Le mansarde da abitazioni per poveri ad abitazioni per ricchi

di Francesco Manfredi-Selvaggi

Quando camminiamo per strada non possiamo certo distinguere gli edifici in base alla loro pianta perché quella non la vediamo e perciò dobbiamo limitarci a vederne le facciate. Le pareti esterne ci comunicano molto di quel fabbricato attraverso la disposizione, forma e dimensione delle aperture e attraverso il materiale di rivestimento (Ph. Casa con piano sottotetto trasformato in mansarda in P.zza C. Battisti a Campobasso)

I palazzi signorili ottocenteschi presentano una differenziazione delle aperture salendo verso l’alto, mentre le abitazioni ordinarie, i caseggiati dove vive la gente comune, hanno disposizione e forma delle finestre identica ad ogni livello. Osservando una dimora aristocratica si coglie la presenza, per via delle maggiori dimensioni delle bucature e la maggiore altezza interpiano, di un “piano nobile”, il secondo livello, in cui si trovano i locali di rappresentanza con il resto degli ambienti giorno e al piano successivo le camere da letto. I livelli superiori sono destinati ad appartamenti ad affitto, mentre l’attico ospita, con le classiche forature aeroilluminanti ad occhiello o quadrate, il personale di servizio.

Tale immagine stereotipata ce la consegna un noto sceneggiato televisivo ambientato in una dimora dell’aristocrazia inglese. Vediamo ora i cambiamenti che ha subito nel tempo il palazzo. Al piano terraneo affiancata al portone vi era una serie di ingressi ai fondaci i quali da deposito generico o rimessaggio della carrozza si sono trasformati in negozi; le attività commerciali prediligono quale ubicazione la zona centrale dell’abitato perché l’ambito urbano più frequentato. La centralità è stata il fattore localizzativo che è alla base anche della scelta localizzativa del palazzo per ragioni di prestigio.

Successivamente, nel secolo successivo, successivamente all’”invenzione” dell’ascensore, le differenze tra i livelli del fabbricato si sono, manco a dirlo, livellate con la conseguenza che ora le aperture sono simili per tutti i piani. Semmai vi è una distinzione fra esse per quanto riguarda l’ultimo piano, il negletto piano sottotetto di un tempo. Qui, a volte, sono previste balconate in quanto a tale quota da terra le vedute si allargano e i balconi permettono di godere con più agio del panorama. Addirittura gli alloggi al livello terminale sono i più richiesti, il cosiddetto superattico cui è annesso spesso un terrazzo, status simbol per le persone facoltose.

In definitiva, se permane l’articolazione gerarchica fra i livelli dello stabile essa adesso è all’incontrario rispetto al passato, i piani più appetibili diventano quelli alti, non più quelli bassi. Tornando per un attimo al piano di campagna vediamo che è capovolto anche il modo di sentire di una volta in riguardo all’attacco a terra dell’immobile: la fascia basamentale in precedenza si mostrava compatta, a sottolinearlo è il frequente uso del bugnato e i massicci infissi a prova di scasso, oggigiorno, invece, alla base dei corpi di fabbrica vi sono le vetrine dei negozi e le vetrate rimandano all’idea di leggerezza. Ciò che distingue un edificio, ovviamente, non sono solamente le aperture, contano pure altre cose come le ornamentazioni sulle pareti, meno frequenti in età moderna, e il materiale stesso delle stesse se è a vista, se cioè non è intonacata.

La Banca d’Italia esibisce nei prospetti il mattone di cui è formata la muratura, il laterizio che è stato utilizzato è di ottima qualità non essendosi manifestate efflorescenze di sorta sulla superficie muraria; è da dire che l’uso di questo componente edile che ha quale materia prima l’argilla, rimandando ai modi costruttivi tradizionali (in verità più di altre aree geografiche che della nostra), attribuisce un tono “pittoresco” a questa sede istituzionale, l’amministrazione finanziaria, il quale per certi versi stempera l’aulicità conferita ad essa dall’adozione sui fronti di stilemi classicisti. Nel non distante Tribunale il muro perimetrale è formato da grossi conci lapidei intercalati da semicolonne fatte della stessa materia: qui l’effetto cercato è sicuramente la solidità che dalla struttura si trasferisce all’istituzione che ospita.

La pietra, si tratta di calcare, è facilmente pulibile dalle incrostazioni di smog e di polvere stradale, siamo nel centro città, ed è resistente al deterioramento dovuto agli agenti atmosferici; la durabilità è un messaggio che dal “contenitore”, il palazzo, si trasferisce al “contenuto”, la funzione giudiziaria. La pietra, adesso è il travertino, compare pure nella faccia principale dell’Auditorium di Isernia, ma qui non ha sicuramente finalità strutturali, le lastre sono disposte inclinate quasi a proteggere l’ingresso per cui non sono autoreggenti né tantomeno capaci di sostenere un peso, è la legge di gravità.

L’impiego del travertino evoca la formazione rocciosa su cui poggia il capoluogo pentro; sarebbe stato davvero d’effetto, lo si dice per inciso, se il travertino avesse rivestito anche le pareti interne del teatro la cui platea è stata scavata nel sottosuolo cittadino per cui nello scendere tale gradonata si sarebbe provata l’emozione di effettuare un percorso ipogeo, in qualche modo di penetrare dentro la crosta terrestre. È una intonacatura nonostante che nell’impasto dell’intonaco vi sia mischiato pietrisco il Terranova che riveste la Camera d Commercio a Campobasso.

Nella stessa città, siamo a via Leopardi, un lungo fabbricato residenziale ha i tompagni esterni coincidenti con ampie pannellature in calcestruzzo; tale scelta architettonica non appartiene al linguaggio del Brutalism in cui si ostenta il cemento a vista con rudezza, ovverosia in maniera brutale, perché qui i pannelli cementizi sono finemente lavorati in superficie, o meglio l’intradosso delle casseformi, le quali ne sono la controfaccia, in cui avviene la colata del calcestruzzo. Le case non si distinguono, di certo, solo per le facciate, la componente dell’immobile più riconoscibile dal di fuori perché conta, e molto, pure la planimetria e, in definitiva, la tipologia edilizia che le informa che però non è percepibile dall’esterno.

Francesco Manfredi Selvaggi633 Posts

Nato a Boiano (CB) nel 1956. Ha conseguito la Maturità Classica a Campobasso e poi la laurea in Architettura a Napoli nel 1980. Presso la medesima Università ha conseguito il Diploma di Perfezionamento in Storia dell’Arte Medievale e Moderna e il Diploma di Perfezionamento in Restauro dei Monumenti. È abilitato all’esercizio della professione di Architetto e all’insegnamento di Storia dell’Arte nei licei e Educazione Tecnica nelle scuole medie. Dal 1997 è Dirigente, con l’attribuzione di responsabilità nei servizi Beni Ambientali (19 anni), Protezione Civile, Urbanistica, Sismica, Ambiente. Ha avuto un ruolo attivo in associazioni ambientaliste quali Legambiente Molise, Italia Nostra sezione di Campobasso e Club Alpino Italiano Delegazione del Molise. Ha insegnato all’Università della Terza Età del Molise ed è stato membro del Consiglio di Amministrazione della Fondazione dell’Ordine degli Architetti di Campobasso, occupandosi all’interno dello stesso del progetto di Archivio dell’Architettura Contemporanea. È Giornalista Pubblicista e autore di articoli, saggi e del volume La Formazione Urbanistica di Campobasso. Le ultime pubblicazioni sono: «Le Politiche Ambientali nel Molise» (2011) e «Problemi di tutela ambientale in Molise» del 2014.

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