Dalla pista per Ferrazzano alle corsie ciclabili in città

di Francesco Manfredi-Selvaggi

Cambia e di molto il significato di questi percorsi predisposti per l’uso della bicicletta, la prima è destinata alla pedalata per diporto le seconde agli spostamenti quotidiani con l’impiego della bici al posto dell’auto, la prima è in “sede propria” le seconde sono ricavate nella carreggiata stradale (ph. Un tratto di pista ciclabile in via Mons. Bologna)

È tempo per uscire dalla città con i suoi ingorghi, il rumore dei motori, la sequenza continua delle carrozzerie metalliche in movimento e recuperare un po’ di tranquillità e cosa è meglio per tale scopo che incamminarci lungo la pista ciclabile per Ferrazzano. Innanzitutto è da dire che essa non è in collegamento con quelle che si stanno predisponendo nell’area urbana, non è inclusa nel sistema dei percorsi ciclabili. Ha caratteristiche diverse dal resto delle percorrenze ciclabili a cominciare dal fatto che essa è in sede propria, il concetto di ciclabilità è differente poiché non è ricavata all’interno della carreggiata stradale con la quale non è in piano bensì è rialzata sviluppandosi sopra una sorta di marciapiede.

A proposito di quest’ultimo che è una infrastruttura tipicamente legata alle percorrenze pedonali è da evidenziare che pur se definito pista ciclabile il collegamento con Ferrazzano di cui si parla è utilizzato in realtà soltanto da persone a piedi. Che sia un luogo privilegiato per le camminate ce lo dice la presenza del marciapiede mentre che sia destinato al passeggio lo rivela l’essere fiancheggiato da alberi i quali, piante dalle foglie larghe come sono i platani, garantiscono l’ombreggiatura rimandando all’immagine del viale. L’accoppiata marciapiede, peraltro di ampiezze consistente, alberatura la ritroviamo nel corso principale del capoluogo regionale, il Corso per antonomasia.

Li distinguono, comunque, varie cose. La prima è di certo la lunghezza che per la pista ciclabile verso Ferrazzano induce a parlare più che di passeggiata di escursione ed è idonea, pure per lo jogging. La seconda è che i viali urbani, quasi per definizione, sono rettilinei mentre la pista in questione è curvilinea e da qui ne discende un cambio di visuali durante il suo svolgimento con effetti percettivi stimolanti. La terza è che i viali per così dire intramoenia sono dotati di marciapiedi su entrambi i lati a differenza della pista extramoenia che lo prevede solamente da un fianco e non per una casualità, tale fianco è quello che volge verso la campagna e quindi il lato da cui si aprono vedute estese; si coglie l’occasione per invocare l’apposizione di un vincolo di rispetto per tali aperture visive vietando l’edificazione per una fascia di una certa profondità come si fa per le strade panoramiche.

La quarta differenza è relativa alla continuità del camminamento che nel Corso risulta estremamente frazionato per via degli incroci con le numerose traverse laterali, rami della scacchiera del Borgo Murattiano la quale ha una maglia molto fitta, in verità con la pedonalizzazione del centro cittadino il problema è ormai superato. La quinta diversità consiste nel fatto che nel Corso non è conveniente, su per giù per ragioni di decoro, effettuare attività motorie che non sia quella della semplice deambulazione, al contrario che nella pista che congiunge con Ferrazzano nata appositamente per andare in bicicletta e, in via succedanea, per il cammino. La predetta pista si presta anche per la corsa, per lo skating e financo per le ciaspolate se nevicasse, in definitiva una specie di corsia di un impianto di atletica.

La sesta differenziazione è che nel Corso si fanno, proprio come una piscina, “vasche” così definite dai campobassani che lo frequentano, cioè si va sopra e sotto, senza magari neanche cambiare marciapiede e, invece, la pista ciclabile rientra in un progetto di creazione di un circuito ad anello, realizzato finora parzialmente, che corre intorno al villaggio di Nuova Comunità. Fino ad adesso abbiamo enumerato ciò che non hanno in comune il viale cittadino e quello, lo definiamo così, rurale, ora vogliamo mostrare quanto li accomuna che è costituito da due caratteristiche. L’una è quella della planarità dei percorsi; è scontato che per il passeggio ci voglia un tracciato pianeggiante, meno per una camminata in ambiente.

Per quanto riguarda quest’ultima annotazione si vuole aggiungere che si ritiene che l’anello di cui sopra non si richiuderà mai essendo il tratto mancante in accentuata pendenza. L’altra è che per raggiungere il punto di inizio, in ambedue i percorsi pedonali, la pista ciclabile e il Corso, della camminata dai quartieri dell’agglomerato urbanistico più distanti occorre prendere la macchina e ciò è una contraddizione in termini, muoversi in auto per muoversi a piedi. Occorre precisare a questo riguardo che se per il Corso il tragitto pedonale può prendere avvio dall’inizio dello stesso o lo si può imboccare in un momento intermedio di questa strada, all’incontro con una di quelle stradine secondarie del Nuovo Borgo progettato dal Musenga, nella pista ciclabile è univocamente determinato, è specifico per i testa-coda.

Per il Corso ci sono ai suoi due capi altrettanti monumenti, la statua di G. Pepe e l’Obelisco a definire l’inizio e la fine, nella pista ciclabile manca il segnale di partenza e forse non sarebbe male collocare al termine di via Principe di Piemonte, cioè fuori porta, un elemento iconico piuttosto che apporre un mero cartello per enfatizzare lo start della pista. Non si può non menzionare che a Campobasso, almeno nella toponomastica, vi sono più viali (Elena, Mons. Bologna, Principe di Piemonte) e, però, solo lungo la via principale che, poi, è quella centrale, si pratica il passeggio che localmente e significativamente si chiama struscio per la voglia recondita di esibirsi. Il passeggio che si afferma dalle grandi metropoli alle cittadine di provincia nel XIX secolo in cui si guarda e si viene guardati è l’essenza stessa della città, non conta che si svolga nell’area urbana, il Corso, o in quella periurbana, la pista ciclabile in questione.

Francesco Manfredi Selvaggi637 Posts

Nato a Boiano (CB) nel 1956. Ha conseguito la Maturità Classica a Campobasso e poi la laurea in Architettura a Napoli nel 1980. Presso la medesima Università ha conseguito il Diploma di Perfezionamento in Storia dell’Arte Medievale e Moderna e il Diploma di Perfezionamento in Restauro dei Monumenti. È abilitato all’esercizio della professione di Architetto e all’insegnamento di Storia dell’Arte nei licei e Educazione Tecnica nelle scuole medie. Dal 1997 è Dirigente, con l’attribuzione di responsabilità nei servizi Beni Ambientali (19 anni), Protezione Civile, Urbanistica, Sismica, Ambiente. Ha avuto un ruolo attivo in associazioni ambientaliste quali Legambiente Molise, Italia Nostra sezione di Campobasso e Club Alpino Italiano Delegazione del Molise. Ha insegnato all’Università della Terza Età del Molise ed è stato membro del Consiglio di Amministrazione della Fondazione dell’Ordine degli Architetti di Campobasso, occupandosi all’interno dello stesso del progetto di Archivio dell’Architettura Contemporanea. È Giornalista Pubblicista e autore di articoli, saggi e del volume La Formazione Urbanistica di Campobasso. Le ultime pubblicazioni sono: «Le Politiche Ambientali nel Molise» (2011) e «Problemi di tutela ambientale in Molise» del 2014.

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