Varietà di paesaggi, varietà di paesi
di Francesco Manfredi-Selvaggi
La conformazione dei nuclei urbani dipende anche dalla conformazione del suolo la quale a sua volta incide sulla conformazione del paesaggio. Incide anche la storia, non solo la morfologia territoriale nella definizione degli assetti urbanistici. I paesi mutano nel tempo, anche dentro la loro parte storica risalente al medioevo (Ph. F. Morgillo-Veduta di Montenero di Bisaccia con un tratto di paesaggio marino)
È facile dire paese, ma in Molise dove i paesi sono tanti, più di un centinaio, essi sono assai diversi fra loro, a questo termine non corrisponde una categoria univocamente definita. Essi si differenziano fra loro per la “forma urbis” la quale, peraltro, non è sempre facilmente catalogabile, riconducibile a tipi urbanistici prefissati, in quanto spesso si tratta di villaggi a carattere misto fatti di parti distinte. La forma urbana è connessa, di certo, alla morfologia territoriale. Se è vero, come è vero, questo assunto e se si considera che il territorio della nostra regione è caratterizzato da un’una estrema varietà nella configurazione del suolo si può comprendere quanto sia articolato il quadro delle strutture abitative in relazione agli aspetti formali le quali si devono adottare necessariamente al terreno.
Abbiamo, infatti, centri di dorsale, esempio Poggio Sannita, centri su versante, esempio Pesche o Roccamandolfi, centri di pianura, esempio Castellone popolosa frazione di Boiano, centri su sommità, esempio Ferrazzano. Va detto che a questa complessità corrisponde una diversificazione dei paesaggi la quale è la grande ricchezza della nostra regione. Tornando agli abitati è da aggiungere che non è solo la diversità della orografia a determinare la differente conformazione degli agglomerati edilizi. Infatti, ad avere un peso nella definizione dell’assetto fisico degli insediamenti umani oltre alla geomorfologia vi è anche la loro storia.
Le fasi di trasformazioni, in seno all’aggregato, e di crescita, fuori dall’aggregato delle origini delle realtà urbane sono state numerose com’è da immaginarsi avendo la gran parte di esse, parliamo dei piccoli comuni, circa 1000 anni di vita, un periodo così lungo, lo si rimarca un millennio, durante il quale non possono non essere avvenute variazioni nell’urbanizzazione. Non tutti i borghi hanno vissuto le medesime vicende storiche. Vi sono quelli riconoscibili per l’assenza del castello feudale, nati quali colonie di possedimenti monastici, dell’abbazia di S. Vincenzo, i comuni dell’alta valle del Volturno, e del monastero di Montecassino, S. Pietro Avellana.
Vi sono quelli che hanno subito lo slittamento a valle della popolazione, prendi Roccaravindola e Roccapipirozzi ambedue Alti e, dunque, non hanno vissuto lo svilupparsi in età moderna a fianco del polo originario di appendici residenziali e perciò il loro contorno è rimasto immutato. Vi sono quelli che sono assurti dal rango di borgata, in cui, dunque, manca la parte medievale, a capoluogo municipale, è il caso di S. Maria del Molise. L’elenco potrebbe continuare, da Castel San Vincenzo che nasce dalla fusione di S. Vincenzo e di Castellone al Volturno con una armatura urbana duplice, a Nuova Cliternia un villaggio a servizio della Riforma Agraria collegato con la terra “redenta” a Castellino Nuovo rimasto incompiuto.
Tutti questi appena enumerati sono delle “eccezioni” perché la “regola” è quella dell’accrescimento del villaggio partendo dal nucleo sorto nel medioevo, in momenti successivi. Le modificazioni dell’insediamento, ma lo si è già detto prima, non si limitano solo all’espansione fuori le mura, in quanto hanno riguardato anche il suo “cuore” che sta dentro le mura. Il centro storico non è una porzione di abitato completamente immobile, un pezzo dell’agglomerato rimasto invariato dall’epoca della sua fondazione specificando che l’evoluzione che ha subito non è identica in ogni paese. Qui ci interessiamo della componente pubblica della struttura urbana la quale è rappresentata dalla cinta muraria con annesse porte urbiche.
