofrutta. Si tende tanto al cibo a km. 0 sia per la garanzia di freschezza degli alimenti sia per ridurre i consumi di carburante e quindi le emissioni nocive in atmosfera prodotte dai furgoni che trasportano le merci e, ciononostante, non si fa molto per sostenere i generi alimentari del posto, vedi i ritardi nel rilancio del Mercato Coperto a Campobasso.
Non vi sono più entità urbane che si approvvigionano per i loro consumi alimentari con un’agricoltura a corto raggio; il rapporto diretto produttore-consumatore con la vendita, appunto, diretta da parte dell’agricoltore delle sue produzioni andrebbe favorito e anche questo rientra nell’ottica degli insediamenti a 15 minuti. L’autoconsumo, ad esempio degli ortaggi, è praticabile nelle case con giardino il quale ultimo non va visto solo quale spazio ricreativo bensì pure quale superficie produttiva: è una tipologia di lotto edilizio maggiormente praticabile nei centri < 5000 abitanti poiché nelle villette suburbane dei centri con popolazione > 5000 abitanti il giardino è piuttosto un giardinetto dato il superiore valore del terreno in tali centri.
È vantaggioso per quest’aspetto risiedere nei borghi piuttosto che in città e anche ciò favorisce la costituzione di un insediamento di 15 minuti. Gli spostamenti che vanno contenuti nell’arco del quarto d’ora non sono solamente quelli diretti verso i punti dell’abitato in cui si svolgono attività sociali, ricreative, culturali, amministrative, legate all’educazione dei ragazzi e così via poiché dovrebbero ricomprendere pure quelli che hanno quale destinazione i posti di lavoro. Lo si sarà capito, ora si vuole trattare il tema del lavoro pendolare.
È in tempi recenti che si afferma il pendolarismo, prima non era immaginabile per via delle difficoltà nelle comunicazioni. Vivere in una località e lavorare in un’altra oggi è abbastanza normale e tale condizione viene accettata abitualmente purché il tempo di trasporto non superi la mezz’ora per andare (e altrettanti, è ovvio, per tornare) molto di più dei 15 minuti della magica “ricetta” in argomento. Con il lockdown si è sperimentato lo smartworking una modalità lavorativa che andrebbe incentivata nell’ottica della città a 15 minuti, imponendo il ritorno degli impiegati negli uffici esclusivamente se essenziale per il funzionamento della macchina amministrativa.
Francesco Manfredi Selvaggi637 Posts
Nato a Boiano (CB) nel 1956. Ha conseguito la Maturità Classica a Campobasso e poi la laurea in Architettura a Napoli nel 1980. Presso la medesima Università ha conseguito il Diploma di Perfezionamento in Storia dell’Arte Medievale e Moderna e il Diploma di Perfezionamento in Restauro dei Monumenti. È abilitato all’esercizio della professione di Architetto e all’insegnamento di Storia dell’Arte nei licei e Educazione Tecnica nelle scuole medie. Dal 1997 è Dirigente, con l’attribuzione di responsabilità nei servizi Beni Ambientali (19 anni), Protezione Civile, Urbanistica, Sismica, Ambiente. Ha avuto un ruolo attivo in associazioni ambientaliste quali Legambiente Molise, Italia Nostra sezione di Campobasso e Club Alpino Italiano Delegazione del Molise. Ha insegnato all’Università della Terza Età del Molise ed è stato membro del Consiglio di Amministrazione della Fondazione dell’Ordine degli Architetti di Campobasso, occupandosi all’interno dello stesso del progetto di Archivio dell’Architettura Contemporanea. È Giornalista Pubblicista e autore di articoli, saggi e del volume La Formazione Urbanistica di Campobasso. Le ultime pubblicazioni sono: «Le Politiche Ambientali nel Molise» (2011) e «Problemi di tutela ambientale in Molise» del 2014.
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