La prima considerazione da fare è che mentre la murazione si è su per giù conservata le porte sono in molti casi state abbattute. Se sono sopravvissute alcune di queste è perché ad esse nel tempo si è sovrapposto un corpo di fabbrica (non si è detto, badi bene, corpo di guardia) che le ha inglobate, vedi a Vastogirardi, Scapoli, Morrone eccetera eccetera. Di quelle a sé stanti, cioè non ricomprese in un volume architettonico sono rimaste ben poche testimonianze, a Spinete adiacente alla chiesa parrocchiale, a Agnone la “porta semiurna”. È da immaginarsi che le demolizioni delle porte non siano state effettuate, di certo in adempimento a piani di sicurezza sismica per allargare le “vie di fuga”, ma per ragioni contingenti o, in ossequio alla modernità, per cancellare le tracce dell’arretratezza, il medioevo era un’epoca “oscura”.
Sicuramente un valore simbolico maggiore lo avrebbe avuto l’eliminazione delle mura, che però per quanto vedremo non era possibile, in quanto rimanda la cinta all’idea di chiusura, di restrizione della libertà come durante il feudalesimo, mentre per le porte se è liberazione, la sensazione cui rimanda l’operazione di abbattimento, dal vecchio potere lo è pure di sottomissione ad uno nuovo ancor più opprimente, quello dell’automobile la quale impone l’adeguamento delle strade.
La cerchia muraria, la spiegazione dovuta, è ancora integra in un limitatissimo numero di borghi, in verità 2, Fornelli e Sepino, altrove, seppur permane come massa, appunto, muraria, è stata snaturata la sua immagine dall’addossarsi ad essa di alloggi privati con conseguente apertura di finestre nella cortina fortificata il che altera il senso che era quello di opera impenetrabile, priva di bucature. Ci sono anche situazioni limite in cui delle mura permane unicamente il basamento ed è quanto accade vicino a porta Tammaro ad Altilia dove una serie di case che sono state costruite in era moderna sul sedime della murazione romana sfruttano quale zoccolo monconi di opus reticolatum. Le mura si sono mantenute, almeno il perimetro delle stesse, per la loro elevata carica semantica, il tracciamento del limes era l’atto costitutivo della città, vedi Roma.
Francesco Manfredi Selvaggi633 Posts
Nato a Boiano (CB) nel 1956. Ha conseguito la Maturità Classica a Campobasso e poi la laurea in Architettura a Napoli nel 1980. Presso la medesima Università ha conseguito il Diploma di Perfezionamento in Storia dell’Arte Medievale e Moderna e il Diploma di Perfezionamento in Restauro dei Monumenti. È abilitato all’esercizio della professione di Architetto e all’insegnamento di Storia dell’Arte nei licei e Educazione Tecnica nelle scuole medie. Dal 1997 è Dirigente, con l’attribuzione di responsabilità nei servizi Beni Ambientali (19 anni), Protezione Civile, Urbanistica, Sismica, Ambiente. Ha avuto un ruolo attivo in associazioni ambientaliste quali Legambiente Molise, Italia Nostra sezione di Campobasso e Club Alpino Italiano Delegazione del Molise. Ha insegnato all’Università della Terza Età del Molise ed è stato membro del Consiglio di Amministrazione della Fondazione dell’Ordine degli Architetti di Campobasso, occupandosi all’interno dello stesso del progetto di Archivio dell’Architettura Contemporanea. È Giornalista Pubblicista e autore di articoli, saggi e del volume La Formazione Urbanistica di Campobasso. Le ultime pubblicazioni sono: «Le Politiche Ambientali nel Molise» (2011) e «Problemi di tutela ambientale in Molise» del 2014.
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